Nardacci Gabriella

Altri viaggi. Cammina… cammina… (1)

di Gabriella Nardacci

 

…Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza.
Non è ancora arrivato.
[Da: “Palomar” (1983) di Italo Calvino; Einaudi Ed.]

Una romantica donna inglese

.

Di solito si dice che la felicità basta a se stessa e che quando si “raggiunge” un simile stato di grazia, non esistono pensieri da appuntare né da analizzare e tutto ci appare semplice e facile.
Questo accade raramente nell’età adulta e più sovente nell’infanzia fino all’adolescenza: nulla ci scuote e ogni cosa assume valore di utilità ai fini della “felicità” stessa.

Poi arrivano le inquietudini: i primi sofferenti amori, le prime scottanti delusioni in amicizia, i contrasti con il mondo degli adulti. Non ci si fida più di nessuno per raccontarsi e per sfogare la rabbia. Si sente il bisogno impellente di un amico che sappia ascoltare, che sappia tenere un segreto senza giudicare e senza dare consigli e, dal momento che chi tale si riteneva ci ha tradito, ci si rivolge “all’alter ego” sciorinando “verità” portate al limite del pessimismo e della incomprensione totale.

Ricordo che, per diverso tempo, cercai un nome particolare per l’altra me, comoda e silenziosa. La chiamai “Nelson”, non perché nutrissi ammirazione per l’eroe nazionale britannico, quanto perché ero certa che nessuna delle mie amiche potesse mai pensare a un nome del genere (tra l’altro maschile) e che Nelson era davvero un amico originale e unico.
Ogni sera, prima di andare a dormire confidavo a Nelson i miei problemi e gli raccontavo come avevo trascorso la giornata e quali ostacoli avessi incontrato e superato in amore, in amicizia e con i “matusa”.

Avevo cominciato un “viaggio” personale ed intimo: prima rudimentale forma di viaggio intrinseco sul quale, oggi, rileggendone le pagine, si sorride ma che, alla luce della psicologia, potrebbe essere “spia rivelatrice” di ciò che oggi sono “problemi”.
C’è chi ha fatto del “Diario” uno strumento di conoscenza per la collettività trasformandolo in un libro: diari di bordo, diari di viaggio per pura conoscenza di culture diverse, diari storici e diari di travagli interiori.

Diario

Dai viaggi dentro di sé ai viaggi reali effettuati fisicamente da soli o in gruppo. Dal viaggio reale al viaggio della fantasia, dal viaggio di sogni ad occhi aperti al viaggio virtuale.
La nostra vita è scandita da viaggi e questi vengono visti come metafora della vita.
Il “viaggio” inteso non solo in senso sostanziale quindi ma anche in senso simbolico  di desiderio, ricerca, distacco, conoscenza, paura, adattamento, fuga e/o ritorno.

Un “viaggio” che è anche fisico e simbolico insieme, perché colui che viaggia porta con sé una valigia che è anche “zavorra” da alleggerire all’arrivo e colui che viaggia senza bagaglio, comunque porta con sé, in tasca magari, qualcosa dei luoghi visitati che ha la capacità di ricondurre la memoria a ciò che si è visto e conosciuto.
E per chi non vuol tornare non esistono approdi. Si viaggia e ci si ferma solo per riposarsi, per poi continuare a viaggiare: all’infinito.

Piccionaia. Palomar in spagnolo

Piccionaia. ‘Palomar’, in spagnolo

Perché? Forse perché non si vuole stare da nessuna parte o perché non si trova quel che si cerca e si continua a viaggiare perché si è convinti che da qualche parte c’è. Forse si viaggia perché c’è un obiettivo da raggiungere o forse perché si vuole fuggire da qualcuno o da qualcosa o semplicemente perché si desidera fare conoscenza di altre culture e terre diverse.

André Gide diceva che si viaggia per manifestare la propria essenza mentre Herman Melville a cui non interessava la terra, pensò di darsi alla navigazione per “vedere la parte acquea del mondo”.

Herman Melville
La motivazione di Moravia al viaggiare era “per risolvere questioni insolubili” mentre per il grande Antonio Machado quella di “realizzare la propria nascita”.

