Attualità

Basta una conchiglia per dire “grazie”…

di Gabriella Nardacci

 

Sentivo la necessità di parlare della “responsabilità” a proposito dei commenti riguardanti questo tema. Un saluto a tutti i lettori di Ponza racconta.
Gabriella Nardacci

 

Durante quest’ultima campagna elettorale, girava, su FB, un post  in cui s’invitavano gli elettori a osservare il luogo dove figli, nipoti o figli di amici, trascorrevano anche otto ore al giorno: la scuola.

Arredi vecchi con qualche armadio senza ante, banchi e cattedre con una storia alle spalle, mancanza di materiale dentro aule grandi dai soffitti alti, belle ed ariose (e diciamo che, se ce le ritroviamo, dobbiamo pure dire, faticosamente,” grazie” a Mussolini ) ma con muri scrostati, sporchi, e tappezzati con più cartelloni possibili per non far vedere quello che c’è sotto (certo si potrebbe fare uno scambio con certi uffici all’avanguardia…Le scuole in certi Ministeri e i Ministeri nelle scuole…perché no? Che se ne fanno alcuni impiegati di arredi nuovi per pratiche irrisolte?).

Fino a qualche tempo fa, era proibita qualsiasi iniziativa privata da parte degli insegnanti e dei genitori, di tinteggiare i muri, almeno. Recentemente, grazie ad un intervento di Legambiente con il progetto “Nontiscordardime”, genitori ed insegnanti, possono, in un sabato di questo mese, provvedere alla tinteggiatura delle aule (non riesco ancora a capire perché questa cosa non è stata fatta prima… In fondo cosa si poteva rubare o rompere dentro una scuola che non aveva nulla di nuovo e che aveva tutto da riparare? Mah! Dubbi amletici…).

Da quel lontano anno in cui l’allora Ministro dell’Istruzione (se non erro Berlinguer) ha fatto sì che la scuola statale si autogestisse, ne è passato di tempo. Abbiamo assistito, impotenti, al sempre maggior incremento delle scuole private e comunali (soprattutto per quanto riguarda la scuola dell’infanzia). Scuole private che hanno edifici ben conservati, materiali e arredi nuovi e dove i bambini stranieri non possono andare perché non riuscirebbero, comunque, a pagare le rette mensili. Abbiamo visto la chiusura di sezioni di scuola statale dove il degrado è, invece, aumentato sempre di più.

Ho assistito alla resa da parte di alcuni insegnanti ma anche alla testardaggine di altri ad andare avanti comunque, inventandosi sempre nuovi modi di fare e dire le cose, nonostante le difficoltà, ad usare ciò che la scuola poteva offrire, invitando gli alunni a inventare, creare, ragionare con materiali poveri e non per questo meno nobili, lavorando insieme e facendo di ogni idea un ragionamento unico per la realizzazione di un obiettivo che appartenesse a tutti.

Insomma senza arrendersi, per far vedere che noi insegnanti non ce la facciamo. La famiglia spesso è assente con i figli, anche quando stanno tutti insieme. I genitori vivono realtà lavorative che impegnano da mattina a sera e molto spesso i bambini non vengono ascoltati ma solo accontentati nelle richieste di giochi o altro, sperando, in tal modo, di sopperire a certe assenze. Capita pure che il nostro mestiere non venga riconosciuto da alcune persone… Spesso si sente dire: “Ah le maestre, con tutti quei giorni di vacanza che hanno!” senza pensare a quanto è difficile tenere una classe oggi, a quanti alunni disagiati, extracomunitari, bulli, distratti e con attenzione minima, abbiamo.

A quanto è duro educarli al rispetto di regole primarie, all’impegno, alla collaborazione, all’autocontrollo. A quanto risuonano dentro le nostre orecchie le loro voci concitate, i loro pianti, i loro bisticci… tanto che a volte si  torna a casa con la testa che scoppia e senza aver avuto tempo per prendersi un caffè nel distributore automatico in portineria. I bidelli sono pochi ormai e non si sa a chi lasciare la classe un momento, per “respirare” un po’.

Eppure siamo lì a incitare chi perde fiducia in se stesso: “…dai che ce la stai facendo!”.

Noi insegnanti siamo tenuti a dare il primo esempio di passione nel lavoro perché solo così i nostri alunni potranno un domani guardare con passione ogni azione che proviene da loro stessi.
Io sono certa che questa è la responsabilità che abbiamo: un “processo di accudimento” è necessario sempre e non importa da dove arriva (si sa cosa produce in un individuo, la mancanza di tale processo…). Spesso può arrivare anche da chi non è mai stato genitore ma che ha saputo farlo meglio di un genitore stesso e fra noi insegnanti ce ne sono molti che non sono genitori (naturalmente ci sono anche quelli che non sanno fare gli insegnanti, e questo è un altro nodo dolente… Ahimè!).

Non ci aspettiamo che un pensiero e un ricordo da questi che ora sono bambini che si affidano a noi. Sappiamo già che i genitori, quando i loro figli sono bravi dicono che è grazie a loro e quando sono meno bravi dicono che la colpa è delle maestre. Ma i bambini sanno la verità e quando saranno grandi riusciranno a mettere insieme tutti i pezzi di questo puzzle che è vita e sapranno capire ogni cosa.

Io penso che il mio lavoro sia da annoverarsi fra i più belli. Nessuno potrà mai capire la gioia che prova un’insegnante quando un alunno regala i bigliettini pieni di cuoricini e i ritratti per le maestre e delle maestre con le frasi “Ti voglio bene”, “…TVTTSSMO BENE”.

Oppure quando un bambino ti regala una piccola conchiglia annodata con un pezzetto di spago e l’accompagna con un biglietto in cui c’è scritto: ”Maestra, sono stato con mamma e papà all’isola di Ponza e ho raccolto questa conchiglia per te. Io lo so che tu scrivi pure su Ponza e che ti piace questa isola. È vero che è bella anche se costa tanto sia l’albergo che il ristorante, ma questa conchiglia non è stata comprata. L’ho trovata su un muretto vicino al porto e ho pensato a te. Ti porterà fortuna”.

Non cambierei questo regalo neanche con una collana di perle.

1 Comment

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  1. Pasquale

    4 Marzo 2013 at 11:33

    Alcuni giorni fa, per strada, sono stato avvicinato da un giovane. Si è fermato e mi ha detto: “Professore mi riconosce?” Immediatamente sono andato a ritroso, l’ho guardato e, nonostante le fattezze siano cambiate per l’età e i “semi”, sparsi qua e là, siano tanti, ho ricordato anche il suo nome. Ha aggiunto: “Devo dirle che in tutti questi anni ho fatto tesoro dei suoi insegnamenti” Ha proseguito: “Speravo da tempo di incontrarla per dirle questo e per ringraziarla” Ho risposto: “Sono io che ti devo ringraziare per quello che mi dici, ma devi soprattutto ringraziare te stesso perché hai recepito quanto di buono, insieme, abbiamo fatto; io, nonostante tutto, non ho fatto altro che cercare di adempiere, al meglio, al mio dovere…”.

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