Conte Rosanna

Sul dialetto ponzese (3). Il Vèfio.1

a cura della Redazione

 Per l’articolo precedente, leggi qui

 

Nella sua presentazione di Procida – non ancora completata – per gli aspetti che hanno riguardato finora la storia, l’architettura, le tradizioni e la cultura della vicina isola, Rosanna Conte riferiva (leggi qui):

“E’ nella tradizione dei paesi mediterranei, risalente a millenni fa, costruirsi la casa da soli, secondo le proprie esigenze e con materiali presenti in loco. La sua forma base è il cubo che, per gli ampliamenti, è ripetuto in successione e/o in sovrapposizione con collegamenti fatti di scale esterne.

Anche a Ponza la casa a cubo con la cupola è la caratteristica architettonica ricorrente, ma essa è stata aggiunta dopo, esternamente, alla casa-grotta. Nella nostra isola, la prima forma di abitazione più che dalla contiguità con le altre, è caratterizzata dall’autonomia e dalla separazione.

L’architettura  procidana è invece collettiva, per come è andata storicamente determinandosi. La scelta di fruire di spazi esterni comuni e adeguati alle attività economiche, la continuità nell’uso di tecniche e materiali, la costruzione mai conclusa definitivamente dell’abitato, hanno costituito un obbiettivo unitario della popolazione isolana. La stessa colorazione così varia delle singole abitazioni rispondeva a un’esigenza individuale, ma condivisa: individuare da lontano, là sul mare mentre si pescava o ci si avvicinava al porto, la propria casa”.

L’elemento architettonico caratteristico di Procida è appunto il ‘vèfio’, parola (che non esiste a Ponza) con cui nel dialetto locale si intende il muretto di terrazzi e loggiati presente in molte costruzione antiche dell’isola.

E ancora da Rosanna Conte (leggi qui) apprendiamo i rudimenti e alcune delle differenze tra il dialetto procidano e quello ponzese:

“Il dialetto procidano è molto diverso dal ponzese che è di derivazione ischitana, almeno quello di Ponza, perché quello delle Forna conserva ancora qualche accento e/o termine torrese.  Ricordo che a Procida venivo presa in giro perché chiamavo il gatto ’a iatte invece che ’a vatta‘. Le mie compagne di giochi e di scuola dicevano ie fove per ‘io ero’, ddore fove’no per ‘loro erano’, ho a  i’ per ‘devo andare’, socra persuocera’, èccavenne pervedi, eccola là’, astuià perpulire, asciugare’, chèngio per ‘calcio’,  ghiésia  per ‘chiesa’, cosse per ‘gambe, cosce’ e come esclamazione per manifestare meraviglia e stupore usavano amih!  Le persone più anziane adoperavano ancora créje e piscréje invece che rimane e ropperimane, “domani e dopodomani”, in stretta derivazione dal latino cras e post cras.  In breve, e credo in maniera incompleta, il dialetto procidano predilige la r alla d, la e alla a, la doppia d alla doppia l, la ghi alla gli, per cui abbiamo: dammi = ramme, brodo = broro, di = re, due = ròje; santo = sent’, capo = chépa, lato = léto; stella = stedda, gallina = vaddina,  sciuscella = sciuscedda, Aniello = Anieddo; sagliuta = sagghiuta,  tagliata = tagghiata ”.

È appunto Vèfio’ il titolo del libro che Rosanna ci ha fatto conoscere, introdotto qui dalla presentazione dell’Autore, Vittorio Parascandola, che continuerà nel prossimo articolo, insieme alla prefazione al libro di Mario Stefanile.

“Vèfio” Folk-glossario del dialetto procidano, di Vittorio Parascandola. A. Giunta Ed.; 2000

Dalla ‘Introduzione’ dell’Autore:

“II dialetto muore: a Procida come ovunque!
I mezzi di informazione (giornali, radio, tv), i facilitati rapporti umani fuori dell’ambito del campanile, l’istruzione di massa portano, progressivamente, alla formazione di un idioma nazionale pianificato, il più possibile uniforme.
Eppure il dialetto ha una sua validità, un suo significato insostituibile, un suo fascino. È  lo specchio della cultura di un gruppo etnico, l’immagine del suo vivere la vita di tutti i giorni e del suo divenire nel tempo, la testimonianza degli eventi storici che l’hanno interessato.

Ma, come sempre accade, di ciò pare ci si accorga solo oggi che stiamo per perderlo, tanto che c’e tutta una fioritura di studi ed un rinnovato interesse per il parlare dialettale. Non per questo, pero, nasce « Vefio »! Sarebbe — da parte mia — un imperdonabile atto di presunzione.
Spetterà al filologo qualificato indagare quali delle nostre parole risentono della antica origine etrusca; quali sono nate per influsso della civiltà greca o latina; quali per effetto delle dominazioni straniere e quali dai movimenti di emigrazione verso l’Algeria, la Francia, le Americhe, o di immigrazione di colonie di pescatori pugliesi.
E spetterà allo storico investigare quanto e quali delle nostre usanze è frutto di assimilazione di usi e costumi di altri gruppi etnici, italiani o stranieri, con i quali abbiamo avuto rapporti.

Io, che non ho competenze specifiche in materia, sono stato attratto da una sorta di «musicalità» che ritrovo nel nostro parlare di tutti i giorni e ho creduto di fare cosa di un certo interesse a raccogliere un materiale che, tra non molti anni, sarà sempre più alterato, se non perduto.
Lo metto a disposizione di chi — più competentemente — vorrà servirsene a scopo di studio. Ché, per quanto mi consta, non pare ci siano scritti in dialetto procidano, se si eccettuano le poche voci riportate da Michele Parascandolo in « Procida dalle origini », gli studi sui dialetti dell’Italia meridionale, di un tedesco, e poco altro.

Lungi da me la pretesa di presentare un « vocabolario »!
Propongo alla lettura dei miei compaesani questo « folk-glossario » forse perchè esso è stato un pretesto per ricordare — a me stesso prima che a quelli che, come me, sono negli anni… « anta » – certe usanze ormai superate: un modo di vivere che sembra già tanto lontano ed incredibile e che, pure, ha avuto una validità ed un suo fascino fino ad ieri. (…)”

Si cominciano qui a delineare le (poche) differenze e le (molte) affinità tra il dialetto ponzese e quello procidano, espressioni di una più profonda e radicata affinità culturale. Dalle poche note riportate ognuno potrà trarre le indicazioni fondamentali e, se vuole, lo stimolo ad approfondire.

 

[Sul dialetto ponzese. (3) – Continua qui]

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