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Sul recente libro di Antonio De Luca. Il senso dell’andaredi Sandro Russo
Non so se ricorda, Antonio, che alla gittata di cemento dell’impiantito della baracca o, ‘alla ponzese’, barracca, a punta Fieno – per quello che avrebbe costituito nucleo base della sua casa-rifugio, a jancada de pedra – c’ero anch’io. Avevamo tutti circa 35 anni di meno, e portare su a spalla dal mare le sacchette di cemento, dall’instabile approdo sotto la cantina di Giustino, non ci faceva paura. Anche così, a metà salita mancava il fiato e le gambe si piegavano sotto il peso. Non che nessuno di noi avesse ben chiaro quello che si stava facendo. A quell’età si seguivano solo i sogni, e più folli erano più ci si credeva. E ricordo Antonio come invasato, preso da un’eccitazione febbrile, stare dappertutto e mai dove serviva; dare ordini e contrordini… E porco qua… e porco là..! Non era il solo a essere pazzo – o a fare il pazzo – a quei tempi. Ma per dire… Erano gli anni – nostri anagrafici e epocali – dell’immaginazione al potere. A ripensarci adesso posso solo ricordare quanto eravamo confusi! Come partivamo d’impeto per i progetti più strampalati riversandoci dentro tutta l’energia possibile: la forza e l’entusiasmo della gioventù trionfante, la convinzione assoluta che altre strade non ci fossero.
Forse Antonio di tutti noi – incontrandolo di nuovo ad intervalli di anni ‘nel corso del tempo’ – è stato quello che più ha mantenuto, anzi ‘coltivato’ la sua pazzia. Venivo a conoscenza – da mio fratello Renzo, suo indefettibile amico – dei suoi andirivieni per il mondo, delle sue storie, dei suoi entusiasmi e furori. Sceglieva – o era dominato – dal suo demone (dáimōn) come ciascuno di noi dal proprio. Nelle nostre vite abbiamo vagato qua e là (abbiamo anche avuto la fortuna di poterlo fare; in altri tempi non sarebbe stato possibile!), fatto incontri apparentemente casuali, iniziato e finito storie. Mi ha sempre colpito molto uno scritto di Karen Blixen, la scrittrice danese de ‘La mia Africa’. Questa sensazione – di aver vissuto e agito quasi alla cieca – comincia a delinearsi ad una certa età della vita; quando si tentano dei bilanci, o una sintesi. Anche il ‘nostro’ Tabucchi ne ha parlato in una intervista dei suoi ultimi anni. In questi termini: “…E’ come uscire a fare una passeggiata nella neve… tornare in casa e vedere nelle orme, dalla finestra, il senso che ha avuto il camminare”.
Il libro di Antonio, a mio modo di sentire, va in questo solco. A volte possiamo esserne sconcertati, a volte ammirati: sempre coinvolti, perché in forme e modi diversi è la nostra storia. . Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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