Ambiente e Natura

La vocazione di Ponza, tra futuro e estinzione. (1)

1. Isole ponziane. Nuvole. Foto da Flickr copia

di Enzo Di Giovanni

 

Quale è il vero volto della nostra isola, la sua essenza, la sua vocazione?

Non è una facile battuta: mi sono reso conto spesso, parlando con persone esterne all’isola (turisti, rappresentanti delle istituzioni, professionisti, tutti interessati a vario titolo a comprenderne le dinamiche interne) che in effetti è quasi impossibile, anche per il più avveduto ed attento ospite, cogliere il senso profondo ed il microcosmo che Ponza  rappresenta.

Probabilmente perché una vera natura Ponza non ce l’ha.

Infatti da sempre galera, cava di pietra, confino politico, “vocazione turistica”, persino luogo per azzardate sperimentazioni sociali (rese possibili in un territorio circoscritto dal mare e perciò controllabile): Ponza è stata questo nel corso dei secoli.

E non bisogna commettere l’errore di considerare questo elenco come un semplice “divenire storico”, una crescita fisiologica. No. A Ponza le epoche e i destini si susseguono senza una apparente logica: luogo di prigione in epoca romana, ma anche risorgimentale, e poi fascista. Cava di pietra nel settecento, ma anche con la più recente miniera di bentonite. E il turismo? Mica è solo idea della nostra epoca: si parlava di fare di Ponza un luogo ameno, di villeggiatura già nei primi anni del novecento.

C’è una costante in questo alternarsi apparentemente caotico?

Sì, c’è: le diverse “vocazioni” di Ponza sono sempre state decise dall’esterno. Ponza non è mai stata riconosciuta in quanto terra ricca di storia, di cultura, insomma degna di essere considerato in quanto “vera”, non plasmabile cioè dall’esterno, succube di capricci e mode del momento.

Il risultato è che ancora oggi le discussioni sono improntate tra la percezione di un’isola come valvola di sfogo per nuovi colonizzatori (gli “amici di Ponza”), o come rigurgito di applicazioni vetero-ambientaliste. E forse le due visioni non sono affatto alternative tra loro, come le menti più avvedute della comunità isolana sospettano da tempo. Soprattutto sono assimilabili nel non considerare la comunità preesistente: ed infatti i ponzesi sono da sempre al massimo tollerati, se non mortificati.

E noi, in tutto questo? La nostra colpa storica è quella di aver sempre consentito tale mortificazione, dal confino al turismo. Sempre cioè passivamente, senza mai quello slancio d’orgoglio che segnasse il passaggio necessario: dalla dominazione esterna alla autodeterminazione.

Cosa c’entra questo preambolo con il difficile momento, economico e strutturale, che vive Ponza oggi?

Partendo dal presupposto che Ponza non ha una sua vera vocazione, e che soprattutto è sempre dall’esterno che sono venuti finora i vari “passaggi di stato”, io comincerei col dire che sarebbe forse ora di cominciare a costruirci noi ponzesi il nostro futuro, finalmente.

Ponza. Luci e ombre

Comincerei da una presa d’atto che può sembrare una provocazione, ma che chiaramente non lo è: considerare Ponza una isola NON a vocazione turistica.

Perché il turismo è una risorsa solo quando va ad integrare e a corroborare una realtà consolidata di autonome relazioni umane, storiche, produttive, in una parola culturali. Cessa di esserlo quando pretende di essere l’unico volano di una economia tesa al depredamento delle risorse umane ed ambientali. Quando passa il concetto, ingenuo e distruttivo, che il turismo possa sostituire, tout court, economia, storia e relazioni umane, facendo di un luogo storico come Ponza un gigantesco, patetico villaggio vacanze.

Questo è sempre stato il nostro limite, la nostra disgrazia: il non capire (o fare finta di non capire…) che tutto ciò che ci è capitato non è stato libero arbitrio, ma calato dall’alto. E che di conseguenza non abbiamo nessuna arma per difenderci dalle difficoltà.

Tranne una: quella appunto di mettere a frutto la nostra storia, per arrivare ad una identità condivisa e di conseguenza a quella autodeterminazione di cui parlavo.

Ma queste cose, ognuno a modo suo, le sappiamo ormai bene, e ne soffriamo. Questo è un buon segno: la sofferenza è appunto segnale di vitalità.
Quella vitalità che ci porta ad evidenziare che solo grazie a qualche cocciuto volontario si riesce ancora a fare ‘u fucarazz’ del Venerdì Santo, che ci porta a lamentarci della Pro-loco che rischia di scomparire, delle associazioni che non associano, e così via.

Quella vitalità che ci porta ad incrementare e a custodire gelosamente Ponza Racconta.

Ciò non ci assolve dalle nostre colpe: considerazioni simili a quella che sto scrivendo adesso, e che sono il sale del nostro dibattito, le trovate, ad esempio, nel volume dedicato a Ponza da quella straordinaria figura di cronista militante che è stata Gin Racheli (una delle pochissime non-ponzesi di cui ho memoria che abbia realmente compreso le essenze e le potenzialità di Ponza):

Soltanto un superiore senso del patrimonio etico e culturale potrà salvare le isole italiane dal diventare null’altro che boe balneari contaminate… Nelle isole si può apprendere, più che altrove, la lezione sottile del più avanzato intendimento di ecologia, cioè il rapporto tra le comunità e l’ambiente… Per quanto mi concerne, la mia posizione è nota. Sono contraria a qualsiasi provvedimento tutelare passivo; in parole povere e chiare, sono contraria a chiudere un’isola e il mare che la circonda in una impenetrabile campana di vetro di divieti, a sottrarla alle popolazioni dalle quali amministrativamente dipende ed a ogni frequentazione turistica; …In tal modo non si fa altro che rinnovare, in chiave moderna, il vizio di proiettare sul mare e sulle isole storie episodiche, esperimenti frammentari che frantumano, negli Arcipelaghi, il fluire normale della Storia: un tempo furono galere, poi ghetti di vacanzieri… Una corretta gestione ecologica dell’ambiente si realizza soltanto attraverso il coinvolgimento pieno delle popolazioni locali… Le isole appartengono prima di tutto agli isolani e la politica, l’economia, la cultura che le riguardano devono essere studiate con loro: lo Stato può dare orientamenti; ma la responsabilità, le fatiche e le gratificazioni per realizzare l’identità dell’isola devono essere degli isolani…

Gin Racheli. Le isole ponziane

Cose così Gin Racheli le diceva e scriveva oltre 25 anni fa: credo sia inutile sottolinearne l’attualità, quasi profetica. (“Le isole Ponziane, rose dei venti. Natura storia arte” – Mursia1987).

E noi, anziché farne tesoro, ci siamo scannati per decenni nella lottizzazione di spazi vitali anziché valorizzare e creare nuova occupazione…

Le Forna. Cala Feola

Ponza dall'alto

 

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