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Agi, una storia del Novecento

di Giuseppe Mazzella di Rurillo

Agi Berta. Confini incerti [1]

 

Sabato 8 giugno 2013 alle ore 19 all’Hotel Marina 10 a Casamicciola Terme nell’isola d’Ischia verrà presentato il libro di Agi Berta – “Confini incerti”(Edizioni Uroboros – Milano) per iniziativa dell’Osservatorio sui problemi Socio-Economici dell’isola d’Ischia (OSIS), della Direzione dell’Hotel Marina 10 e del Magazine “IschiaNews & Eventi”.

Ne parleranno con l’Autrice il prof. Gianni Vuoso ed il giornalista Giuseppe Mazzella.

Funzionerà il bookshop.

Sarà una serata dedicata soprattutto alla Donna, il ruolo di protagonista che ha svolto e svolge nella Storia, particolarmente significativa in questo momento di violenze alle donne.

 

Prologo
Il Novecento è stato un secolo terribile. Basta leggere  quel libro fondamentale di Gerald Green “Olocausto” dedicato “alla Memoria dei Sei Milioni, dei Sopravvissuti e di Coloro che hanno reagito” per capire.

Se vuoi approfondire leggi la storia della  Seconda Guerra Mondiale con le memorie di Winston Churchill e  “Les memories de guerre” del generale Charles de Gaulle e ne viene fuori un quadro terribile, tanto che non sai se leggi opere di fantasia oppure cronache e considerazioni sui fatti.
Ma come è successo tutto questo? Ma perché è nata questa follia collettiva?

Ogni volta che mi imbatto in una storia del Novecento ripenso sempre a quel necrologio che lessi nel 1996 su “Le Monde”.
Ricordava la morte di un certo George Bertrand che doveva essere uno scienziato. Diceva: “Nato il 16 giugno 1904, giorno scelto da Joyce per l’Odissea del suo “Ulisse”, Georges Bertrand, ha lasciato il 15 agosto 1996 questo secolo di progresso e di barbarie. La sua lunga e bella vita fu il percorso di un uomo libero, impegnato contro i fanatismi della religione, del potere e del denaro, fiducioso nell’avvenire della scienza e innamorato delle stelle. Noi ci siamo tanto amati. Guy, Janine, Fabrice Bertrand con i loro cari”.

Bellissimo. La considerazione su questo secolo “di progresso e di barbarie”, questa essenziale descrizione di una “lunga e bella vita” impegnata contro “i fanatismi della religione, del potere e del denaro” nella fiducia “dell’avvenire della scienza”, ma tuttavia abbastanza romantica per “innamorarsi delle stelle”.

Non è stato un “secolo breve”, il Novecento, come sostiene con il rigore dello storico Eric Hobsbawm o forse lo è stato per la terza rivoluzione industriale dell’informatica, per la caduta del Muro di Berlino e del comunismo reale, ma in quanto a tragedie ed orrori il Novecento continua e l’alba per un mondo più giusto è ancora lontana e così i confini degli Stati sono ancora più incerti di ieri, lo Stato- Nazione soprattutto in Europa è lontano dal morire e l’Europa unita politicamente negli “Stati Uniti d’Europa”, come la progettava Altiero Spinelli a Ventotene nel 1941, è lontana anni luce, nonostante gli accordi sulla finanza e sulla moneta unica di 15 Paesi.

 

Ho pensato a tutte le tragedie del Novecento leggendo il libro “Confini incerti” di Agi Berta, la mia amica di Facebook nata in Ungheria ma residente a Napoli da quaranta anni.
È la storia della sua famiglia, di una famiglia della piccola nobiltà magiara che cambia in poco meno di un secolo tre o quattro occupazioni politiche in un’area della “Europa di mezzo”  dai “confini incerti” che i potenti della terra spostano con una matita sulla carta geografica senza tener conto delle tradizioni e dei sentimenti delle popolazioni.
Agi a 60 anni ha voluto raccontare la storia della sua famiglia forse perché come diceva Alberto Bevilacqua nel suo “L’occhio del gatto” (1968), “il caso di un sol uomo a volte può rappresentare una morale”.

Agi attraverso FB mi ha fatto leggere le prime pagine della sua storia e non pensava di scriverla, ma io l’ho sollecitata e così è nato un bel libro che si legge tutto di un fiato, la cui prima edizione è esaurita e che ha già ricevuto delle ottime recensioni su “La Repubblica” ed il “Corriere del Mezzogiorno”.
Non dimentica di essere ungherese e segue tutti gli avvenimenti  della sua prima Patria. Collabora con il corrispondente de “ La Repubblica” dall’Est europeo, Andrea Tarquini, che vive a Berlino.

Agi Berta [2]

 

L’ incontro

Agi (si pronuncia Aghi) è il diminutivo di Agnese. In famiglia l’hanno chiamata sempre così.

Nasce in Ungheria nel 1952 e la nazione magiara ha già un regime comunista dopo l’occupazione sovietica. Lo Stato ha modificato i suoi confini e pezzi di territorio sono andati alla Jugoslavia, alla Romania ed alla Polonia.

Il racconto della famiglia di Agi comincia con la nonna, Ida Harmath, nata a Cakovec  nel 1906 che allora era Croazia.
Agi è frutto di questo sangue misto austro-ungaro-slavo.
Imparerà 5 lingue compreso il russo ed il polacco e l’italiano imparerà a leggerlo ed a scriverlo da autodidatta, senza seguire una sola lezione tradizionale.
La sua grande famiglia – nonni, genitori, zii – vivrà il Novecento e la sua tragedia tra nazioni diverse e con l’influenza del nazismo e del comunismo. Il ginnasio lo frequenterà in Ungheria ma l’Università la comincia in Polonia.

