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Le vicende belliche di Filippo Muratore (1)

di Antonio Usai

Diamo il bentornato, dopo qualche tempo di assenza, ad Antonio Usai, che ci invia il racconto di un’avventura umana calata in un periodo storico di non sopito interesse.
La Redazione

Prefazione dell’Autore

Il 9 dicembre del 2005, sessanta giorni dopo la scomparsa di Filippo Muratore, mio zio acquisito per aver sposato una sorella di mia madre, mi è venuta l’dea di mettere in ordine i racconti che avevo ascoltato in più occasioni proprio dal protagonista di questa storia e di riflettere sulle emozioni e i sentimenti che trasparivano dai suoi occhi, quando parlava della sua giovinezza immolata sull’altare dell’ideologia fascista propugnata dal duce.

Oggi, dietro sollecitazione dei suoi due figli, con profondo rispetto, penso sia giunto il momento di condividere con le persone che lo hanno conosciuto, l’esperienza di Filippo durante il fascismo e in guerra affinché non sia ricordato soltanto come “U Vientutenese” o il “Turill ‘u sfizius” della macchietta napoletana, a metà degli anni Sessanta al cinema-teatro di “Barbett”, negli spettacoli teatrali che vedevano la partecipazione del mitico complesso musicale “I Duri” costituito da Tonino Esposito, Aniello Coppa, Mario Iozzi, Silverio Ricciolino e Luciano Gazzotti.

Turill 'u sfizius durante una esibizione teatrale a Ponza [1]

Turill ‘u sfizius durante una esibizione teatrale a Ponza

Egli andrebbe ricordato maggiormente come un uomo che ha pagato di persona la sua coerenza ad una fede politica condannata senza appello dalla storia del nostro paese. E non è cosa da poco di questi tempi, dove prevalgono a tutti i livelli il qualunquismo, l’opportunismo e la mancanza di valori degni di questo nome.

Mi aveva scelto, in qualche modo, perché mi considerava una persona di fiducia, come destinatario delle  sue esperienze giovanili maturate tra Ponza, bambino delle scuole elementari, Ventotene, adolescente impegnato nella distribuzione dell’acqua con l’ausilio di barili trasportati a dorso di mulo, e nelle valli del Piemonte partecipe delle vicende belliche successive all’8 settembre 1943.

 Pur non condividendo le sue scelte politiche, mi è sembrato giusto e doveroso far conoscere ai ponzesi che lo vorranno, le peripezie di questo giovane isolano appena diciassettenne, nei primi anni Quaranta del secolo scorso, che preferì la Milizia alla serenità della famiglia per dedicare, con la massima buona fede, tutte le sue energie per la salvezza della Patria.

Con il ritorno in auge del fascismo, dopo la liberazione del duce prigioniero a Campo Imperatore, Filippo si iscrisse senza esitazione al neo Partito fascista repubblicano perché aveva ancora tanta fiducia nel duce. La neonata Repubblica Sociale Italiana (Rsi), con il Partito fascista repubblicano e il nuovo esercito, si proponeva, in primo luogo, di combattere contro i cosiddetti traditori del 25 luglio: monarchici, badogliani e fascisti moderati, ma in realtà si limitò a reprimere e a combattere il movimento partigiano, che si era sviluppato nell’Italia occupata.

A distanza di tanti anni, esaminando quegli avvenimenti con animo più sereno, oggi, tra gli italiani, prevale un sentimento di rispetto per tutti i caduti nella guerra del 1943-’45, senza distinzione di fronti. Si concorda, altresì, nel ritenere che i combattenti della Rsi hanno combattuto dalla parte sbagliata, al fianco di un paese – la Germania nazista – portatore di un’ideologia totalitaria, razzista e genocida.

Ponendosi come collaboratori dell’invasore straniero, i fascisti di Salò, quali che possano essere state le motivazioni individuali, si sono qualificati, davanti alla Storia, come forze collaborazioniste, che hanno operato coi nazisti contro altri italiani.

Oggi, alcune frange politiche moderate, riferendosi a quegli avvenimenti, parlano impropriamente di “guerra civile”. La Resistenza contro il nazi-fascismo non può essere considerata una guerra civile in senso stretto, guerra di italiani contro italiani, come in Spagna nel 1936, dove c’era stato effettivamente uno scontro di spagnoli contro spagnoli.

Nel periodo 1943-45, in Italia, lo scontro avvenne tra soldati e partigiani italiani, da un lato, ed invasori tedeschi e collaborazionisti fascisti dall’altro. I primi combattevano in nome della democrazia, liberale o socialista che fosse, i secondi, in nome e in difesa di una dittatura. La differenza tra le due posizioni risulta chiara e netta e non può essere sottaciuta.

