di Giuseppe Massari
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Tipi di incendi. I forestali americani distinguono gli incendi in base alla loro gravità:
1) i fire-crown, sono gli incendi della chioma, riguardano principalmente i boschi con gli alberi dominanti;
2) gli incendi di superficie agiscono sulla vegetazione arbustiva sul tipo della macchia mediterranea; in genere sono incendi che passano velocemente perché il combustibile da ardere è poco, i terreni sono generalmente in pendenza, il danno che provoca è superficiale;
3) gli incendi profondi sono i più devastanti. Essi avvengono in zone pianeggianti, dove il fuoco avanza lentamente e il calore che sprigiona penetra nel suolo fino agli strati più profondi, dove danneggia le radici delle piante, la microflora e la microfauna, la materia organica presente che una volta si chiamava humus, compromettendo definitivamente o per tempi molto lunghi la ricostituzione della vegetazione.
I danni degli incendi. Sono difficili da valutare, a meno che non si tratti di case, manufatti, linee elettriche cioè di oggetti che hanno un valore di mercato. Il problema nasce con i boschi, dove gli alberi bruciati si valutano in base al peso del legno che avrebbero avuto se fossero stati tagliati come legna da ardere.
Le querce di un bosco pluricentenario bruciato, che non rivedremo mai più, si valutano come legna da ardere!
Tipi di vegetazione: la macchia. Valerio Giacomini, il professore di riferimento della generazione di Geobotanici alla quale appartengo, nel volume “La Flora, Conosci l’Italia”, ha descritto vari tipi di macchia e le loro trasformazioni in conseguenza dell’attività umana, del passaggio dell’incendio, del pascolo. Qualche cenno almeno in parte riferibile alla realtà ponzese.
La macchia di leccio (Quercus ilex) – è caratterizzata dal predominio del leccio, cui seguono il corbezzolo, il lentisco, la fillirea, l’alaterno. È poco rappresentata a Ponza; persiste a Zannone dove la parte dell’isola opposta a quella che guarda verso Ponza ospita un bosco di lecci. Un’idea di come potesse essere anche l’isola maggiore, prima di essere deforestata.
La macchia a corbezzolo ed erica – è un aspetto notevole di questo tipo di vegetazione. Il corbezzolo è un piccolo albero con la corteccia rossastra, i fiori in grappoli biancastri, i frutti zigrinati di color rosso vivo.
Il nome specifico Arbutus unedo deriva, secondo i bene informati, da unus edo, per indicare che di frutti se ne mangiava uno solo, poi venivano a noia.
È interessante notare che quando viene incendiata la macchia, la specie che per prima riprende a vegetare, già poche settimane dopo l’incendio è il corbezzolo.
La macchia a cisti. In tutta la penisola e nelle isole vi sono aspetti di macchia in cui dominano i cisti. È una macchia bassa però ben sviluppata, soprattutto quando la pianta dominante è il cisto marino (Cistus monspeliensis), a fiori bianchi, piccoli, con le foglie leggermente vischiose, e il cisto femmina (Cistus salvifolius) a fiori bianchi.
La macchia a olivastro (oleastro) e lentisco è una macchia cespugliosa con oleastri bassi, ispidi, contorti e con lentisco alto 1-2 metri. Vi è chi considera il lentisco (Pistacia lentiscus) l’arbusto più abbondante e più evidente nella macchia mista mediterranea. Il lentisco è un bell’arbusto, raramente un piccolo albero, a foglie lucide, persistenti, di un bel colore verde, arrossate d’inverno durante la stagione fredda.
La macchia ad euforbia è una delle più frequenti lungo i litorali caldi e prevale in modo abbastanza durevole. A Ponza cresce po’ ovunque, in particolare sui pendii rocciosi.
Zannone. La scalinata in pietra verso l’antico Monastero Nella parte dell’isola che guarda Ponza. Le macchie rossastre costituiscono la livrea estiva di Euphorbia dendroides
La macchia a euforbia è anche frequente sulle rupi del Circeo dove si dice abitasse la maga Circe che preparava filtri e veleni.
Inevitabile pensare che tali leggende fossero collegate all’euforbia arborea (Euphorbia dendroides), una delle più belle e grandi euforbie europee, ma anche una delle piante velenose più anticamente note.
I pescatori l’usavano per stordire e catturare i pesci. I ponzesi chiamano cecauocchie le euforbie (compresa Euphorbia characias) per via del lattice urticante che secernono quando qualunque loro parte viene spezzata e che è bene non toccare; soprattutto non contaminare col lattice gli occhi.
Palmarola. Euphorbia dendroides e Helichrysum sullo sfondo dello Scoglio di S. Silverio
Altre specie sono frequenti nella macchia ad euforbie, il lentisco onnipresente, i cisti, le ginestre per cui si tratta sempre di macchie miste, in particolare dove la pressione umana si è fatta più sentire.
La macchia a ginestre o arbusti genistriformi è un altro aspetto notevole. La specie a tutti più nota è la vera ginestra (Spartium junceum), conosciuta anche come ginestra di Leopardi, da quando il grande poeta le ha dedicato il carme, ambientandola sulle pendici sterili del Vesuvio.
Chi apre il sito “Ponza racconta” è piacevolmente investito dal giallo accecante della fioritura della vera ginestra.
L’altra ginestra di Ponza è la ginestra efedroide che vanta una fioritura meno appariscente ma è molto diffusa sull’isola con il nome di ’uastaccette – (g)uastaccette per la durezza del suo legno che danneggiava la lama delle accette.
Il nome scientifico era Genista ephedroides, poi sostituito in Genista tyrrhena. Recentemente Brullo e De Marco hanno istituito una sottospecie dedicata a Ponza con il nome di Genista tyrrhena subsp. pontiana.
Si tratta di un subendemismo che rappresenta un bel riconoscimento per la flora di Ponza.
La ginestra tyrrhena che per abitudine continuiamo a chiamare ‘efedroide’ forma una vegetazione impoverita, una gariga più che una macchia, sulle parracine abbandonate, dove svolge un ruolo colonizzatrice come pianta pioniera.
[Incendi & Conseguenze (2) – Fine]
