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Lampi e fari

[1]

di Francesco De Luca (Franco)

 

L’altra notte (7 febbraio ) in Ponza si è assistito ad un duello: un duello di luce a chi più frange la spessa densità del buio.
Il Faro della Madonna signoreggiava spavaldo, pur se schiaffeggiato da una pioggia che talvolta tambureggiava grandine.
Il grecale acuiva il freddo, lo agitava con forza, ma si sa, i fari hanno nella loro natura l’ardire di sfidare le forze che in inverno portano gelo e timore agli uomini.
Il faro svettava nello scuro fitto della notte, solitario e sprezzante, mentre il cielo si adirava, si irritava.

E cominciò a imprecare. Tuoni lontani, rimbombi, sussulti, guizzi. Poi improperi, e i fulmini fiottavano, balenavano d’intorno. Finché non sputò.
Il cielo sputò fuoco.
Sull’isola di Ponza assopita, e sul promontorio della Madonna.

Uno scoppio impetuoso che il faro subì.
La potenza della saetta banalizzò la luce del faro, la frantumò. Tanto che il fanale si smorzò. Si rinchiuse su di sé, attendendo altri affronti. Una seconda saetta piombò sullo sconfitto faro. Squassò la notte e fracassò qualsiasi cosa si opponesse.
A nulla è valso il parafulmine. Disintegrato.
Rotte le finestre, divelti gli appoggi delle fughe del parafulmine.

Rosaria, la moglie di Cristoforo, pregò Iddio che si placasse; Cristoforo Tagliamonte, il marito, fanalista insieme a Silverio Montella si allarmarono e tentarono di parare ai disastri.
Come ombre si aggiravano con lanterne d’occasione. Trovando solidarietà nei marinai, della Guardia Costiera, ospiti anch’essi nei locali del faro.
Per tutta la notte tutti hanno imprecato contro la sorte.
Col giorno la speranza ha ripreso vigore. Ma il duello, il duello di luce, l’ha stravinto il fulmine.

Il  faro, amareggiato e ferito, si è chiuso nel diniego: non s’accende più.