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Passeggiate nel cielo tra mito, religione e scienza (5). Callisto

di Antonio Francesco Piras
Ursa maior [1]

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Con ‘astronomica’ regolarità Francesco Piras ci manda le cronache delle sue ‘passeggiate’, nel cielo e tra i miti. Lo ringraziamo vivamente, nella speranza che da un anno all’altro non ci si scordi di guardare il cielo, da Ponza…
La Redazione
 

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Ritorniamo sul grande carro…

Stella polare. Grande e piccolo carro [2]

Nelle sue sette stelle la fantasia popolare ha scorto di volta in volta un aratro, un mestolo o addirittura una bara.

I romani le vedevano come sette buoi nel cielo, septem triones, da cui deriva la parola settentrione che designa la parte boreale del cielo, dove l’asterisma è situato.
In effetti queste sette stelle con il loro lento e maestoso ruotare intorno alla polare ricordavano i buoi (triones) durante l’aratura.


Agli antichi arabi hanno ispirato l’immagine di un funerale. Chiamavano bara le quattro stelle che formano il rettangolo, mentre vedevano nelle tre del corteo funebre le figlie piangenti che seguivano il feretro.

I primi cristiani vedevano nel rettangolo la lettiga di Lazzaro e le tre stelle del corteo funebre rappresentavano Maria, Marta e Maddalena.

In Cina rappresentavano il governo, mentre la stella polare, nell’orsa minore, era l’imperatore.

Nel 1637 Schiller nel suo cielo cristiano vide la navicella di San Pietro.

Ma fu Talete da Mileto a comporre con queste e altre stelle vicine l’Orsa Maggiore.

Fra le tante stelle dell’Orsa, le più popolari sono Merak e Dubhe
 situate nella parte posteriore del Carro.
Sono dette ‘stelle puntatrici’ perché, se si traccia una linea che parte dalla stella Merak e passa per Dubhe, contando cinque volte la loro distanza si raggiunge l’alfa dell’Orsa Minore ovvero la Stella Polare, che indica, come si sa, il polo nord, ma è poco appariscente; sicché le due stelle aiutano i naviganti a individuarla con facilità.

I nomi delle stelle del Grande Carro [3]

 

Visualizzaz. dell'angolo per riconosc la Stella Polare copia [4]

Ma la stella più interessante è Mizar, al centro del timone.
 Guardando questa stella ad occhio nudo la prima cosa che attira l’attenzione è una stellina molto vicina, chiamata Alcor.
 Gli antichi persiani la usavano come test di buona acutezza visiva. Per diventare arcieri del re bisognava superare questa prova.

Osservata con un buon telescopio si scopre che, complessivamente, Mizar è un sistema di sette stelle: eventuali abitanti di un pianeta locale avrebbero le loro difficoltà  a seguirne le complesse evoluzioni e a stilare i calendari.
C’è una curiosità: un astronomo dilettante tedesco nel 1723, credendo di aver scoperto un pianeta tra Mizar e Alcor lo battezzò Sidus Ludovicianum in omaggio a Ludovico V. Un bell’esempio di errore scientifico misto a servilismo e piaggeria.

Questa costellazione ispirò agli antichi greci diversi miti.
Quello che io preferisco tra gli altri è il mito della ninfa Callisto trasformata in una grande orsa dalla gelosa Era, la moglie di Zeus il re degli dei, il quale ebbe un rapporto amoroso con la giovane.
Questo il mito di Callisto, tratto da “Metamorfosi” di Ovidio.

Tantissimo tempo fa, in una regione della Grecia chiamata Arcadia viveva una fanciulla molto bella.
Si chiamava Callisto, che significa “bellissima”, ed  era veramente degna del suo nome. Callisto non era come la maggior parte delle giovinette della sua età che amano passare il tempo davanti allo specchio per acconciarsi il viso, le vesti ed i capelli. Quando una fibbia aveva fermato la sua veste e una bianca benda i capelli incolti, prendeva l’arco e le frecce e correva a cacciare nei boschi.
Adorava Diana, sorella di Apollo, una dea molto schiva e solitaria.
Anche Diana non amava le feste e ai banchetti dell’Olimpo preferiva il silenzio e la quiete della natura, perciò viveva nei boschi insieme ad altre fanciulle: cacciavano, correvano, ridevano e nuotavano nei fiumi.
Avevano giurato di vivere sempre insieme e di non avere niente a che fare con gli uomini. Erano tutte belle e allegre. Anche Callisto faceva parte di questa schiera e Diana la preferiva ad ogni altra. Ma, come insegna il grande poeta Ovidio, non c’è supremazia che duri a lungo.
Alla dea non interessavano le frivolezze, ma credeva nell’amore vero e nell’amicizia, manteneva sempre la parola data e non sopportava l’inganno. Guai a tradire la fiducia di Diana! Il suo affetto poteva trasformarsi in odio feroce, implacabile.

