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L’esperimento di Ponza e Ventotene nella riforma socio-amministrativa dei Borbone (2)di Alessandro Romano Per la puntata precedente, leggi qui . La prima fase della colonizzazione delle isole ponziane. Legge dei demani e delle enfiteusi
I primi coloni arrivarono a Ponza e a Ventotene per libera scelta e ben consapevoli di essere gli attori principali di un profondo ed importante esperimento sociale. Quei coraggiosi pionieri, che non vanno assolutamente confusi con i “galeotti” condannati ai lavori forzati per assassinio ed impiegati in gravosissime attività di scavo e trasporto, erano destinati a diventare “i figli prediletti” di Ferdinando IV. Infatti il sovrano, fin dal loro arrivo nelle isole, volle concedere privilegi, sgravi fiscali e, spesso, riconoscimenti individuali a quegli uomini che avevano accettato di fare “da cavia” in un’impresa difficile, contrastata e, soprattutto, politicamente temuta dalle potenze internazionali oramai prede del capitalismo industriale ed agrario. Mentre la comunità di Ponza nel 1734 avviava i primi passi tra infinite difficoltà tecniche ed indescrivibili sacrifici umani, il processo di riforma veniva avviato in tutto il regno. Oltre all’Albergo dei poveri, vera e propria struttura di accoglienza e recupero sociale dei disperati (“Nell’ultimo dei miei figli troverai me”), si avvia proprio in questo periodo la prima fabbrica autogestita della storia: è l’esperimento di San Leucio. Inaugurata dal re nel 1752, era una fabbrica-villaggio, dove venivano prodotte e lavorate sete di altissimo pregio, destinata a diventare il primo esempio perfettamente riuscito di comunità socialista autogestita [su San Leucio, nel sito, leggi anche qui]. Comunità di San Leucio. Le case degli operai Non abbiamo ancora, come per San Leucio, una documentazione che faccia emergere chiaramente la volontà politica di applicare anche per le colonie ponziane l’autogestione della comunità, ma se si scorrono i decreti reali e le disposizioni dirette ai soprintendenti (prefetti), ai governatori delle isole e le continue visite degli stessi sovrani, si capisce che la via intrapresa, anche se molto più complessa di San Leucio per le evidenti difficoltà dettate dalla posizione geografica, era proprio la via dell’autogoverno economico-amministrativo.
Fu costruito il centro storico con annessi ospedale, chiesa, dogana, giudicato (pretura), caserma, alloggi ufficiali e sottufficiali. Il banchinamento fu realizzato in prosecuzione del preesistente molo principale di attracco e prospiciente i magazzini commerciali e per la pesca. Nella parte più riparata del porto fu realizzato un imbarcadero a bassissima pendenza, l’attuale “Mamozio”, che consentiva di tirare a secco imbarcazioni di piccolo dislocamento.
Fu questa una grave tara di fondazione della giovane comunità isolana che, al di là di ogni normale iniziale discrasia relazionale dovuta alla diversità etnica di provenienza, non solo non si esaurì, ma si amplificò trascinandosi per secoli e assumendo, spesso, forme di spiccato campanilismo contradaiolo.
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