di Mimma Califano
Sono ormai due anni che Ponza racconta è testimone e cassa di risonanza del tema di fondo della nostra isola: la decadenza sociale.
Vincenzo Ambrosino si appella al Sindaco e all’Amministrazione tutta; Martina Carannante agli ex-sindaci, oggi consiglieri di opposizione; Franco De Luca analizza i fattori di irreversibilità, solo per citare gli ultimi contributi.
Poiché questa situazione è il vero nodo cruciale da cui dipende la stessa sopravvivenza della comunità isolana, credo che tentare di capire – seppur per sommi capi – come si è arrivati alla situazione odierna e porsi qualche interrogativo su cosa/come si può fare, abbiano una qualche utilità.
Sono d’accordo con Franco quando dice che la responsabilità, anche se in modo difforme, appartiene ad ognuno.
Partiamo da qualche anno indietro. Fino alla prima metà degli anni ’70, Ponza manteneva ancora un’economia ed una cultura legate alla pesca e alla campagna.
I pochi e rari visitatori non incidevano né sugli aspetti economici salienti, né su altro, forse solo un po’ di folklore. Nel giro di pochi anni, questi rari visitatori sono cresciuti in modo esponenziale e spontaneo. Nessuno, si può dire, ha sollecitato la loro presenza e meno che mai ha programmato e disciplinato la loro gestione e tutte le necessità collegate a quella ch’è diventata una invasione. Parlo di ‘invasione’, perché senza una visione chiara di quanto stava accadendo e lasciando tutto alla spontaneità del flusso, questo ha finito per concentrarsi nel breve, canonico periodo estivo: luglio-agosto. Il resto del tempo, silenzio.
Sempre spontaneamente i pescatori si sono trasformati in barcaioli, i contadini in affittacamere o ristoratori, etc. .
Il perché è evidente: con meno fatica e meno tempo si potevano ottenere gli stessi risultati economici. Non solo, nel frattempo il mondo cambiava. La pesca vittima di tante leggi ed inquinamenti vari è diventata sempre più difficile, fino all’asfittica situazione odierna. Non dissimile la situazione per altre categorie.
Altro fattore da non trascurare è la perdita di un’intera generazione: quella nata negli anni ’50.
Là dove i sacrifici dei genitori e la volontà dei figli hanno consentito che questi studiassero, finiti gli studi solo una piccola parte è rientrata stabilmente sull’isola.
Chi è rimasto ha cercato di crearsi un lavoro applicando le modalità che conosceva: individualismo e utilizzo dei pochi spazi disponibili, privati o pubblici a seconda delle situazioni. Poiché, in un luogo limitato e unico come Ponza, ogni centimetro è funzionale al proprio benessere economico; logica conseguenza sono i conflitti da una parte e l’occupazione selvaggia di ogni possibile spazio.
Estate dopo estate ci si è rafforzati ed affermati con questo sistema. Cosa hanno fatto le Amministrazioni?
Ben poco potevano fare, essendo loro stesse espressione di questa logica. Hanno semplicemente, nella migliore delle ipotesi, fatto da vigile urbano di quanto accadeva. Nessuna programmazione: difesa pura e semplice dell’esistente.
Cadendo nella trappola della difesa dell’operatore turistico ponzese, “a prescindere”. Dimenticando che Ponza fa parte di una nazione, anche se in passato con ironia si diceva, partendo: – Vado in Italia.
La logica della difesa tout court di quanto avveniva, che per anni e’ stato professata come unico modo per consentire a chi viveva di turismo di svolgere la propria attività – ancora oggi, si tenta di professare questa fede – è stato ed è il modo peggiore di gestire la vita sull’isola. Consentire di lavorare in barba ad ogni legge e regola civile, se in un primo momento sembra fare gli interessi di chi riceve “la cortesia”, a lungo andare gli crea un grave danno. Perché si mette quell’operatore nella condizione di non avere alcuna certezza. Magistratura insegna. Non solo, si radica l’idea che tutto è nella regola, ha i crismi della legalità ed è quello il modus operandi.
