di Alessandro Romano
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La prima fase della colonizzazione delle isole ponziane.
Si stava ancora predisponendo la “Prammatica Prima”, la Legge di fondazione del nuovo regno che, tra l’altro, conteneva la destinazione dei beni pubblici (feudi) ai contadini nullatenenti, quando su ordine del re fu emesso un primo editto con il quale si “esponeva alla pubblica offerta” l’assegnazione in ‘enfiteusi’ (possesso non proprietario) di terreni ed abitazioni nelle isole di Ponza e di Pandataria (Ventotene). Unica condizione per essere ammessi alla selezione: non possedere beni immobili nel regno.
Legge dei demani e delle enfiteusi
Fondazione della colonia di Ventotente
Prima assegnazione di terre a Ponza
I primi coloni arrivarono a Ponza e a Ventotene per libera scelta e ben consapevoli di essere gli attori principali di un profondo ed importante esperimento sociale.
Quei coraggiosi pionieri, che non vanno assolutamente confusi con i “galeotti” condannati ai lavori forzati per assassinio ed impiegati in gravosissime attività di scavo e trasporto, erano destinati a diventare “i figli prediletti” di Ferdinando IV. Infatti il sovrano, fin dal loro arrivo nelle isole, volle concedere privilegi, sgravi fiscali e, spesso, riconoscimenti individuali a quegli uomini che avevano accettato di fare “da cavia” in un’impresa difficile, contrastata e, soprattutto, politicamente temuta dalle potenze internazionali oramai prede del capitalismo industriale ed agrario.
Fattore non trascurabile che fa comprendere il vero spessore della riforma, è che i Borbone avevano avviato l’esperimento partendo da una loro proprietà. Infatti le Isole Ponziane erano state da loro ereditate attraverso Elisabetta Farnese, madre di Carlo di Borbone.
Mentre la comunità di Ponza nel 1734 avviava i primi passi tra infinite difficoltà tecniche ed indescrivibili sacrifici umani, il processo di riforma veniva avviato in tutto il regno.
Infatti, nel frattempo, altri avanzati ed ambiziosi esperimenti sociali venivano messi in essere.
Oltre all’Albergo dei poveri, vera e propria struttura di accoglienza e recupero sociale dei disperati (“Nell’ultimo dei miei figli troverai me”), si avvia proprio in questo periodo la prima fabbrica autogestita della storia: è l’esperimento di San Leucio. Inaugurata dal re nel 1752, era una fabbrica-villaggio, dove venivano prodotte e lavorate sete di altissimo pregio, destinata a diventare il primo esempio perfettamente riuscito di comunità socialista autogestita [su San Leucio, nel sito, leggi anche qui].
Comunità di San Leucio. Le case degli operai
Non abbiamo ancora, come per San Leucio, una documentazione che faccia emergere chiaramente la volontà politica di applicare anche per le colonie ponziane l’autogestione della comunità, ma se si scorrono i decreti reali e le disposizioni dirette ai soprintendenti (prefetti), ai governatori delle isole e le continue visite degli stessi sovrani, si capisce che la via intrapresa, anche se molto più complessa di San Leucio per le evidenti difficoltà dettate dalla posizione geografica, era proprio la via dell’autogoverno economico-amministrativo.
Gaetano d’Ambrosio. Governatore di Ponza (1855)
Seconda fase della colonizzazione.
Dopo l’arrivo dei primi pionieri che costituirono una fondamentale base di partenza ed appoggio per lo sviluppo dell’intero progetto, nel 1768 la parte meridionale di Ponza venne sottoposta ad una poderosa urbanizzazione, con un progressivo incremento degli abitanti provenienti in maggior parte da Ischia e da Napoli.
Fu costruito il centro storico con annessi ospedale, chiesa, dogana, giudicato (pretura), caserma, alloggi ufficiali e sottufficiali.
Il banchinamento fu realizzato in prosecuzione del preesistente molo principale di attracco e prospiciente i magazzini commerciali e per la pesca. Nella parte più riparata del porto fu realizzato un imbarcadero a bassissima pendenza, l’attuale “Mamozio”, che consentiva di tirare a secco imbarcazioni di piccolo dislocamento.
Il progetto. In alto, ricostruzione di O. Fasolo della volumetria del complesso edilizio del Porto, sulla base del progetto del Winspeare;
in basso, pianta del 1815 (per tutte le immagini: cliccare per ingrandire)
Terza fase della colonizzazione.
Solo nel 1772 si passò ad urbanizzare il resto dell’isola, l’attuale frazione di Le Forna, con l’arrivo di coloni provenenti dalla fascia costiera dei paesi vesuviani, in particolar modo Torre del Greco.
Tuttavia questa fase fu poco gradita ed in alcuni casi persino avversata dai primi coloni già installati a Ponza porto che, aspirando ad ottenere in assegnazione anche i terreni posti al nord dell’isola, male digerirono l’arrivo dei “torresi”, destinati a diventare “i fornesi”.
Una fornese del 1772: nello scorcio “il Montagnone
Fu questa una grave tara di fondazione della giovane comunità isolana che, al di là di ogni normale iniziale discrasia relazionale dovuta alla diversità etnica di provenienza, non solo non si esaurì, ma si amplificò trascinandosi per secoli e assumendo, spesso, forme di spiccato campanilismo contradaiolo.
[L’esperimento di Ponza e Ventotene nella riforma socio-amministrativa dei Borbone (2). Continua]