Ambiente e Natura

Categorie in evoluzione. (3). L’alimentazione (2)

di Sandro Russo

 

Per l’articolo precedente, leggi qui

 

Qualche tempo fa, nel commento ad una vecchia, rara foto che ritraeva il rito dell’uccisione del maiale nella nostra isola – a quei tempi era inusuale che attività comuni (come lo zappare dei nostri nonni o l’uccisione del maiale, appunto), venissero riprese in immagine – facemmo alcune considerazioni (leggi qui):

“Il fatto è che da bambini, noi eravamo dentro questa realtà, la vivevamo in tutti i suoi risvolti e la contraddizione era acuta, quando si uccideva la gallinella che si accucciava per farsi prendere, o la pecorella che il ragazzino aveva tante volte portato al pascolo. Oggi la macellazione è un evento esterno, reso asettico e fuori dalla nostra portata, quindi per i bambini di oggi il problema dell’uccidere un animale non rappresenta più lo sconvolgimento emotivo che poteva essere per noi”.

In un altro tempo e in un altra parte del mondo uno scrittore – Jonathan Safran-Foer, nel citato libro-saggio “Eating animals” – parte anch’esso da un ricordo personale; quello della nonna, sopravvissuta all’internamento in un campo di concentramento nell’ultima guerra e da lui considerata a lungo la più grande cuoca di tutti i tempi.

Ebbene la nonna, appena liberata, rifiuta la prima carne che le viene offerta, fornendo con la forza dell’esempio al nipote, futuro scrittore, una lezione sulla necessità di fare sempre ‘la cosa giusta’.

In un’intervista egli dice:
“Mangiamo perché lo vogliamo. Mangiamo perché la carne è buona. Ha un buon sapore, un buon odore. Non esistono altre spiegazioni oneste e in realtà ne potremmo fare a meno. La carne è anche religione, cultura e memoria. Penso ad esempio cosa significa per noi americani il barbecue del 4 luglio. Penso alle ore passate con i genitori e i nonni, a quello che ci hanno raccontato mentre mangiavamo. È vero che sotto certi aspetti la carne ci rende la vita più gradevole, ma la mia domanda è: possiamo continuare a mangiare senza interrogarci e preoccuparci?”.
– «Meno dell’ uno per cento degli animali uccisi per la propria carne provengono da allevamenti familiari».
– «L’impatto degli allevamenti animali sul riscaldamento globale è superiore del 40 per cento rispetto a tutti i trasporti del mondo combinati. Esso è la causa principale del cambiamento del clima». E, voglio ripetere, la difesa dell’ ambiente e il rispetto per gli animali sono due facce della stessa medaglia».
– Uno degli elementi più inquietanti del libro è la constatazione che il macello degli animali va di pari passo con la loro spersonalizzazione: si massacra un’intera massa di animali per non considerarli individualmente”.

Fin qui il libro dello scrittore americano.

Ma gli aspetti etici collegati con il consumo di carne avevano cominciato ad essere dibattuti nella cultura occidentale di massa (a parte le sparute avanguardie di ‘vegetariani’ che sono sempre esistite) fin dagli anni ’70; in quel periodo il filosofo americano Peter Singer diede voce con Animal Liberation al movimento per la liberazione degli animali. La scelta vegetariana veniva considerava un obbligo etico, proprio a causa della sofferenza indotta negli animali.

Ipotesi portata all’estremo da Adam Shriver, filosofo americano della Washington University di St. Louis, in un saggio provocatorio apparso su Neuroethics nel 2009, intitolato: Knocking Out Pain in Livestock: Can Technology Succeed Where Morality has Stalled? “Eliminare il dolore negli animali da macello: può la tecnologia riuscire dove la morale si è arenata?”.
Egli argomenta: – “…Dal momento che un sacco di gente mangia carne e non diventerà mai vegetariana perché non vuole rinunciare a quel sapore, dal momento che gli stessi animalisti hanno a cuore soprattutto il benessere delle bestie, perché non creare in laboratorio delle specie che non soffrono? E voi, non digerireste meglio la vostra bistecca sapendo che l’animale da cui proviene non ha provato dolore?”.

Anche nel libro “Il maiale che vuole essere mangiato” di Julian Baggini (Cairo Ed. 2006), si ipotizza la possibilità di produrre animali geneticamente modificati in modo che non provino dolore…

 

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