di Italo Nofroni
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Le forti mareggiate di questi giorni hanno probabilmente contrariato coloro che col mare ci vivono, quali pescatori e gestori turistici, nonché coloro che volevano fare il primo bagno della stagione; cerchiamo comunque di superare questo disagio cogliendo l’occasione per conoscere meglio gli abitanti del nostro mare.
Se capitate su una spiaggia guardatevi attentamente attorno: è molto facile che vediate, in questi giorni sulle coste laziali, ma anche altrove, delle piccole “barchette” di colore blu intenso oppure bianco trasparente, di 4 o 5 cm di lunghezza. Avete incontrato le Velelle (Velella velella, Linneo, 1758) un Idrozoo comune in tutti i mari caldi e temperati.
Le Velelle galleggiano sulla superficie dell’acqua, a causa della presenza di camere d’aria all’interno dello “scheletro” costituito da una sostanza cartilaginea; superiormente c’è una struttura triangolare che emerge dalla superficie del mare e funge da vela, permettendo all’animale di essere spostato dalla forza del vento proprio come una piccola barca a vela. Inferiormente si trovano le parti molli di colore viola/blu intenso.
In realtà queste non sono costituite da un singolo organismo ma da una colonia composta da tanti individui specializzati in compiti diversi:
1) al centro c’è un unico grande individuo dotato di bocca e preposto all’alimentazione; il cibo consiste prevalentemente in larve di vari gruppi animali (molluschi, pesci, crostacei)
2) attorno vi sono numerosi altri individui a forma di tentacoli con funzione difensiva; questi tentacoli sono forniti di cnidocisti, ossia organi dotati di potere urticante, come quasi tutte le meduse, ma la loro tossicità è leggera e sono innocui per l’uomo, a meno di non colpire una mucosa. A tal proposito sconsiglio a tutti di fare il bagno senza costume…
3) Infine vi sono altri individui che svolgono sia la funzione riproduttiva che quella alimentare.
Trasportate dal vento e dalle correnti, soprattutto in primavera, spesso arrivano vicino alla costa e vanno incontro a spiaggiamento; migliaia, se non milioni di esemplari, possono essere riversati su una spiaggia da una mareggiata. Quando questo accade, i problemi per i bagnanti sono seri, perché macchiano di blu vestiti ed asciugamani e il lezzo della decomposizione allontana dalla spiaggia anche i più volenterosi.
A me è successo a Lampedusa sulla cosiddetta Spiaggia dei conigli, dove nidificano le tartarughe marine, nel giugno di tanti anni fa; nel Lazio ho visto solo esemplari sporadici, non più di 2 o 3 per metro quadro.
Gli esemplari qui illustrati sono stati raccolti a Ladispoli (Roma) pochi giorni fa, esattamente sabato 1 giugno 2013 (Figg. 1, 2). Chiedo scusa per la bassa qualità delle foto in quanto realizzate con mezzi ottici di fortuna.
Fig. 1) Velella velella, vista superiore, Ladispoli (Roma)
Fig. 2) Velella velella, vista laterale, Ladispoli (Roma)
Le Velelle spiaggiate si seccano sotto il sole, le parti molli scompaiono e rimane lo scheletro cartilagineo di colore bianco, ma presto scomparirà anche lui. Chi trovasse tali scheletri e volesse conservarli può metterli in un flacone con una soluzione di alcool (30%) e olio di vaselina (70%).
Già, obietterà qualche lettore, ma il tema dell’articolo recita “Conchiglie” e che c’entra quindi un Idrozoo, pur simpatico che sia?
Il fatto è che le Velelle vengono comunemente parassitate da Molluschi del genere Janthina. Il Mollusco si attaccano tenacemente alla parte inferiore della Velella, quella immersa, e ne approfitta per farsi trasportare in giro per il Mediterraneo. Però finisce per seguirne la sorte del suo ospite nel bene e nel male, infatti quando ci si imbatte in uno spiaggiamento di Velelle, regolarmente si trovano anche, sia pure con frequenza molto minore, le conchiglie di Janthina.
Le Janthina, come dice il nome latino, sono tutte di color viola tranne quella qui illustrata, la più comune delle quattro specie mediterranee, che si chiama Janthina pallida (Thompson, 1840) proprio perché caratterizzata da un viola così chiaro da sconfinare nel bianco (Fig. 3).
Fig. 3) Janthina pallida, Ladispoli (Roma)
Le Janthina sono in grado di farsi portare dalle correnti anche in modo autonomo, infatti secernono una specie di bava che solidifica formando bolle d’aria, consentendo quindi all’animale di galleggiare (Fig. 4). A questa “cintura di galleggiamento” vengono anche fissate le capsule ovigere identificabili nella Fig. 5 come piccole macchie rosa di aspetto vermiforme.
Fig. 4) Bolle di galleggiamento di Janthina pallida, vista superiore, Ladispoli (Roma)
Fig. 5) Bolle di galleggiamento di Janthina pallida, vista inferiore, Ladispoli (Roma)
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[Conchiglie. (6) – Continua]