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La messa in scena teatrale di ‘Confinati a Ponza’

di Rosanna Conte

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La sera di venerdì 23, a Giancos, abbiamo assistito a una pièce teatrale di ambientazione ponzese, Confinati a Ponza.

Insieme all’evento Ponza in tavola e alla presentazione del libro di Antonio De Luca Vinea loquens, è uno dei pochi avvenimenti di questa estate riguardanti l’isola e quindi capace di attirare l’attenzione dei ponzesi, oltre che degli eventuali ospiti estivi.

E’ stata una rappresentazione apprezzabile per il livello della recitazione, per la semplicità ed essenzialità della scenografia, per il coordinamento della regia, tanto che il pubblico ha partecipato emotivamente a quanto accadeva sulla scena.

Il testo, scritto da Alberto Gentili, tratta una tematica classica: il rapporto fra i sentimenti nati dall’amicizia e quelli scaturiti da scelte di vita improntate a valori divergenti.

E’ un tema molto interessante con ricadute nella vita di tutti, ma aver scelto di trattarlo con due personaggi storici la cui amicizia sa più di confronto politico e le cui divergenze sono segnate non solo da un abisso fra i valori dell’uno e dell’altro, ma anche dalla reciproca lotta nonché dai dolori che Nenni ha subito per l’azione politica di Mussolini, rende arduo e abbastanza improbabile lo sviluppo di una dinamica riconciliativa.

Infatti la domanda posta del testo è: Si può tornare ad essere amici se cadono le condizioni di contrapposizione che hanno determinato una lunga lotta ventennale in cui la morte e l’annientamento delle libertà di un popolo hanno costituito lo spartiacque fra le due sponde opposte?

Partiamo dalla condizione dei due che, accomunati dal termine “confinati”, in realtà di comune hanno solo l’isolamento. Ambedue sono presenti sull’isola in condizioni di limitazione delle libertà personali, ma Nenni è un ‘confinato’, cioè una persona ritenuta pericolosa per il regime dittatoriale fascista e come tale allontanato e posto in condizione di isolamento; Mussolini è un prigioniero del  nuovo governo che da un lato dice di volerlo proteggere da eventuali atti contro la sua persona e dall’altro lo isola  per evitare che possa riprendere in mano la situazione politica.

Da qui i dubbi sul titolo Confinati a Ponza che sembra un po’ pretestuoso, come conferma l’assenza di ogni riferimento alle difficoltà e alle sofferenze dei veri confinati.

Probabilmente lo stesso autore ne è consapevole se pone come grimaldello per aprire gli animi dei due personaggi, una donna semplice, Luisa De Luca, che nulla sa di politica, che non si è mai posto l’interrogativo del perché Nenni sia confinato a Ponza, e   si lascia guidare solo dal senso comune formato sui valori cristiani della pietà e del perdono.

Luisa, che prepara le pietanze per i due, si pone in maniera semplicistica il problema della riappacificazione fra due ex amici che si incontrano in momenti di sofferenza, e Alberto Gentili affida a lei il compito di scavare dentro l’animo dei due protagonisti.

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Se Luisa è la personificazione del senso comune della massa, la figura silenziosa  che attraversa il palcoscenico con passo e sguardo inesorabile, personificazione della Nemesi storica, vuole suggerire che la presenza di Mussolini a Ponza in veste di prigioniero non è solo opera umana e che ci si può ritenere soddisfatti della sua punizione senza dover ricorrere alla giustizia terrena.

Il testo quindi, tende alla riconciliazione da due punti estremi e contrapposti: dall’assenza di coscienza politica presente nelle pieghe di tutti i livelli della società e dall’accettazione dell’imponderabile giustizia divina che cala dall’alto.

 

Nella semplicità di chi non riesce ad avvertire la ricaduta dei grandi eventi  sulle singole vite, Luisa non  comprende che l’amicizia e l’inimicizia fra i due si sono sviluppate sul perseguimento di obiettivi ideali, prima contigui e poi  contrapposti: così gioca il suo intervento solo sul sentimento.