Ogni motivo sostanziale ne nasconde un altro simbolico e viceversa. A volte le paure possono celarsi dietro questi motivi: paura di scegliere, paura di affrontare la realtà, paura di decidere o, forse, solo una: la paura di morire perché la sola parola “immobilità” disturba scriverla, leggerla e spiegarla.
Fare i conti con la nostra aleatorietà è dura.

Un grande filosofo arabo, Ibn al-Arab dice: “L’origine dell’esistenza è il movimento. In essa quindi non può esistere l’immobilità… perché se l’esistenza fosse immobile  tornerebbe alla sua origine, che è il Nulla. Per questo il viaggio non cessa mai”.

Ah! Noi uomini con poche certezze… limitati e gravitanti!

Partire per un viaggio

[Cammina … cammina… (1). Continua]

2 Comments

2 Comments

  1. Cristina (cricru)

    10 Agosto 2013 at 18:25

    Viaggiare mentre ti si legge…

  2. La Redazione

    3 Febbraio 2020 at 08:57

    Del camminare scrive Enzo Bianchi, già priore della Comunità di Bose, su la Repubblica di oggi 3 febbraio 2020:

    Nel cammino il senso della vita
    di Enzo Bianchi

    Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio non posso più camminare a lungo, ma paradossalmente in me si è molto accresciuto il desiderio di fare passeggiate. Camminare significa mettere un piede davanti all’altro e spingersi verso un altrove, lasciando che il proprio corpo si muova e percorra un tragitto segnato da altri che hanno camminato prima di noi, fino a lasciarne le tracce. “Camminando si apre cammino’, aveva ben intuito il grande poeta Machado (leggi anche qui). Camminare è decisivo per noi umani, ma purtroppo lo scopriamo tardi, cosi come tardi ci accorgiamo che la vita è un cammino da percorrere giorno dopo giorno, verso una meta che non sempre abbiamo chiara davanti a noi. Non rifletto dunque sul cammino dei pellegrini sulle vie sante, che portano a Compostela, Roma o Gerusalemme. Oggi il camminare non è più una pratica quotidiana necessaria, perché ricorriamo all’auto o ai mezzi pubblici. Un tempo, invece, lungo la strada c’era sempre gente che camminava con i suoi bagagli, con i suoi “fagotti” e i suoi pesi da portare, a volte schiaccianti. Oggi i medici raccomandano di dedicare almeno mezz’ora al giorno al camminare spedito, perché è un esercizio benefico per la salute del corpo, ma secondo me lo è soprattutto per la salute della mente e dello spirito. Anche perché, se si cammina veloci, lo si fa da soli, e allora, nella concretezza del mettere un passo dietro l’altro, silenzio e solitudine diventano fecondi, stimolati da tutti i sensi accesi dal camminare. Non a caso il filosofo greco Diogene ripeteva, di fronte agli interrogativi più difficili: “Solvitur ambulando”, “camminando il problema sarà risolto”. E quando si passeggia in due, allora la conversazione, gli sguardi incrociati, diventano linguaggi carichi di complicità, affettività e tenerezza. Camminare insieme a un altro è mai inutile, mai tempo perso, ma guai a fare passeggiate, in mezzo alla natura, eliminando il silenzio con musiche o voci immesse direttamente nei padiglioni auricolari. Solo nel silenzio, infatti, si può fare l’esperienza che “niente è senza voce”, come scriveva Paolo di Tarso. Sì, quando cammino e non resto distratto o chiuso in me, ogni cosa ha un messaggio da offrirmi, anzi diventa essa stessa una parola. È così che emergono presenze insospettate, domande essenziali, e avvengono anche dialoghi immaginari con una volpe che ci osserva o un corvo che ci saltella davanti… Nel camminare, soprattutto in campagna e tra i boschi, c’è un’adesione del corpo alla terra che ci fa sentire più che mai terrestri. Camminare su questa terra è immergersi in un flusso di vita in cui siamo co-creature, tutte conviventi — umani, animali, alberi, muschi, fiori, sassi — e in questo fiume spetta a noi farci loro voce e loro pensiero, in una reale comunione. Mi diceva un monaco dell’Athos: «Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio e paralizzato alle gambe posso dirmi: “Siediti e cammina».

    L’autore, Enzo Bianchi 76 anni, saggista e monaco laico, ha fondato la Comunità monastica di Bose in Piemonte

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