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Ancore e… ancore di salvezzadi Gabriella Nardacci . In qualche passo dei poemi omerici le ancore sono descritte come una grossa pietra, forse inizialmente intera e che in seguito era provvista un foro centrale così che la corda vegetale potesse essere legata in maniera più sicura. In qualche museo di storia antica se ne possono vedere alcune rinvenute che risalgono all’Età del bronzo. Greci e Fenici, ne conoscevano l’uso e i Romani ne hanno migliorati i tratti. Ogni nave ne deve avere due il cui peso oscilla da duemila a novemila chili ciascuna e per i viaggi transoceanici è prevista, e obbligatoria, anche una terza ancora, detta “speranza” che funge come da “ruota di scorta”. Parti dell’ancora (da Wikipedia): a. Fusto; b. Diamante; c. Marra; d. Patta; e. Unghia; f. + g. Occhio e cicala; h. Ceppo; i. Cima d’ormeggio
Le ancore possono essere di molti tipi; queste le più note: Butta l’ancora! – in ponzese: vott’ ’u fierr’! Se penso alla parola “ancora”, non mi viene in mente di pensare solo all’ancoretta che misura la temperatura del tempo e che ho appeso in una parete della mia casa al mare, bensì a intrigati percorsi che fa la nostra mente. Per qualcuno “ancora” è condizionamento e anche stimolo. Può sembrare strano come questa “serendipità” sulla parola “ancora” abbia smosso in me un’associazione con fatti attuali, tragici e tristi. Barconi pesanti di persone, alcune delle quali nascoste nella pancia di madri a metà. Persone in erba e persone disperate che fuggono su mezzi precari e con una sola ancora, la “speranza”. Uomini delusi e affamati che disertano la guerra e la povertà. Giovani senza sorriso con gli occhi sgranati per aver visto solo distruzione senza possibilità di ri-costruzione di sogni e di ripari e che nella via di fuga sono stati spettatori di sogni affogati. Tutti verso un’isola che appare come approdo felice. L’isola dorata dove poter ricominciare e alla quale è stato dato un nome pieno di poesia: “la porta d’Europa”. Basta solo una fune per attraccare in quel porto che per i poveri e ospitali isolani, sta diventando solo un posto di accoglienza permanente altro che di passaggio per terre senza confini! Non si può rimanere indifferenti a tanta tragedia. Solo lavorando tutti insieme possiamo definire “nostro” il mondo intero e tutta l’Europa deve collaborare perché ogni persona fa parte del resto del mondo.
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