Racconti

Elucubrazioni di Pasquale. (4). Struttura della città

di Pasquale Scarpati
Silvano Braido. L'isola dei vivi

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Struttura della città

Una volta entrati in città, lo spettacolo che si presenta agli occhi è bello e terrificante nello stesso tempo. Non case ma torri, separate da un groviglio di strade, alcune senza nome, altre con un nome scritto talmente piccolo ed incomprensibile che non basta una lente d’ingrandimento per leggerlo. Non ci sono né ripari, né vegetazione di sorta, né infrastrutture primarie e secondarie né segnaletica. In queste strade una moltitudine di uomini che, visti dall’alto, sembrano tutti piccini, si aggira – come dice il Sommo Poeta  “….come la rena  quando turbo spira”: vagano senza meta.
Entrano ed escono continuamente dalle torri correndo perpetuamente; ansimando e sbuffando spesso si intralciano a vicenda.
Se perseguono, infatti, il medesimo obiettivo, sgomitano; se invece si  trovano faccia a faccia, si ostacolano in tutti i modi venendo anche alle mani.
Nonostante  questo caotico andirivieni, nessuno mai si è potuto sottrarre dal visitare questa città; da una parte attira, infatti come le bellissime città d’arte sparse per il Bel Paese, anzi la sua fama spinge ineluttabilmente ad entrarvi, dall’altra si è obbligati ad andarvi almeno una volta nella vita.
Il più delle volte accade, purtroppo, che bisogna accedervi più e più volte.
All’improvviso, voltato un angolo, ci si imbatte nella base mastodontica di una torre che fa sentire ancora più piccini; alzando poi gli occhi si viene presi dal panico a causa dell’altezza.
Di queste torri ce ne sono tante, tantissime e, come avveniva nel medioevo, coloro che vi abitano fanno a gara a chi le costruisce più alte; somigliano a quelle di una famosa cittadina toscana.
Comunque sono tutte altissime, alzando gli occhi, infatti, non si riesce a scorgere la loro sommità: la cima si nasconde tra le nuvole. Così tutti gli occupanti (che abitano quasi tutti all’ultimo piano) possono sostenere, a buon diritto e senza timore di essere smentiti, di stare sempre “con la testa fra le nuvole” o, per meglio dire, “di avere altro a cui pensare”. Pertanto, a mo’ di epicurei dei, si disinteressano degli umani, specialmente dei più piccoli poiché, a causa della distanza, né li possono … vedere, né  possono ascoltarne il riso e il pianto.

Il primo gruppo di torri

Di esse alcune hanno enormi vetrate, somigliano al famoso “Palazzo di vetro”, perché così tutti sono obbligati a contemplarle. Una delle loro funzioni è per l’appunto quella di non dover passare inosservate, come le mastodontiche antiche e nuove costruzioni che, quasi simboli del potere, si trovano un po’ dappertutto nelle grandi città o nelle loro vicinanze. Non è difficile entrarvi; all’interno si notano, da una parte, ascensori velocissimi che salgono e scendono con estrema rapidità;  dall’altra, invece, ascensori molto ma molto lenti, più lenti di una lumaca; infine si intravedono le scale.
Gli ascensori velocissimi hanno sempre le porte chiuse e pare che, salendo e scendendo così inutilmente, non facciano altro che sprecare tempo, denaro ed energia; ma, stranamente, a volte, queste porte si aprono e si chiudono velocemente quando davanti a loro si pone una persona (come se la conoscessero). A questa non serve alcun pass, viene riconosciuta immediatamente forse dal suo aspetto, forse dallo sguardo, forse dalla voce o da altro; molto probabilmente possiede un codice (forse genetico) custodito gelosamente segreto, per cui entra rapidamente, quasi sempre da sola, cercando, oltretutto, di non farsi notare, guardandosi intorno con circospezione.
Come rapidamente è salita altrettanto rapidamente scende.

Per chi vuole salire, l’alternativa è l’ascensore-lumacone. Questo mantiene  le porte aperte fino a che non si è riempito a dismisura; la gente corre per entrarvi, si spinge e si accalca. Quando tutti sono così ben stipati che neppure un ago riesce a cadere per terra, automaticamente si chiudono le porte.
Questo apparecchio si muove molto ma molto lentamente e non basta una lunga vita per arrivare in cima.
A causa della calca, durante la salita si rischia di rimanere soffocati; se qualcuno osa protestare, una voce metallica gli impone il silenzio ed afferma che la causa della lentezza dipende dal gran numero degli occupanti.
Raggiunto, dopo tanto tempo, un pianerottolo, perentoriamente si invita colui che aveva protestato a lasciare l’ascensore; costui, imperterrito, pensa di raggiungere la cima imboccando le scale, ma non sa cosa lo aspetta: gradini di altezze diverse, scomodissimi, scivolosi al punto di provocare cadute e gravi fratture. Ad un certo punto, poi, la scala si dirama in rampe molteplici: impossibile stabilire quale imboccare: sono talmente aggrovigliate che il labirinto di Dedalo, al confronto, sembra un’autostrada rettilinea.
Salendo, il malcapitato si ritrova davanti una parata di stanze in cui si è obbligati ad entrare per poi uscire quasi subito e rientrare in un’altra.
Gira et rigira, è probabile che ci si ritrovi al punto di partenza senza aver concluso nulla; lo scoramento induce a guadagnare in fretta la via d’uscita, che è l’unica segnalata costantemente.

 

Immagine di copertina: dipinto di Silvano Braido

[Elucubrazioni di Pasquale. (4). Continua]

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