Ambiente e Natura

Ritornare a Vignola

di Sandro Vitiello

 

Pubblichiamo con molto piacere questo coinvolgente scritto di Sandro Vitiello, di qualche anno fa, dal suo blog. A maggior ragione ora, a così poca distanza dalla scomparsa di Costantino – sua l’immagine che si allontana lungo la spiaggia.
A Sandro e a tutta la sua famiglia la commossa partecipazione di tutta la Redazione

 

“Vedi Sandro, proprio qui mettevamo tre o quattro sassi e preparavamo una specie di focolare dove si metteva a cuocere una pignata di pesce; quasi sempre una zuppa, con poco condimento e tanta fame…” – Questo e tanto altro ci ha raccontato mio padre, a me, a Salvatore e a Livio in quel viaggio nella memoria che abbiamo fatto ai primi di Novembre 2001 in Sardegna, nella zona tra Santa Teresa di Gallura e Castelsardo, a ritrovare i luoghi in cui mio padre, i suoi fratelli e decine di altri pescatori ponzesi hanno consumato gli anni migliori della propria esistenza, per guadagnarsi da vivere.

Era la spiaggia di Vignola, nel comune di  Aglientu, la loro meta.

Partivano ai primi di marzo da Ponza, dopo la festa di San Silverio a Le Forna, con le loro barchette a remi, caricate su velieri-vivai di aragoste, con i quali avrebbero convissuto e diviso le fortune (in parti non proprio uguali) fino a fine settembre.

Le aragoste, pescate abbondantemente, venivano conservate vive in enormi nassoni fermati a pelo d’acqua con dei sassi come zavorra.
Il veliero-vivaio con i quali erano arrivati in Sardegna, andava avanti ed indietro da Marsiglia o da Barcellona dove i crostacei trovavano buon mercato.

Arrivavano in Sardegna dopo un viaggio di un paio di giorni che li portava alla meta costeggiando l’arcipelago toscano e la Corsica.
Approdavano in una spiaggia abbandonata da Dio e dagli uomini e ne facevano la loro dimora per almeno 6 mesi. Arrivati a Vignola incominciavano a costruire le nasse in vimini che sarebbero servite per catturare le aragoste.
Si provvedeva intanto a darsi un riparo di fortuna con frasche e qualche pezzo di tela, altrimenti nelle giornate di pioggia l’unico riparo era la piccola prua coperta della barca.

Mio padre è arrivato a Vignola per la prima volta nel 1919, aveva 8 anni, insieme a suo padre, a suo fratello Francesco e a qualche suo zio.
Era un bambino, comunque, anche se all’epoca si cresceva in fretta.
Il viaggio, nella mente di un bambino è quasi sempre una cosa fantastica ma è anche un andare altrove, un allontanarsi dalle piccole certezze che piano piano cominciavano a costruirsi nella vita di una giovane creatura.

In quei tempi a Ponza non si stava certo bene, ma chi andava ad aragoste in Sardegna faceva un viaggio ai limiti della sopravvivenza.
L’igiene personale era garantita (?) da un rigagnolo d’acqua che scendeva in mare verso Torre Vignola.
Nella stagione calda il ruscello si asciugava e, al pomeriggio, dopo una giornata passata in barca a tirare su per ore e ore decine di nasse, bisognava sobbarcarsi un viaggio di qualche ora per arrivare fino alla casa di Gioacchino Mannoni, a prendere qualche orcio di acqua fresca. Per cucinare andava bene l’acqua del mare che era pure già salata.
Le malattie della pancia erano una costante nella loro vita.

Ci sarebbe da scrivere qualche libro sui legami tra i pastori e contadini dell’Aglientiu e i pescatori di Ponza.
I sardi che, storicamente per antiche paure dei saraceni, si tenevano lontani dal mare, scoprirono il pesce grazie ai ponzesi e i ponzesi apprezzarono, prima di tanti altri, la bontà del pecorino sardo.

Era un dolce miraggio veder arrivare nelle giornate estive qualche contadino che portava ai pescatori una cesta di frutta, un fiasco di vino e qualche caciocavallo e si vedeva riempire quella cesta di pesci, di aragoste e di ogni ben di dio che quel mare donava.
C’era un grande rispetto per i pescatori di Ponza e per le loro tradizioni.

Antonio Peru, il proprietario delle terre prossime alla spiaggia di Vignola, pensò di erigere una chiesetta in onore di San Silverio negli anni trenta e mio padre, insieme ad altri pescatori portò da Ponza una statua del santo.

Pasquale Batini, suo nipote, mi portò a metà degli anni ’80 a vedere questa chiesa e ebbi solo allora la percezione della sofferenza dei pescatori di Ponza in Sardegna.
Quella chiesa non fu solo il luogo dove i ponzesi e i sardi si incontravano il 20 giugno di ogni anno per fare una grande festa insieme, era anche un sicuro riparo nelle notti di tempesta.

Se all’età di 90 anni mio padre ha sentito la necessità di ritornare ancora una volta da quelle parti è perchè la sua Sardegna non è stata solo sangue e sudore ma anche grande affetto e solidarietà con il popolo sardo.

La spiaggia di Vignola venne abbandonata alla fine degli anni cinquanta; quasi tutte le barche si erano ormai dotate di un motore e Santa Teresa di Gallura era un posto più umano e sicuro.

Quando in quel novembre 2001 siamo arrivati in Sardegna, dopo essere stati a Caprera (dove mio padre aveva fatto il militare come aiutante della figlia di Garibaldi) a visitare la casa e la tomba dell’eroe dei due mondi, abbiamo trovato alloggio presso l’albergo Torre Vignola, a pochi passi dalla nostra meta, di proprietà di un nipote di Antonio Melao (?).

La mattina successiva al nostro arrivo siamo scesi a fare colazione e c’erano una quindicina di persone che ci aspettavano per salutare mio padre; s’era sparsa la voce che uno dei fratelli Sacco era di nuovo a Vignola.
I giorni successivi sono stati un crescendo di incontri, “spuntini” (come amano definire gli incontri fuori pasto) e acquisto del migliore pecorino sardo.

Passare in una strada sterrata – “Sandro fermati che mi sembra di conoscere quel signore”, scendere e buttare le braccia al collo di un amico che non si vedeva da 50 anni è stata un’emozione indescrivibile.

Fermarsi sul muretto vicino al forte di Castelsardo, scambiare qualche parola con un vecchietto che prendeva un pò di sole e scoprire che era un buon amico di zio Mario, morto troppo giovane.
…e poi l’ospitalità della famiglia di Federico Aprea a Santa Teresa.

Questo è stato il nostro viaggio in Sardegna.

Ne è valsa veramente la pena.

P.S.
Questa non è una foto qualsiasi: questi erano gli scogli dove in settembre zio Francesco andava a raccogliere “l’erba corallina”.
Quest’alga ha curato generazioni di ragazzini ponzesi quando avevano problemi con “i vermi”.

 

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