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Il mostro del grottonedi Tina Mazzella . Ai Lettori di Ponza racconta In occasione della ricorrenza dei Morti appena trascorsa, che tante suggestioni evoca, mi permetto di proporre un aneddoto riferitomi da mia madre e da me rielaborato, estratto dal mio libro inedito “Fuga e ritorno – Il diario di don Piero”. . Domenica, 2 novembre 1930. Questa mattina mi è capitata una disavventura da mozzafiato incredibilmente buffa che, in un solo istante, ha fatto vacillare la mia sicumera insieme a quella parvenza di dignità di cui spesso mi ammanto. Il grido del vento che trovava nella sua struttura cavernosa una potente cassa di risonanza reso maggiormente temibile dal fragore delle onde che rumoreggiavano in basso le conferiva un aspetto lugubre e minaccioso. Addossato alle pareti come per trovarvi riparo, camminavo piano quasi a tentoni, incerto se proseguire o, palesando inequivocabilmente ai fedeli il mio cuor di leone, battere in ritirata. Rabbrividivo a tratti raccomandandomi a tutti i Santi del Paradiso e rivolgendo loro mentalmente delle preghiere. Un rumore nuovo e di dubbia natura alle mie spalle mi ha fatto trasalire. Forse erano dei passi cadenzati che percuotevano con forza il selciato o qualcos’altro di non ben definito che seguiva puntualmente le mie orme. Ho cercato di guardare nel buio, senza vedere niente. Intanto il cuore ha preso a martellarmi ed il respiro mi si è fatto affannoso; le mani stringevano la corona del Rosario; invano cercavo di convincere me stesso che ciò che credevo di avvertire fosse frutto unicamente della paura, di quella pazza paura che mi aveva colto all’improvviso facendomi battere i denti e rendendomi incapace persino di pensare. D’un tratto una figura mostruosa mi ha sorpassato di gran carriera parandomisi poi davanti ed urtando il mio viso. Era reale, viva e pelosa e non scaturiva certo dalla mia fantasia esaltata. Mi sono bloccato di scatto e, forse per un istante, anche il cuore ha cessato di battere, o almeno così mi è sembrato. Intanto mi giungeva da lontano una voce ‘umana’ e questa volta non si trattava di un’allucinazione: L’uomo mi si è avvicinato ansimando ed ha recuperato il suo animale salutandolo con due colpi di frusta sulla schiena: Il raglio del quadrupede gli ha risposto rassegnato e lamentoso, mentre le quattro zampe pestavano il suolo in segno di blanda protesta. Prima di riprendere il cammino Veruccio Martiello, additando l’asino, in un bisbiglio complice mi ha soffiato nell’orecchio questa confidenza: – A voi sì, Don Pié’, lo posso dire… è come in confessione: il suo vero nome è Stalìn; ma mia moglie, che è la prudenza fatta persona, mi ha convinto a chiamarlo Federale, pecché dice che con certa gente non si sa mai… anche il nome del ciuccio potrebbe mettermi nei guai… Rinfrancato, ho proseguito a passi lenti per la mia strada. Arrivato al cimitero, ho ripreso il mio ruolo di sacerdote ed insieme ad esso l’austero e consueto contegno razionale. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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