di Rita Bosso
Nell’VIII secolo a.C. greci provenienti dall’Eubea si insediano ad Ischia e vi fondano una colonia, Pithekoussai: è la prima volta che ciò accade in Italia; qualche decennio più tardi sarà fondata Cuma.
Perché i greci si sono spinti tanto lontano dalla madrepatria? Perché, presa la decisione di stabilirsi ad Ischia, si insediano a Lacco Ameno?
L’archeologo Giorgio Buchner, scopritore di Pithecusa, scrive: “A prima vista appare sconcertante che le colonie greche più antiche, Pithecusa e Cuma, siano state quelle rimaste anche in seguito le più settentrionali in Italia, le più lontane dalla madrepatria. E’ evidente, inoltre, che non si presceglie una piccola isola montagnosa e collinosa, per giunta così lontana, per impiantarvi una colonia agricola e di popolamento. (…) …la fondazione di Pithecusa ha avuto motivi di carattere commerciale”.
All’epoca erano già sfruttati i giacimenti di rame e ferro dell’Elba e dell’Etruria; l’ipotesi che la fondazione della colonia (e non di un semplice emporium) sia legata all’estrazione di rame e ferro all’Elba e in Etruria ha ricevuto conferma allorché sono state ritrovate officine per la lavorazione del ferro, con residui metallici di provenienza elbana.
Scrive ancora Buchner:” La località prescelta dai coloni era in posizione particolarmente favorevole per l’impianto della nuova città, somigliante a quella di molti altri insediamenti costieri ellenici. Il promontorio di Monte Vico, che forma la punta nord-occidentale dell’isola, si protende nel mare con coste a picco ed anche verso l’entroterra presenta pendii scoscesi, facilmente difendibili, che racchiudono in alto un’area abbastanza vasta e relativamente pianeggiante. I due approdi alla base del promontorio, la baia di san Montano a N-W e quella che era spiaggia dei pescatori aperta verso N-E, assicuravano riparo secondo i venti. Ai piedi dell’acropoli, la valle pianeggiante di san Montano offriva un’area adatta per l’impianto della necropoli”.
Torna alla mente la descrizione omerica della Scheria, la mitica isola dei Feaci:
Ma come in vista della città arriveremo – un muro la cinge,
alto, e bello ai lati della città s’apre un porto,
ma stretta è l’entrata: le navi ben manovrabili lungo la strada
son tratte in secco, per tutte, a una a una, c’è il posto.
Gli scavi condotti da Buchner hanno portato alla luce molti reperti, conservati nel Museo di Villa Arbusto; il fiore all’occhiello è senz’altro la Coppa di Nestore, una coppa facente parte del corredo funerario di un fanciullo, su cui è graffita un’iscrizione che è considerata tra i più antichi esempi di scrittura greca.
Cartoline tra Ponza e Ischia. (6) – Continua