Ambiente e Natura

Incontro a Ponza con tre ‘furastere’. (5). “Le piante: ospiti o invasori? (parte seconda)

di Sandro Russo

per l’articolo precedente, leggi qui

 

Da quando l’uomo è diventato il determinante maggiore della propagazione delle piante, sottraendosi al controllo naturale, le cose non vanno tanto bene; si è inserita una variabile imprevista che prescinde da opportunità ecologiche, da giudizi estetici e anche dal semplice buon senso: queste sono le ragioni economiche.

Nell’antichità “la via delle Spezie” è stata importante almeno quanto “la via della Seta” per favorire scambi e conoscenze tra i popoli.
La bachicoltura fu iniziata in occidente intorno all’anno 500: la leggenda dice che a trafugare delle uova di baco da seta dalla Cina a Costantinopoli furono dei monaci agli ordini dell’imperatore Giustiniano, utilizzando l’artificio di nasconderle nel cavo di alcune canne. Ne conseguì una fiorente produzione in Italia con conseguente incremento della coltivazione del gelso, sulle cui foglie i bachi venivano (e vengono) allevati.

Il gelso, ’u cieuz’ (Morus alba, Morus nigra – Famiglia Moracee, la stessa del fico (Morus carica). I frutti sono denominati more (more del gelso).
Il gelso, come il fico è originario dell’Asia

…E a proposito del fico: nella denominazione binaria di Linneo, ‘carica’ deriva dalla Caria, la regione dell’Asia minore da cui poi il fico è stato diffuso a tutto il bacino del Mediterraneo. Quindi la più tipica delle piante mediterranee è di origine asiatica!

A parte la seta, molte altre floride attività commerciali sono state collegate con il trasferimento di piante da una parte all’altra del globo. Basti pensare all’impianto dell’albero della gomma (Hevea brasiliensis) dal Centro America alla Malesia; alle coltivazioni del caffè e del the, tra sud America, Africa e paesi orientali (India, Sri Lanka)

Newara Eliya (Sri Lanka). Le colline del the (foto di Renzo Russo e Françoise Mouton)

Insieme al conseguimento di innegabili realizzazioni positive, altre volte l’uomo si è comportato da ‘apprendista stregone’, interferendo in delicati ecosistemi senza prevedere le conseguenze che ne sarebbero derivate; certo in tempi in cui le conoscenze e la sensibilità ecologica erano ancora al di là da venire.

Si riportano come esempio di ‘disastri ecologici’, l’incauta introduzione, nel 1900 circa, di cactus appartenenti al genere Opuntia (il comune fico d’india) in Australia; in meno di vent’anni la pianta riuscì a colonizzare decine di migliaia di ettari di pascolo, sfidando qualsiasi tentativo di eradicazione da parte dell’uomo.
Soltanto nel 1926 si riuscì a trovare un insetto fitofago di origine argentina – il lepidottero Cactoblastis cactorum – in grado di riportare sotto controllo la popolazione di cactus.

Peraltro l’Australia – come territorio ad ecosistema segregato – non era nuova a questi flagelli, perché il 25 dicembre 1859, nei dintorni di Melbourne, furono liberati 13 esemplari di coniglio, fino a quel momento non presente sul continente. Si riprodussero, appunto, come conigli!
Nei primi anni del ’900 la popolazione dei conigli australiani superava i 500 milioni da esemplari, e costituiva un flagello tale da giustificare l’erezione della “rabbit proof  fence”, una barriera di rete lunga 3000 chilometri che tuttora taglia in due, da costa a costa, il territorio della West Australia.
Furono effettuati anche tentativi di controllo biologico con predatori (volpi) che però preferirono orientare la propria attività di caccia nei confronti della fauna locale autoctona, diventando una ulteriore fonte di problemi.
Nel 1951 infine fu diffuso artificialmente il virus della mixomatosi, che contribuì per un certo tempo a decimare la popolazione esistente, ma che negli ultimi decenni ha portato alla comparsa di razze resistenti o immuni.

Comportamenti superficiali, a volte francamente stupidi, derivati dal non aver considerato tutte le possibili conseguenze di una incongrua manomissione dell’ambiente naturale; tentando poi rimedi peggiori del male, in una spirale infinita.

Sul versante opposto, spesso l’atteggiamento nei confronti dei problemi ambientali è improntato a criteri più ‘romantici’ che scientifici: si tende a considerare l’ambiente, o la biodiversità, come uno status quo da mantenere inalterato e da proteggere a qualsiasi costo. Mentre gli “ecosistemi” sono entità complesse, estremamente dinamiche che vanno incontro a continui cambiamenti, e dove la comparsa o l’estinzione di una o più specie sono fenomeni normali e ricorrenti.

