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I sogni della notte di San Giovanni. (1)di Tina Mazzella
Era stata la nostalgia per la sua terra d’origine ad ingiungerle di tornare dopo più di venti anni di lontananza. Si era trattato dapprima di un vago rimpianto per le cose perdute, poi di un dolore sempre più acuto che, con lo scorrere inesorabile del tempo, le era lievitato dentro e l’aveva costretta ad assecondare quel bisogno dell’anima. La donna trasalì nell’udire pronunciare il nome del traghetto, lo stesso su cui aveva viaggiato l’ultima volta in cui aveva salutato la sua isola. Nel salirvi a bordo, le parve di ritrovare già qualcosa che la legava al passato; era forse un po’ dell’antica cordialità che si respirava in paese e che ne accomunava gli abitanti e, insieme ad essa, gli odori ed i rumori mai dimenticati: sentore pungente di nafta e di chiuso, rombo dei motori che si preparavano per la partenza, scricchiolio del cordame affaticato dalle manovre usuali e finalmente la parlata natia mai dimenticata. Il beccheggio del traghetto la ricondusse in stagioni lontane quando, costretta dalla necessità, soleva sfidare con frequenti viaggi i capricci del mare. Com’era giovane ed impavida allora! Niente l’impensieriva o la turbava, perché il mondo intero le apparteneva. La notizia che la nave si trovava nelle prossimità di Zannone la riscosse. Arrivate a destinazione, Santella e Silveria si caricarono i rispettivi zaini sulle spalle e s’incamminarono a piedi verso Santa Maria, la località in cui si trovava l’abitazione presa in affitto per una settimana. Percorrendo la banchina, riuscì comunque ad apprezzare i recenti lavori di pavimentazione che la rendevano più agibile anche ai pedoni. Più avanti, il breve grottone di Giancos e quello più lungo di Santa Maria le mossero incontro con la loro frescura intrisa di umidità e con le loro oscurità misteriose dal sapore antico e con le rimembranze di vecchie storie di visioni angosciose. L’appartamento loro assegnato era un monolocale di pochi metri quadrati ricavato da una vecchia grotta scavata nella roccia, dalle pareti spesse trattate con metodi moderni d’impermeabilizzazione e di verniciatura e da subito si mostrò fresco e confortevole. All’improvviso s’imbatté in una sedia di plastica e vi sedette. In quell’angolo solitario poteva godere di una benefica ombra e di un grande silenzio rotto soltanto dai richiami e dalle voci della natura. L’aria era pregna del profumo dolciastro dei fichi maturi. Santella alzò un braccio e con la mano sfiorò le foglie dell’albero sotto il quale si era riparata: smosse dalla brezza, tremavano leggermente. Erano grandi, ruvide, umide di linfa! Le toccò una ad una accarezzandole con amore; poi le sue dita si posarono su un fico nato sul ramo più basso della pianta. Pur generoso e ben sviluppato, le parve ancora troppo duro per essere colto. La donna individuò alcune delle particolarità di quel frutto: si trattava di uno dei fichi neri che maturano prima di tutti gli altri per onorare la festa di San Pietro. Pensò che quella era la sua isola, la natura che aveva imparato ad amare ed a rispettare sin da bambina. L’incontro con il mare le riservò qualche sorpresa; si rivelò ricco di emozioni ed al tempo stesso deludente. Santella fu felice d’immergersi nell’acqua profumata e frizzante della baia di Frontone, un abbraccio intimo ed avvolgente che sapeva di libertà e d’infinito. Tuttavia, ciò che la deluse profondamente e le sembrò addirittura inconcepibile in un’isola ricca di sbocchi al mare come quella fu l’inagibilità delle spiagge facilmente accessibili riservate a tutta la popolazione.
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