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Elucubrazioni di Pasquale. (2). Gli uccelli stanziali

di Pasquale Scarpati
Silvano Braido. Isole-navi [1]

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Per l’articolo precedente, leggi qui [2]

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Altri uccelli sono stanziali; bisogna, però, cercarli con assiduità perché essi per paura si nascondono. Sentendo, poi,  avvicinarsi il passo di cacciatori voraci mutano continuamente luogo. Se vengono catturati, infatti, potrebbero subire la medesima sorte degli uccelli migratori.

L’ ostacolo maggiore per concedere la libertà (attuare le nuove idee) è la “timienza”: la paura. La paura che attanaglia, la paura di perdere chissà cosa, la paura di investire, la paura di tutto, la paura su tutto, insomma la Paura paralizzante (come chi  osava guardare la Medusa).
La stessa paura, poi, fa addossare sempre e comunque la colpa agli altri oppure produce soltanto lamenti oppure fa attorcigliare su se stessi come serpenti.
Ma se dalle bisacce uscissero pian piano, ma tutti insieme, gli uccelli della stessa specie, sicuramente l’aria si riempirebbe di soavi cinguettii, sempre più assordanti che arriverebbero, forse, anche alle orecchie del più sordo dei sordi e lo spingerebbe prima ad ascoltare, poi ad agire. Bisogna comunque tentare.

Negli anni ’50 e prima ancora, si viveva, per cause oggettive, nello “ status” di isolani ed isolati (in tutti i sensi) dal resto del mondo. Per iperbole si veniva a conoscenza della morte di un papa dopo l’elezione del successore.

La lontananza dalla terraferma e la conseguente penuria di mezzi e di denaro costringeva gli “isolati” ad aguzzare l’ingegno anche nelle minuzie del quotidiano. Quando poi, si lasciava momentaneamente, per affari o altro, il proprio nido, si cercava a ben ragione la comprensione altrui e per lo più la si otteneva (anche se spesso non del tutto disinteressata).

Oggi, al primo impatto, sembra che i disagi siano diminuiti rispetto a tanti anni fa (Internet, collegamenti più assidui e veloci, ecc.), invece sono aumentati sia perché non esiste più quel modo di vivere, sia perché le esigenze ed il vortice della vita spingono a migliorare la sua qualità. Questo è ciò che tutti auspicano.
Il problema si pone quando si comincia  a discutere prima del come e poi del quando. Ma il più delle volte il grosso problema sta a monte, consiste cioè nell’iniziare una discussione sui problemi seri e ponderosi.

Quando esiste un problema ma non si vuole avviare nessuna discussione si percorrono due strade:
– o si addossa sempre e comunque la colpa agli altri (questo modo di dire o pensare oramai è consolidato)
– oppure ci si fa scudo del disagio da cui scaturisce, come acqua dalla roccia, l’atavico modo di pensare: tutto è dovuto, nulla dobbiamo, perché, essendo poveri naufraghi, aspettiamo che altri ci  soccorrano.

Anzi qualcuno non solo vuole essere soccorso ma, come un neonato, vuole essere preso in braccio perché rifiuta o non sa ancora allungare le braccia per aggrapparsi ad un salvagente o a una barca o a qualsiasi oggetto che lo possa salvare.
Lo fa soltanto quando comincia ad ingoiare acqua e sente che la morte è vicina.
Solo allora tende le braccia ed apre la bocca per chiedere aiuto; potrebbe, però, essere troppo tardi, anche perché i soccorritori non sanno dove andare, nel buio non riescono ad individuare la sua posizione dal momento che la bocca, colma d’acqua, impedisce al naufrago di chiedere aiuto; affoga quindi con il gorgoglio nella strozza.

Ci sono poi quelli che, trincerandosi, forse anche pretestuosamente, dietro l’essere disagiati, non fanno altro che aspettare che altri vengano in soccorso  per risolvere tutti, ma proprio tutti, i problemi.
Come servi della gleba, pensano che altri benignamente giungano in loro soccorso  senza interesse e quindi senza chieder nulla in cambio.
Pertanto si aspetta che qualcosa cali  dall’alto, come se, tra l’altro, ciò fosse sempre e comunque confacente ai bisogni reali e soprattutto impellenti.
Il più delle volte, invece, o la  supplica si perde in un vasto oceano oppure viene offerto tanto (sulla carta o per meglio dire a “chiacchiere”) ma elargito poco rispetto alle reali necessità e alle promesse fatte in precedenza; per non parlare, poi, dell’attuazione di cose che a lungo andare si rivelano inutili, con grande sperpero di denaro e di risorse.
Stando inoperosi, qualcosa potrebbe pur calare dall’alto: le bastonate! Arrivano violente ed improvvise provocando su tutti e tutto ferite anche mortali.
È difficile riparasi se si sta da soli, non bastano né scudo né protezione di sorta.
È dimostrato che questi accorgimenti risultano per lo più inefficaci perché i colpi possono giungere da ogni parte. Non si fa in tempo a ripararsi da un lato che già violentemente arriva un colpo dall’altro, se non in testa.
Bisogna, allora, serrare i ranghi e formare una testudo (testuggine della legione romana) perché non solo così facendo si riescono, in modo più efficace, a parare i colpi da ogni lato, ma si può passare anche al contrattacco contro l’oppidum (città fortificata).

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Immagine di copertina. Dipinto di Silvano Braido

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[Elucubrazioni di Pasquale. (2). Continua]