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La dialettologia. (1). Nozioni di basedi Martina Carannante . La dialettologia è una scienza attualmente sottovalutata e marginale. Il dialetto è molto dinamico; basti pensare al microcosmo della nostra isola, dove il dialetto fornese è diverso da quello del porto; al porto con il termine sparatrappule si indica il cerotto a le Forna troviamo ciroto. Poi ho saputo che il primo è un termine derivato dallo spagnolo: esparadrapo. Chissà per quali vie lo spagnolo è passato nel dialetto ischitano (i ponzesi del ‘Porto’ hanno origine ischitane), ma non in quello di Torre del Greco (da cui proviene il ceppo originario che nel 1742 colonizzò Le Forna) sebbene entrambi siano di derivazione dal ‘napoletano’; stessa cosa vale per la nuora ’a nore mentre a le Forna è ’a nocra… Per capire meglio questo concetto bisogna scendere più nello specifico; ci avvarremo a questo scopo di un testo base, che ho conosciuto e affrontato recentemente per il mio corso di studi: Introduzione alla dialettologia Italiana. Di G. Grassi; A. A. Sombrero; T. Telmon – Laterza 2003 – V ediz. 2010). Le popolazione dell’Italia, intorno al 500 a. C. (dall’opera sopra citata) – Cliccare sull’immagine per ingrandirla Già nell’antica Roma il latino non era tutto uguale, ma c’erano delle differenze notevoli tra scritto e parlato, gli schiavi parlavano il “sermo plebeius” diverso dal “sermo rusticus” dei lavoratori; lo stesso Cicerone utilizzava un “sermo cotidianus” in famiglia e il latino classico durante le arringhe in tribunale. Su una miriade di dialetti sarà Dante, nel suo De vulgari eloquentia (1303), a proporre l’idea di un’unica lingua, passando in rassegna i vari dialetti; diversamente da quel comunemente si pensa, egli mostra di preferire il siciliano e il bolognese agli altri dialetti”. Di fatto Dante fa solo un’analisi dei dialetti, sarà Pietro Bembo (1470 – 1547) che sulla scia del prestigio delle “tre Corone” – Dante, Petrarca e Boccaccio – e su un’analisi di Firenze come maggior centro politico, economico e sociale riuscirà ad imporre il ‘fiorentino colto’ come la lingua capace di unificare i vari dialetti. “In Italia si può parlare propriamente di ‘dialetti’ solo a partire dall’affermazione del fiorentino come lingua nazionale, e cioè dal XV – XVI secolo”. Si sviluppa cioè la “consapevolezza di una netta distinzione tra la lingua – usata soprattutto per scrivere documenti e testi letterari – e il dialetto, usato per comunicare oralmente in un territorio limitato, nelle circostanze usuali della vita quotidiana” [dal testo citato]. Una volta acquisita vita propria, la lingua italiana si è evoluta nel tempo in modo autonomo, svincolandosi dalle sue origini, cosicché il toscano-fiorentino è tornato nell’alveo dei ‘dialetti’, alla stregua di tutti gli altri. Partendo dalla carta geografica dell’Italia possiamo disegnare delle linee per identificare alcune differenze fondamentali tra i dialetti. E allo stesso tempo gli aspetti di similarità. I raggruppamenti dialettali in Italia (derivazione: come sopra) Al nord della linea La Spezia-Rimini, troviamo i dialetti del nord: i dialetti settentrionali sono accomunati dalla mancanza di consonanti geminate (o doppie): in corrispondenza delle doppie dell’italiano standard, del toscano e dei dialetti centrali e meridionali, i dialetti del Nord hanno consonanti ‘scempie’. Per fare altri esempi, al sud della linea Roma-Ancona troviamo i dialetti meridionali: E si potrebbe continuare con mille esempi e variazioni… Ma non facciamoci spaventare da queste cadenze inconsuete; al napoletano e al ponzese ritorneremo nelle prossime puntate… Oh, se ritorneremo! “Me diceve… turnarraggie, comme tornano li rrose…” (leggi qui)
’I ’rrose ’i Santa Rita, i vintiduie ’e maggie [La dialettologia. (1) – Continua qui] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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