Federico Cervelli. Diana e Callisto.1625 [5]

Federico Cervelli. Diana e Callisto. 1625

Callisto sapeva tutto questo, ma non fu in grado di sfuggire al suo destino. Un giorno, quando il caldo era particolarmente cocente, la fanciulla si rifugiò in un bosco di alberi antichi e forti: stanca per la caccia e le lunghe corse, si fermò e si sdraiò sul suolo ricoperto di tenera erba. Dall’alto dei cieli, appena Giove la vide, stanca, indifesa e senza le sue compagne, pensò: – Certamente mia moglie non verrà mai a sapere niente di questa mia nuova avventura… E se anche lo sapesse? Sarebbero urla e strepiti, lo so, ma ne vale comunque la pena!
Subito prende l’aspetto di Diana, si avvicina a Callisto e le sussurra: – O mia adorabile compagna, su quali cime sei stata oggi a cacciare?
La fanciulla si sveglia e sorridendo, fiduciosa risponde: – Salute, o dea, che a mio parere, anche se lui mi sente, sei  più grande di Giove!
Egli ride, divertito a sentirsi preferire a se stesso e la bacia, ma non in modo tenero e delicato come faceva di solito Diana, ma in un modo veramente violento.
Subito dopo, Callisto si trova stretta in un abbraccio appassionato dal quale non sa liberarsi. Lei si ribella, quanto almeno può fare una donna; si ribella, ma quale fanciulla, o chi altro, potrebbe vincere il sommo Giove?
Quando  Callisto capisce la verità, Giove e già  tornato vincitore sull’Olimpo.

Lei non vuole più vedere quel bosco, quegli  alberi che sanno ed ecco giungere la vera Diana con il suo seguito, stanca ma felice per la selvaggina uccisa. Scorge Callisto e la chiama. La fanciulla teme che sia di nuovo Giove travestito e cerca di fuggire, poi vede le compagne, capisce che non c’è inganno e si unisce al gruppo.
Ma non è più la stessa: si sente in colpa, arrossisce, ha perduto la sua allegria, non ha più il coraggio di correre accanto a Diana, per prima, davanti a tutte le altre.
Le compagne intuiscono che è accaduto qualcosa, ma tacciono e la dea è troppo presa dalla caccia e dai boschi per capire.
Finché un giorno…

Erano passati quasi nove mesi e come sempre Diana e le sue compagne correvano e cacciavano nelle selve. Il sole era alto e la dea, stanca ed accaldata, propose di fare un bagno nel fiume. Lì vicino nel folto  di un bosco, scorreva un ruscello che veniva giù dal monte bisbigliando e rotolando nella sabbia. Diana toccò l’acqua con la punta del piede: era fresca e limpida. Le piacque, chiamò le compagne e disse: – Facciamo il bagno nude, nessuno può vederci!
Si tolse le vesti e si tuffò nel ruscello; tutte le fanciulle, ridendo, la imitarono. Solo Callisto arrossisce e cerca di prendere tempo.
Dai, spogliati e vieni, che aspetti? – le gridano le compagne – È bellissimo, vieni! E alcune, visto che lei indugia, escono dall’acqua e per gioco le sfilano la veste.

Un silenzio di gelo scende nella selva, nessuno più grida, nessuno più ride: ecco perché Callisto è sempre triste e silenziosa, ecco che cosa le è accaduto quel lontano pomeriggio quando era sola nel bosco…

Diana scopre la colpa di Callisto [6]

Congner Gillis. Diana scopre la colpa di Callisto (1586 circa), Budapest, Szepmuveszeti Muzeum

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[Passeggiate tra le stelle. (5). Continua]