Sia Nenni che Mussolini, sollecitati dalle sue domande e osservazioni, reagiscono col rifiuto e il dubbio, ma con motivazioni diverse. Ambedue, sull’onda del ricordo vorrebbero incontrare l’altro, ma non hanno il coraggio di farlo: Mussolini perché dovrebbe ammettere la sua sconfitta e presentarsi da vinto, cosa che gli è più facile fare con la serva Luisa che con il suo avversario politico, Nenni perché non potrebbe perdonarsi di concedere pietà a chi ha ucciso, torturato,  perseguitato e pietà non ha avuto per gli altri.

L’Autore, giocando sull’imponderabile, ha però ascritto a Nenni un punto debole: pensa che Mussolini l’abbia, probabilmente, salvato da morte certa per mano dei tedeschi in Francia, facendolo estradare in Italia. Proprio su questo insiste Luisa e il ritardo irrimediabile con cui Nenni decide di incontrare il suo ventennale nemico può solo indicare il cedimento nella finzione scenica, perché dall’altro, la coscienza di Nenni, saldamente ancorata ai valori di  una vita per cui si era battuto e avrebbe continuato a battersi, non avrebbe potuto nella realtà storica giungere ad una riconciliazione senza senso.

La risposta alla domanda di fondo posta dall’autore, pertanto, è da ritrovarsi nelle pieghe della chiusa. La proiezione estetica consente di superare gli  ostacoli al libero fluire dei sentimenti e può far emergere anche quelli che l’insormontabile barriera innalzata dal giudizio morale difficilmente farebbe affermare. Ma nella lotta quotidiana per l’affermazione dei propri ideali, il tormentato animo umano non trova motivazioni per annullare un giudizio morale con un abbraccio o una stretta di mano.
Gli attori sono stati bravissimi. Francesco Maria Cordella ha impersonato con maestria un Mussolini deluso, solo, abbattuto e ansioso, il cui tratto volitivo viene piegato solo dalla fame.
Stefano Onofri ci ha dato un inedito Nenni che, delineato attraverso i sentimenti della gioia, per l’immediata liberazione, del dolore per la perdita della figlia Vivà nei campi di concentramento, dell’odio e dell’improbabile riconoscenza verso Mussolini, emerge, al di là del suo apparato ideologico, come facile terreno di scavo per  la semplice Luisa.
E Carmen Di Marzo è stata una naturale e semplice ponzese che, nella sua cucina, preparando pietanze per gli altri, anche col poco o pochissimo che si riusciva a trovare in quel periodo sull’isola, non mette a tacere la sua curiosità di donna per il dolore degli altri.

I tre attori sono stati asciutti nella loro recitazione, senza sbavature ridondanti. La loro gestualità è stata sempre in armonia con le azioni del contesto, interagendo con naturalezza nel rispetto delle parti.

Anche Eleonora Ruta, che ha calcato la scena  silenziosamente, è stata una brava Nemesi: il suo volto immobile, metteva in evidenza solo il freddo sguardo che guardava lontano e a questo suo tratto fondamentale ha adeguato il passo.

La scenografia, di Susanna Proietti, semplice ed essenziale, ricreava l’interno di una cucina ponzese degli anni trenta, dove era presente anche la novità di allora, la macchina per cucire Singer, riposta nei ripiani più alti della parete attrezzata. Un tavolo con una sola sedia indicava l’impossibilità di avere sulla scena i due protagonisti storici; per Luisa c’era lo sgabello. Naturalmente la funzionalità della scenografia era determinata anche dalla finestra, aperta alle novità, e dalla porta la cui apertura e chiusura delimitava i quadri.

Apprezzabile, pertanto, è stata la regia di Francesco Maria Cordella che ha saputo calibrare la pluralità di elementi che hanno concorso alla rappresentazione.

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