***

L’adolescenza di Filippo a Ponza e a Ventotene

Filippo Muratore era nato ad Agira, in provincia di Enna, l’11 novembre del 1926, da Andrea, classe 1905, e da Filippa Venticinque, classe 1903.

Panorama di Agira paese d'origine dei Muratore con l'Etna innevato sullo sfondo [2]

Un panorama di Agira, paese d’origine dei Muratore, con l’Etna innevato sullo sfondo

 Il papà Andrea, terminata la guerra in Etiopia, dove aveva combattuto nella Divisione CC.NN. XXVIII Ottobre, alla fine del 1936 fu rimpatriato e subito congedato.

Conclusa l’avventura coloniale, egli si trovò senza lavoro e con una famiglia a carico. Filippo aveva appena dieci anni. Non essendoci in Sicilia altre prospettive occupazionali, Andrea presentò una istanza al comando regionale della Milizia fiducioso di potere indossare di nuovo la divisa in orbace e la camicia nera.

Dopo qualche mese, fu richiamato in servizio ed assegnato a Ponza, nella Milizia confinaria. Rimase sull’isola, dal 1937 al ’39. Con la chiusura di quella colonia, infatti, i militi e gran parte dei confinati furono trasferiti nella vicina Ventotene. La stessa sorte toccò alla famiglia di Andrea.

Santa Maria. La località di Ponza dove abitarono i Muratore [3]

S. Maria, la località di Ponza dove abitarono i Muratore

A Ponza, i Muratore avevano preso un appartamentino in affitto nella frazione di Santa Maria. Ai quattro figli nati in Sicilia (Carmela, Filippo, Nino e Pippo), si aggiunsero Luigi ed Anna, nati a Ponza, e Rita ed Emilia, nati a Ventotene.

Filippo, il secondogenito, a Santa Maria frequentò tre classi della scuola dell’obbligo: dalla seconda alla quarta elementare, tra i dieci e i dodici anni di età.

A Ventotene, Filippo iniziò giovanissimo il suo primo lavoro importante: aveva appena tredici anni e si occupava della distribuzione dell’acqua potabile nelle case isolane, poiché sull’isola non esisteva l’acquedotto comunale.

Il servizio consisteva nel prelevare con un secchio l’acqua dalla cisterna romana adiacente al porto, riempire i barili, in precedenza caricati vuoti e bene assicurati al dorso di un asino; infine, consegnare a domicilio la quantità di acqua richiesta dai singoli cittadini.

Ventotene- le rampe a zig-zag che dal porto conducono al paese [4]

Ventotene: le rampe a zig-zag che dal porto conducono al paese

 Filippo si curava principalmente di uno degli asini addetti al trasporto. Con l’aiuto di un bastone e di una corda nodosa legata alla cavezza, aiutava il ciuco a salire l’erta rampa che, a zig-zag, dal porto conduce al piazzale della chiesa di Santa Candida. A metà della salita, passava davanti alla casa abitata dal milite Eugenio Usai e dalla sua giovane moglie originaria di Ponza, Lucia Mazzella, novelli sposi. Nell’estate del 1943, ospite della coppia c’era Emilia, la sorella minore di Lucia, di sette anni.

Il destino ha voluto che, ventuno anni più tardi, nella primavera del 1964 per l’esattezza, Filippo ed Emilia si incontrassero di nuovo a Ponza, dove lui si era trasferito per lavoro. Dopo un breve fidanzamento, il 27 dicembre del 1964 i due si sono sposati nella chiesa della SS. Trinità di Ponza. Hanno avuto due figli, Carmela ed Andrea, quattro nipoti: Chiara, Martina, Giorgio ed Emilia e due pronipoti.

Filippo ed Emilia alla nascita della primogenita [5]

Filippo ed Emilia alla nascita della primogenita

 Come tanti ragazzi degli anni Trenta/Quaranta, anche Filippo era un convinto sostenitore del fascismo e di Mussolini.

 

Il sogno della Milizia per Filippo diventa realtà

Raggiunta l’età prescritta dalla legge, nel maggio 1943 Filippo presentò la domanda per l’arruolamento volontario nella Milizia.

Dopo poche settimane, ricevette la cartolina precetto. Il 19 giugno, con l’animo colmo di gioia e la benedizione paterna, a bordo del piroscafo Santa Lucia – fu l’ultima volta che Filippo vide quella nave -, il giovane lasciò per la prima volta Ventotene, dopo il trasferimento sull’isola quattro anni prima, alla volta di Littoria, oggi Latina.

