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Le isole del mito. (11). Ushuaia e altri luoghi estremi.di Sandro Russo . Abbiamo già parlato qualche volta di Bruce Chatwin (1940-1989) – Leggi qui Partì quasi immediatamente per il Sud America – Chatwin applicava i precetti della serendipity (leggi qui), di prendere al volo le occasioni che gli si presentavano – e appena arrivato a destinazione comunicò al giornale l’annuncio delle proprie dimissioni, con un laconico telegramma: “Sono andato in Patagonia”.
La punta estrema del continente sud-americano divisa tra Cile e Argentina L’estremo sud, con la città di Ushuaia e Capo Horn “(…) Raggiunsi la città più a sud del mondo. Ushuaia era sorta nel 1869, quando il reverendo W. H. Sterling aveva fatto costruire, vicino alla capanne degli indios Yaghan, l’edificio prefabbricato della Missione. Per sedici anni anglicanesimo, orti e indios avevano prosperato. Poi arrivò la Marina militare argentina e gli indios morirono di morbillo e di polmonite. Per gran parte della prima metà del XX secolo, la città fu centro di una prigione per criminali pericolosi. Il governo argentino allestì la prigione seguendo l’esempio degli inglesi in Australia: essendo un’isola remota, scappare da una prigione nella Terra del Fuoco sarebbe stato impossibile. I prigionieri divennero così forzati coloni e trascorrevano molto del loro tempo a tagliare legna nell’isola intorno alla prigione e a costruire la città. È da segnalare, per una eventuale visita alla Ushuaia dei giorni nostri, el Museo Marítimo installato nell’antico carcere (una delle prigioni più famose della storia argentina) e l’escursione con il Tren del Fin del Mundo che percorre uno dei sentieri utilizzati dai carcerati decine di anni fa, per rifornirsi di legna attraversando i boschi centenari. Il faro della baia di Ushuaia; notare le montagne innevate sullo sfondo *** Parliamo di luoghi estremi, come sono le terre “alla fine del mondo” che un incoercibile fascino hanno sempre esercitato sui cercatori di assoluti. Si parva licet componere magnis, ovvero, nel loro piccolo, gli isolani delle parti nostre sono da sempre abituati alla finitezza, anche se esistono delle isole dove questa è meno evidente. A Ischia, per esempio, o anche a Pantelleria, l’esistenza di una strada grossolanamente circolare che segue il contorno della costa può dare l’illusione di ricominciare ogni volta da capo. Altre isole sono invece allungate con una sola strada che collega le due estremità. Ponza è una di queste; il porto borbonico ad una delle estremità, non dà l’impressione di ‘fine della strada’, anche se partendo da esso e proseguendo in salita, la strada finisce al cancello del Cimitero, sulla Punta della Madonna. Google map dell’estremo nord-est dell’Isola di Ponza. Dalla mappa è ben evidente che la parte abitata (insieme con le strade) si interrompe ad una certa distanza del braccio di mare che separa l’isola maggiore dall’isolotto di Gavi Segnalazioni stradali alla fine della strada Mentre l’isola continua… si diceva, con una parte non abitata, servita da un sentiero scosceso molto suggestivo – e opportunamente indicato – che si snoda tra rocce brulle e attraverso una tipica macchia mediterranea: Indicazioni per il sentiero di Punta Incenso (cliccare per ingrandire) E la parte a mare non è meno interessante e bella:
Il versante di sin (dal lato di Palmarola).: visibili una parte di Cala Felci, Gavi e Zannone Ruotando ancora lo sguardo sul versante di Ponente: Palmarola! Il versante di Levante: verso l’estremo dell’isola e, nelle tre foto qui sotto, verso il Porto Il versante di destra (dal lato del porto): verso l’estremo dell’isola (sopra) e verso il Porto
Tremendi questi ponzesi – penserà più d’uno – partono dalla fine del mondo per parlare poi in fondo sempre della loro isola.
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