Ambiente e Natura

Gli anni del Dragone

di Martina Carannante

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Il 1992 è stato un anno importante per l’Italia e l’Europa: eventi come l’attentato a Falcone e Borsellino, la nascita dell’ UE etc… hanno reso gli anni ’90 rilevanti per la storia di oggi.
Ponza è sempre stato un microcosmo a parte, ma ha voluto lasciare una sua traccia, proprio nella primavera del 1992.
Io non ero ancora nata, era un’altra Ponza, con grande inventiva e spirito d’iniziativa. Erano gli anni che per ammazzare il tempo si praticava il Dragonboat, uno sport orientale, cinese, faticoso e formativo. Il Dragonboat (letteralmente: barca drago) è una canoa a 20 posti con avanti una testa di drago e dietro la coda.
Si pagaia comodamente seduti su assi di legno con una pagaia monopala.
Sull’imbarcazione, oltre ai 20 rematori, ci sono: un timoniere alla poppa e un tamburino a prua per dare il ritmo di remata agli atleti.
La pagaia del dragonboat è solitamente in fibra di carbonio (più piccola della pagaia della canoa canadese) e solitamente decorata con qualche disegno che ricorda l’origine cinese.
Questa tipo di canoa misura 1,12 metri di larghezza e 12,40 m di lunghezza con un peso che, per i modelli in materiale composito, si aggira sui 250 kg (misure regolamentari di gara).
L’equipaggio di una barca drago è composto dai canottieri (o vogatori) che siedono a coppie sulle panche, l’uno di fianco all’altro e spingono in avanti la barca con le pagaie.
Un suonatore di tamburo sulla barca dà il ritmo della coppia anteriore di canottieri (“fila di voga” o “uomini di voga”) e bada con i suoi colpi a dare una cadenza uguale a tutti i vogatori sulla barca e incita i canottieri stessi con le grida a dare del loro meglio.
Il timoniere sta sul ponte e guida la barca con un remo lungo.

Le origini di questa disciplina sportiva risalgono ad oltre 2000 anni fa quando – narra la leggenda – il poeta e statista cinese Qu Yuan si gettò nel fiume Mi-Lo per protestare contro le vessazioni cui veniva sottoposto il suo popolo dal governo di allora. I pescatori saputa la notizia si lanciarono con grandi barche alla ricerca del corpo di Qu Yuan, sbattendo con forza i remi per allontanare i pesci.
Da allora è nata una tradizione che ricorda quel giorno e si celebra in tutto l’Oriente  – il quinto giorno della quinta luna – come Festival del Dragon Boat.

Il 24 luglio 1991 ad Hong Kong 12 Nazioni, tra cui l’Italia, fondarono la International Dragon Boat Federation.

Questo sport particolare e soprattutto lontanissimo da quella che era la nostra cultura, arrivò a Ponza, proprio in quegli anni, grazie a Riccardo Pezzi, un amante di Ponza nonché gran sportivo, romano e con la passione del canottaggio, che partecipava con il suo equipaggio alle varie gare sul Tevere tra la ” Roma Bene”.

