di Emanuela Siciliani e Domenico Musco
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Due eventi si sono accavallati in questi giorni: l’anniversario del 16 ottobre (ieri) del rastrellamento nazista al getto di Roma; inoltre le cronache della morte e i disordini innescati dalla sepoltura, del boia delle fosse Ardeatine.
Di quest’ultimo così ha riportato la notizia Tano, nel suo blog (v. in seguito): “L’11 ottobre è morto, con 100 anni di ritardo, Erich Priebke, boia nazista”.
In relazione a questi eventi, per conservarne la memoria, molto volentieri ospitiamo un reportage fotografico da Auschwitz di Emanuela e Domenico.
La Redazione
Inizia la visita
È il 16 ottobre del 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e rastrellano 1024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina (“Roma, stazione Tiburtina 16 ottobre 1943”: leggi qui su sinistrasenile di Tano Pirrone).
Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato.
I reticolati
Le baracche
La baracca del blocco 4
La torretta di guardia
I contenitori del gas letale, lo Ziklon B
Spazzole
Valigie
Scarpe
Ausilii ortopedici
Latrine
Visitatori
Comignolo del krematorium
Crematorio
Crematorio 2
Pericolo alta tensione
Sopravvivere
Seguono le immagini di quattro libri, di cui forse Emanuela qualche volta ci vorrà parlare…
[La nostra visita a Auschwitz-Birkenau (1) – Continua]

polina ambrosino
17 Ottobre 2013 at 20:42
Da quando, alle medie, venni a conoscenza della terribile storia della SHOAH, ho fatto ricerche sull’argomento e ho letto un’infinità di libri-testimonianze, sempre tremendamente forti e pieni, comunque, di vita, quella vita che il potere nazista non riteneva degna di essere vissuta. Ciò che ha ignobilmente dichiarato Priebke è che non c’era un disegno di sterminio, che i campi di concentramento erano solo luoghi di prigionia come ne sono sempre esistiti, e, addirittura, i forni crematori trovati sono solo quelli di Auschwitz poichè, a suo dire, “gli americani, con il valido aiuto del regista horror Hitchcock, li hanno ideati e costruiti al fine di rendere i tedeschi invisi al mondo intero”. Questa aberrante versione dei fatti, così falsa e piena di crudele spregio per le vite di milioni di uomini resi numeri, spogliati di tutto, persino dei denti, costretti a subire esperimenti medici inutili e a crudo, utilizzati come si utilizzano oggetti vecchi fino a gettarli nei forni affinché di loro non rimanesse nulla, ebbene, questa versione dei fatti l’ormai defunto nazista, l’ha rilasciata non nel 1945, ma appena tre anni fa, ancora nel pieno delle sue facoltà mentali, ancora in piedi, ancora vivo. Vivo. Che il Signore lo abbia conservato addirittua per un secolo intero, è un mistero che non si pretende di capire, ma ciò che secondo me se ne può dedurre, è che un criminale vero può campare cento anni ma rimane tale. Non si pente, non si mette in discussione, non accetta di avere sbagliato. Ora che anche lui è passato da questa vita, se la vedrà con chi sta dall’altra parte.
Al mondo rimane la lezione, ancora non appresa, purtroppo, che le dittature e le guerre sono la peggiore espressione dell’uomo. L’uomo non è ancora civile, nonostante si dica tale, poiché non ha ancora imparato a convivere con il suo prossimo. Finché al mondo prevarrà il dominio, il potere di uno a discapito dell’altro, non esisterà civiltà: nessuna civiltà, anche la più grande, può dimostrare di non aver avuto nella storia la macchia di aver dominato grazie al sangue e al dolore di popoli oppressi. E finchè ciò non cambierà, non esisterà umanità, ma solo istinto alla sopravvivenza. Come dire: nessuna tecnologia, nessuna scoperta scientifica, nessuna conquista dello spazio renderanno l’uomo migliore finchè ci sarà chi viene ucciso in nome del potere di un altro.
Auschwitz non è bastato.
Antonino Di Stefano
20 Ottobre 2013 at 22:20
Quello che non riuscirò mai a capire è come sia possibile che persone che hanno vissuto sulla propria pelle tutta la cattiveria umana siano poi capaci di usarla contro gli altri come succede in Palestina!
polina ambrosino
21 Ottobre 2013 at 14:47
Chi cresce nella violenza diverrà violento. Questa è la spiegazione. Purtroppo la sete di vendetta è più forte della sete di giustizia.Ed è quello che intendevo sopra: l’uomo è lungi dall’essere civile…
Lorenza Del Tosto
21 Ottobre 2013 at 17:05
Sulla prima parte del bel reportage di Emanuela e Domenico vorrei mettere questo commento:
“Il bisogno di vendetta e sempre legato al sentimento di impotenza. Temo che sia gli israeliani che i palestinesi continuino a sentirsi impotenti, come non potrebbero? Non riesco ad immaginare il senso di impotenza che può aver lasciato nel ghetto quanto successo il 16 ottobre, e pertanto continuino entrambi a desiderare la vendetta.
Complimenti per il reportage. Molto commovente nonostante sia una storia così tristemente nota. Le foto spoglie di parole sono devastanti.
E complimenti per l’articolo di Tano Pirrone
Una piccola nota personale. Lessi a 12 anni “Se questo è un uomo”. E mi scosse profondamente. Ho ripreso in mano il libro da adulta a 40 anni e non sono riuscita a finirlo in rilettura. Non riuscivo a sostenerne il dolore.
Mi sono chiesta perché.
L’unica risposta che ho trovato: forse da ragazzi si ha ancora un’inconscia speranza di poter cambiare le cose, che la nostra vita segni un riscatto.
Poi il tempo ci dice che anche noi forse stiamo passando invano e che giustizia non si è fatta.
Luc HENRIST
26 Ottobre 2013 at 17:36
Antonino, mi dispiace ma non vedo come uno potrebbe paragonare questo genocidio del popolo ebreo che ha fatto 6 millioni di vittime in un po più di 5 anni con un conflitto che ha fatto in 60 anni, 6 milla vittime… Se lo stato d’Israele avesse avuto l’intenzione di distruggere i Palestinesi l’avrebbe già fatto da tanto tempo…