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Stop al biocidio: è un problema anche ponzese?

di  Rosanna Conte

striscione di apertura [1]

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Sabato pomeriggio ho partecipato, sotto la pioggia, alla manifestazione di #fiumeinpiena contro il biocidio che si è svolta a Napoli.

Ho avvertito la necessità di farlo non solo per l’allerta legato all’articolo dell’Espresso sui documenti americani riguardanti la qualità delle acque degli acquedotti campani (documenti di cui si sapeva da tempo e che pur richiedono un approfondimento), ma perché la terra avvelenata, la strage di uomini, donne e bambini gridano vendetta.

Sotto la pioggia [2]

Avevo già letto il libro “Il paese dei veleni” di A. Baccaro e A. Musella, in cui il “paese” non è la Campania, ma l’Italia tutta, e il disastro ambientale dell’antica Campania felix non è un unicum, ma è uno di una serie che va dall’inquinamento prodotto dalla fabbrica chimica di Caffaro, con il particolare veleno costituito dai Pcb [i poli-cloro-bifenili, noti spesso con la sigla PCB hanno uno struttura e una tossicità assimilabili a quella della più nota ‘diossina’ – NdR], di tutta la città di Brescia fino a diciassette km di distanza dalla fabbrica, a quello dell’Ilva di Taranto.
Questo perché c’è una larga parte delle nostre industrie che ha scelto di guadagnare di più non calcolando i costi dello smaltimento dei rifiuti come succede in tutti i paesi in cui ci sono leggi a tutela dell’ambiente e controlli veri sulla loro esecuzione.

Nella “Terra dei fuochi”, il triangolo che va dalla periferia nord di Napoli fino alle porte di Caserta e a Mondragone, dove, secondo le indagini, hanno smaltito i loro rifiuti tossici 443 aziende, quasi tutte del Nord, come riporta il Corriere della Sera del 16 novembre, attualmente si continua a bruciare quanto non viene eliminato secondo legge.

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Qui, la lotta per la vita è diventata una costante negli ultimi dieci anni, alimentata proprio dai roghi persistenti e dall’incremento delle morti per tumore che riguardano molto anche i bambini.
I cittadini si sono organizzati in una miriade di comitati (almeno una cinquantina) sparsi in tutta la piana casertana e napoletana e, sabato scorso, hanno sfilato uniti per le strade di Napoli, coinvolgendo comitati anche di altre regioni, come il Lazio, la Puglia e l’Abbruzzo. Hanno formato un vero “fiume in piena” come si chiama il movimento pacifico ed apartitico che ha organizzato la manifestazione. Costituito da giovani per essere punto di contatto tra i vari comitati, #fiumeinpiena si pone come traguardo l’unificazione sotto la stessa bandiera della lotta al biocidio, non solo in Campania, ma nell’Italia intera.

L’ho attraversato tutto, il corteo, leggendo gli striscioni e guardando in faccia chi partecipava. Mi hanno colpito i bambini che, nonostante la pioggia, erano presenti col loro striscione provocatorio.

Lo striscione dei bimbi [4]

Durante il percorso ho riflettuto sul fatto che Ponza non è indenne.

Quanti rifiuti di amianto nel tempo sono stati smaltiti illegalmente sull’isola? Questa era la domanda più semplice che potessi pormi, ma ci si poteva chiedere cosa sia stato trasportato nelle navi cisterne prima dell’acqua da portare a Ponza; o anche dei fumi non depurati, dei “fuochi” per eliminare residui di plastica o altre sostanze nocive, azioni compiute quando non si era informati e anche dopo.

Io non so, né posso sapere, il livello di inquinamento dell’aria della terra e del mare di Ponza, al di là della goletta verde che ci dice che il nostro mare è pulito; ma ovviamente quello dei porti non lo è; e sempre, in estate, ci sono state persone che il bagno l’hanno fatto nelle acque del porto (quest’anno molte di più per i motivi che conosciamo).

cala-feola-allisola-di-ponza [5]

Purtroppo l’inquinamento del mare non incide solo sulla balneabilità, ma anche sulla pesca che è alla base dell’alimentazione degli isolani e i pesci non si pescano dove la goletta verde fa i suoi prelievi: nulla sappiamo se c’è qualcosa sul fondo del mare dove pascolano i nostri pesci.

Insomma tutti questi pensieri mi frullavano in testa durante il corteo perché, seguendo altri incontri cittadini, avevo realizzato che discariche inquinanti sono state trovate anche là dove fino a ieri si pensava che fosse tutto pulito.

Ormai non siamo più tranquilli da nessuna parte e riflettevo sul fatto che a Ponza c’è un’alta mortalità per tumori.
Ma ci sono mai state iniziative per poter indagare sulle eventuali cause di questa malattia?
Oggi, la richiesta di avere il registro dei tumori non è un optional, ma è il primo passo per capire se e verso dove avviare un’indagine.
L’esposizione ad agenti nocivi dà i suoi effetti anche dopo decenni, quindi uno studio che sia produttivo ha bisogno di tempo.

Intanto è auspicabile che ci sia un autocontrollo della cittadinanza con la diffusione delle informazioni e la lotta alle discariche abusive che facilitano lo sversamento di rifiuti inquinanti. Mai come in questo caso l’azione individuale ha ricadute sulla collettività.
Chi ha permesso che fossero sotterrati i rifiuti delle industrie del Nord nel proprio terreno l’ha fatto per ignoranza, per ingordigia, o per le coercizioni della camorra, ma anche perché se non l’avesse permesso lui, l’avrebbe permesso il suo vicino.
Quanti danni provoca quella posizione così protettiva degli interessi personali che si esprime con- “…e a me, che me ne importa degli altri!?”

E, badiamo bene, all’inquinamento di queste zone hanno contribuito anche persone delle istituzioni, nelle figure dei politici e dei burocrati che hanno gestito le discariche risultate non a norma o hanno permesso lo sversamento in esse di rifiuti non trattati o hanno realizzato in maniera non conforme le bonifiche successive, come è successo a Bagnoli. Tutti i commissari di governo che si sono succeduti a Napoli e in Campania, da Rastrelli a Bassolino, a Bertolaso, hanno le loro responsabilità e non sono poche.

Bagnoli 1 [6]

Particolare della zona industriale di Bagnoli

Così, oggi, tutti i comitati rifiutano l’invio dell’esercito per il controllo del territorio perché non si fidano più di nessuno: vogliono controllare loro. In un convegno a cui ho partecipato, una piccola impresa di giovani che si interessa di piattaforme informatiche, ha annunciato che stanno lavorando ad un sistema che consenta di rilevare e segnalare immediatamente la localizzazione di roghi: il responsabile dei comitati, lì presente, ha plaudito alla notizia, dicendo che sarebbe un ottimo strumento di aiuto alla popolazione.

Non solo. Quando sentono parlare di bonifica, si mettono all’erta perché temono che le attività connesse vadano appaltate ad imprese colluse con la camorra, cioè con chi ha lautamente guadagnato provocando il disastro, e che succeda, come a Bagnoli, che si faccia finta di bonificare, ma il terreno inquinato, invece che essere asportato venga, capovolto e sotterrato di nuovo, spalmando così il veleno su un terreno più ampio.

I comitati campani, attraverso #fiumeinpiena, stanno ampliando la rete di collegamento fra cittadini vittime dei disastri ambientali, perché il problema sia assunto come problema nazionale e non solo locale. Si auspica che il livello di attenzione rimanga alto in tutta la popolazione, anche quella non direttamente coinvolta, per evitare nuove e più intense diffusioni di malattie, malformazioni e mortalità.