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Sul recente libro di Antonio De Luca. Il senso dell’andare

di Sandro Russo

Faro della Guardia visto dalla casa di Antonio [1]

 

Non so se ricorda, Antonio, che alla gittata di cemento dell’impiantito della baracca o, ‘alla ponzese’, barracca, a punta Fieno – per quello che avrebbe costituito nucleo base della sua casa-rifugio, a jancada de pedra  – c’ero anch’io.

Avevamo tutti circa 35 anni di meno, e portare su a spalla dal mare le sacchette di cemento, dall’instabile approdo sotto la cantina di Giustino, non ci faceva paura. Anche così, a metà salita mancava il fiato e le gambe si piegavano sotto il peso.

Non che nessuno di noi avesse ben chiaro quello che si stava facendo. A quell’età si seguivano solo i sogni, e più folli erano più ci si credeva.

E ricordo Antonio come invasato, preso da un’eccitazione febbrile, stare dappertutto e mai dove serviva; dare ordini e contrordini… E porco qua… e porco là..!
Di quell’avventura abbiamo riparlato (e riso) per anni.

Non era il solo a essere pazzo – o a fare il pazzo – a quei tempi.
Qualche anno prima anch’io ero approdato a Palmarola con due pale, un piccone e un paio di caldarelle, con l’idea fissa che su quella falesia bianca già trapuntata di grotte, avrei certamente trovato il posto per farne anche una per me.
Poi la persuasione paziente di mio zio Elio e più di un’ispezione in loco, mi convinsero a desistere: mi fa spiegato – mentre incredulo stavo a sentire e pian piano cominciavo a capire – che ogni palmo di quella roccia aveva un proprietario (o diversi proprietari, essendo proprietà rimaste indivise per generazioni) e guai a piantare un paletto o scavare una buca…

Ma per dire… Erano gli anni  – nostri anagrafici e epocali – dell’immaginazione al potere.
“Gli anni più belli della nostra vita” – avremmo detto dopo – ma mentre li vivevamo non lo erano per niente!

A ripensarci adesso posso solo ricordare quanto eravamo confusi! Come partivamo d’impeto per i progetti più strampalati riversandoci dentro tutta l’energia possibile: la forza e l’entusiasmo della gioventù trionfante, la convinzione assoluta che altre strade non ci fossero.

 

Forse Antonio di tutti noi – incontrandolo di nuovo ad intervalli di anni ‘nel corso del tempo’ – è stato quello che più ha mantenuto, anzi ‘coltivato’ la sua pazzia. Venivo a conoscenza – da mio fratello Renzo, suo indefettibile amico – dei suoi andirivieni per il mondo, delle sue storie, dei suoi entusiasmi e furori. Sceglieva – o era dominato – dal suo demone (dáimōn) come ciascuno di noi dal proprio.

Nelle nostre vite abbiamo vagato qua e là (abbiamo anche avuto la fortuna di poterlo fare; in altri tempi non sarebbe stato possibile!), fatto incontri apparentemente casuali, iniziato e finito storie.

Mi ha sempre colpito molto uno scritto di Karen Blixen, la scrittrice danese de ‘La mia Africa’.
A Karen bambina raccontavano questa storia, che lei così rielabora nei suoi anni successivi: “Un uomo, che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna…
(…) Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?”

Questa sensazione – di aver vissuto e agito quasi alla cieca – comincia a delinearsi ad una certa età della vita; quando si tentano dei bilanci, o una sintesi.

Anche il ‘nostro’ Tabucchi ne ha parlato in una intervista dei suoi ultimi anni. In questi termini: “…E’ come uscire a fare una passeggiata nella neve… tornare in casa e vedere nelle orme, dalla finestra, il senso che ha avuto il camminare”.

 

Il libro di Antonio, a mio modo di sentire, va in questo solco.
È il sublime ‘dono’ della scrittura permettere di guardare indietro alla strada che si è fatta e ripensarla… Non solo! Mettere in ordine fili sparsi e cercare una trama, una traccia complessiva attraverso tante albe e tramonti, per cammini impervi, attraverso lotte, dolori, amori…

A volte possiamo esserne sconcertati, a volte ammirati: sempre coinvolti, perché in forme e modi diversi è la nostra storia.

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Uomo ai remi [2]