– Come sei arrivata a Napoli? – è la prima domanda, quella dalla quale partiranno tutte le altre, perché Agi sta a Napoli da 40 anni ed è ormai una napoletana tanto da conoscerne il dialetto quasi perfettamente.

“Avevo vent’anni nel 1972 quando frequentavo un corso universitario a Lodz in Polonia ed è lì che conobbi l’uomo che diventerà mio marito e che lo è stato per 27 anni. Silvano, napoletano, frequentava un corso estivo e fu amore a prima vista. Ci sposammo nel 1974, due anni dopo, con una certa ostilità dei miei genitori, e venni a vivere con lui e mia suocera a Napoli. Mi iscrissi alla Università l’Orientale e mi sono laureata nel 1979 in Storia e Filologia dell’ Europa Orientale con una tesi sulla “Repubblica dei Consigli di Ungheria” con il prof.  Aldo Zilli, che mi avrebbe voluto come sua assistente, ma si ammalò e morì. A Napoli ho frequentato l’Istituto di Studi Storici fondato da Benedetto Croce e conosciuto il grande scrittore polacco Gustav Herling e vinto perfino una borsa di studio” – mi risponde.

– Raccontami di te, Agi, come ti sei trovata a Napoli?

“Fui accolta benissimo da mia suocera e cominciai a sentire Napoli come la mia città. Dopo la laurea sono entrata nella scuola. Oggi sono insegnante di sostegno presso una scuola media. Nel corso di una gita a Sorrento nel 1988 conobbi uno scrittore ungherese, Ferenc Karinthy, che già aveva 72 anni, e che è stato uno dei miei maestri di vita. Mi incentivò a scrivere. Lesse i miei primi racconti. Sono stata la traduttrice in italiano di un suo libro di memorie. Ma ho trascurato per anni la mia passione per la scrittura anche perché sono arrivate le bambine”.

Le bambine sono Isabella che arrivò 11 anni dopo il matrimonio e Silvia detta “Sissì” arrivata tre anni dopo Isabella. Oggi sono ambedue laureate e sono due bellissime donne.

“Le mie figlie sono state la cosa più importante della mia vita mentre il mio matrimonio entrava in crisi e terminava” – mi dice con un pizzico di commozione che tenta di nascondere.

Agi nel suo libro parla pochissimo di sé. Vuole raccontare la storia della sua famiglia e vuole cogliere l’occasione per parlare della sua Ungheria, della sua storia, dei suoi popoli, in un arco di quasi un secolo.
La vera protagonista del libro, che è un lungo memoriale classificabile a metà strada tra il romanzo storico ed il saggio di storia, è sua nonna Dusi che Agi amerà più di tutti.

Il momento della separazione con il marito è a pag. 27, quando restò sola con le bambine e comprò il pianoforte. “Forse nei miei geni porto incancellabile la consapevolezza che finché c’è un pianoforte in casa, la vita continua” – scrive nel libro.

“La separazione fu dolorosa anche se civile, ma la vita è andata avanti per lui ed anche per me” – mi dice, ma capisco che ci sono stati altri dolori d’amore per Agi e non vado oltre.

Leggendo il libro emerge la piena competenza di Agi per la storia e la politica, e sulla politica Agi non si tira indietro.

“Sono stata comunista. In Ungheria chiesi l’iscrizione al partito ma mi fu negata perché fui ritenuta “potenzialmente attivista disgregante”, un modo burocratico per dire che avevo troppa autonomia intellettuale. In Italia ho votato il PCI e poi Rifondazione Comunista  e nelle ultime elezioni politiche ho votato SEL di Vendola, perché ritengo che in Italia occorre una grande svolta civile, di sinistra, contro il berlusconismo”.

– Che significa svolta civile? – domando

“Voglio dire che occorre una rivoluzione etica. Una forte, fortissima rivoluzione morale.
Bisogna rivalutare il ruolo della Politica con la P in maiuscolo.
La Politica è tutto. Bisogna smetterla con il qualunquismo.
Chi fa Politica deve servire la comunità.
Non mi va mettere sullo stesso piano tutti i politici.
Ci sono politici che non sono “la casta”, politici che stimo come Bersani, che vogliono dare dignità all’impegno civile.
Dobbiamo ripristinare un confronto civile nella Politica.
Considero Fini un avversario, un avversario onorevole, ma non un nemico.
È con una destra civile che mi voglio confrontare.
Per prima cosa bisogna cambiare la legge elettorale. Voglio scegliere la persona per cui votare. Credo in una democrazia politica che mette il diritto al lavoro al primo posto” – mi dice con profonda convinzione.

 

Il commiato.

Ed è qui che finisce il nostro incontro. Ci abbracciamo, prima che si metta il casco e salga sul motorino come una ragazzina, con la promessa di rivederci.
Apparteniamo alla stessa generazione, ad una generazione che non vuole invecchiare o che forse invecchia migliorando perché non smette di sperare in una società più giusta e più umana e che veramente vuole chiudere questo “ lungo Novecento” fatto di progresso e di barbarie .

Agi Berta.2 [3]

Agi Berta – Confini Incerti – Edizioni Uroboros – Milano – euro 13

 

Scarica qui l’invito e il programma in formato .pdfInvito presentazione libro [4]