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2 Comments

2 Comments

  1. polina ambrosino

    3 Marzo 2013 at 14:27

    Grazie Martina che dai lustro a questa bellissima attività sportiva che avrebbe potuto essere un vero vanto per Ponza e anche una forza aggregatrice… Invece siamo qui a ricordarla… Anche se a livello istituzionale la Federazione per il Dragon Boat è nata solo nel 1991, bisogna dire che in Asia, specie a Hong Kong e a Bangkok, il Dragon Boat veniva praticato già da molti anni e, infatti, a Ponza arrivò nel 1989 quando la squadra femminile originaria si recò ad Anzio per una gara e vinse, ma perse la testa del drago nel porto! Visto l’ottimo risultato, il sig. Riccardo Pezzi insieme a Salvatore Perrotta e a Silverio Di Lorenzo, tamburino e timoniere del dragone, decisero che era giunto il momento di fare sul serio e la squadra femminile “CANOTTIERI PONZA” fu iscritta al primo campionato nazionale di questa specialità che si sarebbe tenuto a Sabaudia nell’ottobre 1990. Alcune ragazze che avevano partecipato alla gara di Anzio vennero meno, e furono sostituite da altre, tra cui anche io. Iniziò cosi un periodo di attività sportiva molto bello: fare sport in acqua è speciale e dà emozioni incredibili. Anche se non è sempre stato facile far andare daccordo 20 ragazze (quasi un’impresa titanica, direi) i risultati furono ottimi!! L’allenamento iniziò a fine agosto e si tenne fino agli inizi di ottobre, quando, finalmente, avremmo partecipato a quel primo campionato nazionale. Certo, la canoa, quella prima canoa, non era nuovissima… Molto pesante, un pò scrostata, ma era la nostra! Noi ragazze non avevamo nemmeno una divisa, in quel primo campionato. Ognuna aveva i suoi “ciclisti” di colore diverso: pantaloncini a mezza gamba che all’epoca andavano moltissimo, e ci fu data una canotta di colore lilla, un pò sbiadita, con la scritta canottieri ponza. Eravamo le cenerentole del campionato… ma a Sabaudia, in quella giornata piovosa, su quell’acqua di lago cosi pesante e opaca rispetto alla nostra acqua di mare limpida e leggera, la nostra vecchia canoa volò… Incredibilmente, quando alzammo la testa dal remo, perchè guai ad alzare la testa in gara… mai guardare dove si è, Silverio di Maurino continuava a gridare giù la testa, lunga!… ebbene, quando la gara finì sotto una pioggia incessante… eravamo CAMPIONI D’ITALIA!! (arrivederci al tuo prossimo scritto!)

  2. Luisa Guarino

    5 Marzo 2013 at 18:54

    Ci sono circostanze e nomi che per anni restano nel dimenticatoio, poi, non si sa per quale misteriosa coincidenza, saltano fuori all’improvviso… e a distanza ravvicinata. Così, con “Gli anni del Dragone” di Martina e il successivo commento di Polina, mi sono trovata, oltre che a rivivere momenti condivisi in lontane estati degli anni Novanta: le gare nello specchio del porto di Ponza, il tamburo che scandisce il ritmo della gara, il rientro delle imbarcazioni a Sant’Antonio, gambe in acqua per scattare le foto; ma soprattutto a ‘ricordare’ un nome e un personaggio che tanto ha cercato di adoperarsi, e non soltanto allora, per Ponza, Salvatore Perrotta. All’epoca o poco prima, non vorrei sbagliarmi, Salvatore era presidente della Pro Loco ponzese: indimenticabili sono rimaste le sue ‘prese di posizione’ nei confronti dell’Ept (Ente provinciale del turismo) di Latina.
    Combattivo e ‘scomodo’, Salvatore si è sempre battuto per Ponza, per risolvere i suoi problemi, per trovare possibilità di sviluppo al suo turismo. Negli ultimi anni, nonostante la fierezza e l’età ancora giovane, anche lui ha dovuto capitolare, scoraggiato e deluso di fronte a muri di gomma e a realtà sempre più incomprensibili. Quante chiacchierate insieme, quanti progetti, e poi quanta amarezza, quanta delusione… Qualche anno fa, finché Chiaia di Luna era aperta, anche se a tempo e con orari limitati, era impegnato lì, con il noleggio di pedalò, ombrelloni e sdraio. Però già da tempo alternava la vita a Ponza con soggiorni più o meno lunghi in Spagna, Paese d’origine della madre.
    Ora lo incontro di rado e di sfuggita, quasi sempre in Vespa e con il fido cane a bordo. Giorni fa, cercando notizie tra i volumi della sezione ‘Ponza’ della mia libreria, mi sono imbattuta in un suo libro, delizioso e tutto blu, di cui conto di parlare nei prossimi giorni. Nel frattempo mi chiedo e vi chiedo: dov’è Salvatore Perrotta?
    La sua ‘voce’ mi manca. E credo che manchi anche a Ponza

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