Archeologia

Il sapore della festa: Santa Lucia (2)

di Rosanna Conte

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Per la prima parte di questo articolo, leggi qui

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In alcune zone del nord Italia, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, c’è la tradizione dei doni che la santa Lucia distribuisce ai bambini. Questa tradizione è collegata ad un evento accaduto a Verona nel XIII secolo, quando i bambini della città, vittime di un’epidemia di “male agli occhi”, guarirono per intercessione della santa e parteciparono alla processione di ringraziamento con la promessa che Santa Lucia avrebbe portato loro dei doni.

santa_lucia con asinello

Da allora, la notte fra il 12 e il 13 dicembre i bambini aspettano l’arrivo di Santa Lucia sul suo asinello: lasciano un piatto con del cibo – arance, biscotti, caffè, mezzo bicchiere di  vino rosso e del fieno, oppure farina gialla e sale, per l’asino che trasporta i doni – e vanno a letto presto, con gli occhi chiusi, per paura che Lucia li accechi con la cenere. La mattina dopo trovano il piatto pieno di dolci e piccoli doni.

La presenza dei dolci in questa ricorrenza non poteva mancare nella tradizione siciliana e la scelta del dolce tipico viene fatta risalire dai siracusani ad un evento accaduto nel 1646, quando ci fu una terribile carestia.
Nel duomo di Siracusa, dove il popolo affamato si era radunato per pregare, una candida colomba volò sino all’altare e, quando uscì, un grido annunciò che era giunta una nave carica di frumento in dono ai cittadini affamati. Il grano fu immediatamente distribuito alla popolazione, che, non avendo tempo per macinarlo, farne farina e poi pane, per la fretta e la gran fame, lo bollì e lo consumò con l’aggiunta di un filo d’olio, mangiandolo con le mani, chicco per chicco.
Da qui nacque il divieto, nel giorno di Santa Lucia, di mangiare cibo fatto con la farina ed assumere solo la cuccìa, il cibo penitenziale inizialmente costituito solo da chicchi di frumento bolliti e conditi con olio con l’aggiunta di verdura. Il nome cuccìa deriva dal greco kykeò, una miscela o bevanda a base di farina a cui si aggiungevano formaggio, miele o vino.

cuccia-siciliana

Oggi, pur offrendo ancora a parenti ed amici il grano lesso con l’olio in segno di penitenza, la cuccìa che si mangia il giorno di Santa Lucia è diventata un dolce squisito, fatto sempre con chicchi di grano, ma conditi con crema di ricotta, pezzetti di zuccata e cioccolata, e spolverati di cannella.

Un’interpretazione diversa di questa tradizione la collega alle radici della civiltà contadina siciliana, quella risalente alla Magna Grecia, dove era presente il culto di Artemide, la dea della caccia, dei parti e della luce.

Artemide

E’ l’antropologo Giuseppe Pitrè, vissuto a cavallo fra ‘800 e ‘900, che studiò le tradizioni popolari siciliane, a risalire all’origine del cibo fatto con i chicchi di grano nel giorno della festa di Santa Lucia. Nei riti precristiani in onore di Artemide, che aveva il suo tempio sull’isola di Ortigia, nel cuore di Siracusa, proprio là dove ora sorge il Duomo che custodisce la statua d’argento di santa Lucia, si consumava il grano bollito. Perché?

La spiga di grano ha sempre rappresentato il ciclo della vita (concepimento, nascita crescita, morte e rinascita a nuova vita) tanto che si usava metterla anche nelle tombe. Essa richiamava la capacità divina di riprodurre la vita nella natura e deve aver assunto la sua forte valenza simbolica già nel neolitico, con la scoperta dell’agricoltura.

tempio-di-artemide ricostruzione

resti del tempio

Tempio di Artemide (ricostruzione). Sotto: i resti del Tempio

Ma perché veniva ritenuta sacra proprio ad Artemide fra le tante divinità? Considerate le attribuzioni che le venivano riconosciute nel mondo greco, probabilmente questa dea, in età molto antica, era una dea-madre, cioè una dea creatrice del mondo e, quindi, padrona della vita. Omero dice di lei che lavorava al telaio col fuso, e questo ci indica che doveva essere fra le primissime divinità venerate, le più importanti, quelle che avevano la prerogativa di incidere sulla vita. La mitologia greca narra che, appena nata, aiutò sua madre Latona a partorire Apollo, suo fratello gemello; era, perciò, lei a proteggere le donne durante i parti. Ma sorvegliava anche i raccolti e benediceva i campi dopo l’aratura. La sua statua nel tempio di Efeso ne testimonia il potere sulla vita attraverso il dono della fertilità.