Di tempi e luoghi più vicini a noi è la notizia dell’aspra contesa che oppose  a Capri – negli anni ’60, agli inizi del boom del turismo nell’isola – gli sperimentatori/fautori dell’introduzione di nuove specie e i ‘puristi’ della flora locale; quando questi ultimi, organizzati in ronde armate di zappe e falcetti, fecero giustizia sommaria di piante considerate ‘estranee’ alla flora isolana.

Echium fastuosum. Particolare del fiore, fotografato a Ponza da Alfredo Scotti

Furono bersaglio di quello sciagurato progrom numerose piante, la più nota delle quali è proprio Echium fastuosum (o ‘Viperina di Madeira’ – Fam. Boraginacee), affermatasi trionfalmente sull’isola e tornata ora rigogliosa e diffusa, una volta passati i furori integralisti. Echium fastuosum ha fatto la sua comparsa anche a Ponza, in località S. Antonio, e  all’altro estremo dell’isola, su via Forna grande, la strada che contorna Cala Feola da sopra.

A Capri furono coinvolte nell’operazione di distruzione anche altre piante introdotte dai ‘turisti’, come questa:  Strelitzia reginae, dal fiore noto come ‘uccello del paradiso’ (Fam. Strelitziaceae), originaria del Sud-Africa.

Infine, vogliamo segnalare, perché di cogente attualità e collegato con i temi già trattati (di interferenza dell’uomo sulla natura), un aspetto non secondario nella nostra piccola terra circondata dal mare, che va tutelato e conosciuto al pari del resto perché è tutt’uno con il nostro ‘ambiente’.

La Caulerpa taxifolia, nota anche come alga killer è un’alga tropicale decorativa degli acquari ad acqua salata, incautamente disseminata durante le pratiche di lavaggio, che si è diffusa in brevissimo tempo nel Mediterraneo e rappresenta un problema per la sua incontrollata proliferazione, oltre che per la competizione con altre specie vegetali e la tossicità per gli animali che di solito ne frequentano le praterie sottomarine.

Caulerpa taxifolia (cioè dalle foglie simili a quelle del tasso)


Siamo quindi, sul versante botanico, in una situazione “fluida”, in cui la caratteristica isolana che maggiormente salta agli occhi è uno scollamento tra le conoscenze dei ‘vecchi’, depositari di una cultura botanica ed agricola centenaria e le nuove generazioni che – almeno così sembra – non hanno occhio, interesse e sensibilità per le piante.

Questa ‘indifferenza’ è spartita anche dai pubblici poteri e dalle Amministrazioni che si sono succedute sull’isola, i cui comportamenti hanno oscillato tra il ‘non vedere’ e il ‘vietare tutto’.

Ben diverso l’atteggiamento di isole – a noi contigue per cultura e posizione geografica – da sempre più attente al turismo e alla protezione delle bellezze del loro territorio.

Ad esempio, un approccio consapevole al problema (recuperato in rete e disponibile presso la redazione di Ponza racconta) è formulato nel “Piano di tutela dei beni paesistico-ambientali e culturali” del comune di Capri e Anacapri che specifica, al Titolo II, art. 11 – zona P.I. (Protezione Integrale), punto 4:

“È vietato: il taglio e l’espianto delle piante di alto fusto nonché il taglio e l’espianto della vegetazione arbustiva, tanto di essenze esotiche, quanto di macchia mediterranea spontanea. Le essenze da espiantare a causa di affezioni fitopatologiche devono essere sostituite con le stesse essenze; qualora si tratti di essenze estranee al contesto paesistico-colturale dovranno essere sostituite da specie indigene o compatibili col suddetto contesto.
Eventuali interventi di sostituzione di essenze estranee al contesto paesistico-colturale dovranno essere graduali e programmati. I progetti dovranno essere sottoposti al parere dell’Orto Botanico dell’Università di Napoli “Federico II”.

C’è niente del genere in qualche norma del nostro Regolamento comunale?
Non lo sappiamo, anzi gradiremmo avere (come sito) – tra gli Amministratori pubblici e tra i Lettori – degli interlocutori sull’argomento.

Abbiamo recentemente lanciato su queste pagine il progetto per un “Erbario ponzese” (leggi qui) che coinvolgerà i ragazzi delle nostre scuole.

È in fase avanzata di preparazione – a cura di Mimma Califano – una messa a punto sulla cultura contadina di Ponza e sulle colture tradizionali isolane.

Vorremmo raccogliere attraverso le pagine del sito Ponza racconta quel che rimane delle antiche conoscenze su questo affascinante argomento e le sfide della modernità. Possiamo registrare le vostre curiosità e domande e cercare insieme risposte ai temi che si proporranno.

Contattateci su [email protected]: vi risponderemo!

 

Per ulteriori approfondimenti sul tema, dello stesso Autore, su “O”, il giornale on-line di ‘Omero’. Scuola di Scrittura.
Leggi qui il relativo file pdf: Piante e uomini in viaggio (terza parte) copia

 

[Incontro a Ponza con tre ‘furastere’. (5). Fine]

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