 

Nel capoluogo pontino si trattenne tre giorni, ospite della XXV^ Legione Camicie Nere. Dichiarato abile alle armi dalla Commissione medica, fu immediatamente incorporato nella Milmart, la Milizia speciale dell’artiglieria marittima, e assegnato al Battaglione Giovanile Antiaereo di Trieste.  La sede di servizio era Abbazia (Opatija in croato), una cittadina costiera dell’Istria, allora italiana, a pochi chilometri da Fiume (Rijeka in croato).

La penisola d'Istria ex italiana e Opatija (Abbazia) [6]

La penisola d’Istria ex italiana e Opatija (Abbazia)

Panorama di Abbazia (Opatija) oggi [7]

Panorama di Abbazia (Opatija) oggi

Filippo avrebbe certamente preferito la Milizia Confinaria, con la speranza di rimanere a Ventotene, vicino alla famiglia. Ma era contento lo stesso, perché una volta arruolato avrebbe avuto uno stipendio sicuro tutti i mesi e l’opportunità di conoscere posti nuovi, l’Istria e la Dalmazia in particolare, terre lontane di cui aveva sempre sentito parlare attraverso la radio.

Il 19 luglio 1943, sei giorni prima dell’arresto di Mussolini, sotto il comando di un maresciallo, insieme ad altre quattordici Camicie Nere, Filippo iniziò il trasferimento in treno verso l’Alta Italia.

Mezz’ora dopo la partenza da Littoria, il convoglio su cui viaggiavano le giovani reclute si arrestò improvvisamente in aperta campagna, tra la stazione di Campoleone e quella di Roma.

Senza alcuna spiegazione, tutti i passeggeri furono invitati a scendere dal treno e a ripararsi nella scarpata che fiancheggiava la linea ferroviaria. In un secondo tempo, furono informati che era in pieno svolgimento il primo bombardamento sulla capitale. La durata della sosta non era pertanto prevedibile!

Nella scomoda posizione, sdraiati tra i binari, i militi assistettero impotenti alle numerose incursioni degli aerei nemici. Il rombo dei motori era assordante e il rumore dello scoppio delle bombe giungeva attutito ma nitido.

La sosta del treno si protrasse per alcune ore, il tempo occorrente ai bombardieri anglo-americani per distruggere un intero quartiere della capitale e mietere migliaia di vittime innocenti!

Roma, occupata dalle truppe tedesche, nella strategia degli anglo-americani era diventata un obiettivo importante, con l’intento di spingere la popolazione a ribellarsi al regime fascista ormai agonizzante.

Da seimila metri di altezza, sulla verticale dello scalo merci di San Lorenzo, i bombardieri americani B-17 sganciarono ordigni da 250 chili. Le prime bombe toccarono terra alle ore 11.03 e centrarono in pieno i binari ferroviari, due vagoni e un capannone dello scalo merci.

Bombardieri americani B-17 in azione sui cieli italiani [8]

Bombardieri americani B-17 in azione sui cieli italiani

 Le successive ondate colpirono numerosi palazzi di civile abitazione nelle vicinanze della stazione. Alla fine della carneficina, restarono sul terreno circa tremila morti e si contarono circa dodicimila feriti.

Uno scorcio del quartiere romano di S. Lorenzo dopo il bombardamento del 19 luglio '43 [9]

Uno scorcio del quartiere romano di S. Lorenzo dopo il bombardamento del 19 luglio ’43

La strategia militare adottata dai cosiddetti Alleati nel nostro paese, era conseguenza delle decisioni prese durante la Conferenza di Casablanca, nel gennaio del 1943. In quell’occasione, inglesi ed americani si erano accordati sulle modalità e la tempistica dello sbarco delle forze alleate in Italia e sul principio della resa incondizionata da imporre ai nemici, i regimi fascista e nazista. Questo voleva significare che la guerra sarebbe andata avanti fino alla vittoria totale, senza patteggiamenti di sorta né con la Germania né con i paesi suoi alleati, Italia compresa.

Per gli Alleati, la campagna d’Italia ebbe inizio con la conquista di Pantelleria, il 12 giugno del 1943. Un mese dopo, il 10 luglio, i primi contingenti anglo-americani sbarcarono in Sicilia e in poche settimane s’impadronirono dell’intera isola.

Sbarco Alleato in Sicilia. Estate 1943 [10]

Sbarco Alleato in Sicilia nell’estate del 1943

I bombardamenti massicci delle principali città italiane nell’inverno ’42-’43; i grandi scioperi operai a Torino e nei centri industriali del Nord, del marzo del ’43; e lo sbarco alleato in Sicilia, furono il colpo di grazia per il regime fascista, ormai screditato anche da una lunga serie di insuccessi militari in Russia, Jugoslavia, Grecia e in Africa settentrionale.

Dopo tre anni di guerra, nell’estate del 1943, tra la gente comune si diffuse la convinzione che la sconfitta militare delle forze dell’Asse fosse ormai inevitabile.

 

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