Artemide di Efeso

Artemide di Efeso

Accanto al culto di Artemide, in Sicilia, c’era quello di Demetra (in greco: Δημήτηρ, “Madre terra” o forse “Madre dispensatrice”, probabilmente dal nome indoeuropeo della Madre terra* dheghom mather) dea del grano e dell’agricoltura. I riti dei misteri eleusini a lei dedicati affondano nelle origini della civiltà micenea, probabilmente nel XVI secolo a. C., e sono stati praticati per circa duemila anni, fino al 396 d. C., quando i visigoti di Alarico distrussero il tempio di Eleusi.

resti del santuario di Eleusi

Resti del santuario di Eleusi

Già l’imperatore Teodosio fra il 381 e il 385 d.C., aveva proibito questi riti insieme agli altri riti pagani, ma i misteri eleusini erano talmente radicati nella cultura greco-romana che non erano stati interrotti.

Siamo, quindi, alla fine IV secolo, lo stesso periodo a cui appartiene la più antica testimonianza del culto di santa Lucia, una tomba in cui è stata trovata la scritta: “Euschia, irreprensibile, vissuta buona e pura per circa 25 anni, morì nella festa della mia santa Lucia, per la quale non vi è elogio come conviene. Cristiana, fedele, perfetta, riconoscente a suo marito di una viva gratitudine.”

lapide per Euschia

Lapide per Euschia

Il marito di Euschia è il primo fedele che conosciamo della santa siracusana, il cui nome indica la luce e che viene festeggiata con del cibo fatto con chicchi di grano.

Naturalmente questo non vuol dire che santa Lucia abbia sostituito Artemide o Demetra, assolutamente no, ma certamente nel mondo contadino i riti propiziatori per la fertilità della terra e l’abbondanza delle messi non saranno stati interrotti per un editto dell’imperatore, né l’abitudine di considerare sacra la spiga e di usarla per alcuni culti può essere tramontata all’improvviso.

spiga di grano

Il grano, come gli altri cereali, è sempre stato il prodotto base dell’agricoltura e la sacralità del pane la ritroviamo ancora oggi nelle famiglie che ritengono che sia proprio un “peccato” buttare il pane.

Privilegiare i chicchi alla farina significa usare la primizia così come viene dalla natura e dalla divinità, senza la manipolazione e contaminazione dell’uomo.
E non è solo il grano ad avere questa funzione sacra.
Là dove si diffondeva il culto di Artemide nel mondo antico si diffondeva anche l’uso del vino come elemento indispensabile nei riti sacri: l’uva, frutto femminile dell’unione vite-terra (pensiamo all’uso dell’uva passa nei dolci svedesi), è sacrificata agli dei per estrarre la bevanda da offrire agli dei. E nei riti antichi e moderni, il grano e il vino si ritrovano spesso insieme.

Se in Sicilia la tradizione vuole che si mangi la cuccìa, in altre regioni meridionali, come la Calabria e la Lucania, per la festa di Santa Lucia è diffusa l’usanza di mangiare i chicchi irrorati di vino cotto; nelle Puglie, invece, chicchi di grano, vino cotto e chicchi di melograno si mangiano per la commemorazione dei defunti.

Grano lessato, vino cotto e chicchi di melograno

Perdere il senso delle tradizioni culinarie legate alle festività è certamente perdere una parte della propria identità, ma fin quando il ricordo del profumo di un dolce o del sapore particolare di un piatto legato ad una precisa circostanza ci spingono a cercarne il motivo, c’è sempre la possibilità che il filo di Arianna ci riporti là da dove siamo venuti.

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[Il sapore della festa: Santa Lucia. (2) – Fine]

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