Questo insieme di comportamenti – dei singoli che hanno creduto fosse quella l’unica via possibile e delle Amministrazioni che hanno avvalorato la situazione – ha portato ad un degrado complessivo della vita isolana.
Turismo ‘mordi e fuggi’, degrado ambientale, riduzione del numero di abitanti stabilmente residenti (tutti quelli che dal lavoro di tre mesi ricavano abbastanza per vivere discretamente, d’inverno preferiscono trasferirsi in continente), sfilacciamento dei rapporti umani, conflittualità.
E siamo all’oggi.
La crisi economica – probabilmente né breve, né di facile superamento – che a Ponza va ad aggiungersi a tutto il resto, sta rendendo la sopravvivenza economica dell’isola ridotta all’osso. Allora non basta appellarsi a chi può e DEVE fare tutto il possibile, ma ci vuole, da parte di tutti, in primis da parte di chi ha legato tutto il suo lavoro all’isola stessa, un percorso di consapevolezza, affinché ogni singolo comportamento non sia rivolto unicamente a favore di se stessi, ma venga valutato anche sotto l’aspetto delle conseguenze sull’intera realtà isolana.
In altre parole, la logica ponzese – È meglie che me salv’ ie, che vui site abbituate a muri’ affugàt’ a mmare – fa affogare tutti.
Per fare qualche esempio. Quando gli operatori turistici si denunciano tra di loro, pensando in tal modo di tutelare il proprio interesse, in realtà prima o poi tale denunzia finisce per ripercuotersi anche contro chi l’ha fatta.
Quando si buttano quintali di oggetti ingombranti per strada: frigoriferi, lavatrici, tv, etc. è l’intera isola che ne paga le conseguenze, quindi anche chi li butta!
Basta immaginare la faccia di chi arriva a Ponza per goderne le bellezze e si trova di fronte a delle discariche! Forse la volta successiva cambierà destinazione!
Vogliamo poi parlare di quando si sistemano le barche, e vernici, olii esausti e chissà cos’altro finiscono in mare o nei terreni!
Vogliamo parlare della poca cura con cui sono gestiti tanti degli appartamenti dati in affitto d’estate, o ancora di chi, pur lavorandoci sopra, non tiene le spiagge pulite o buca gli scogli per piazzare degli ombrelloni! O dei prezzi non sempre commisurati alla qualità di ciò che si offre?
Ponza vive di stessa: del suo mare, finché è pulito, delle sue stradine, delle sue case colorate, dei suoi orti, di scogli e cale, della sua accoglienza e cultura!
Il mondo è grande e pensare che il turista da ‘spennare’ arrivi sempre e comunque può diventare un errore letale, proprio per chi di turismo vive. Non basta aumentare i prezzi per riuscire a “far l’estate” quando questa si riduce per durata e numero di ospiti.
Altra pessima abitudine ponzese è il pensare e parlar male degli altri.
C’è un detto che dice: Se pensi male, vivi male. Mentre il detto di Ponza è: A pensare male si fa bene.
Cerchiamo di prendere maggiormente in considerazione il primo detto e non il secondo. Legato a questo modo di essere a Ponza ne vige un secondo: il sentito dire. I pettegolezzi viaggiano veloci, prima di casa in casa, adesso su facebook.
È vero che gli stimoli sono pochi, ma perché soffermarsi solo su questioni di poco conto e non provare ad impegnarsi su altre cose che fanno guardare e pensare oltre l’esistente? Magari aiutano ad abbattere il muro della diffidenza e dello status quo?
E ancora… siamo sempre pronti a lamentarci. Ma siamo sicuri che fuori di Ponza sia tutto facile? Alcune cose sicuramente sì, ma niente è scontato, ad iniziare dal lavoro.
Questo non vuol dire che tutto di Ponza sia negativo, perché poi non è difficile trovare esempi di disponibilità o collaborazione.
Allora, mi chiedo e chiedo: come si può fare per aumentare gli esempi positivi? Come si può fare per trasformare il pettegolezzo fine a se stesso in informazione, dibattito e confronto e alla fine impegno?
Come si può fare per raggiungere e coinvolgere chi normalmente preferisce restar fuori da ogni coinvolgimento?
Come accrescere la consapevolezza che ogni singolo comportamento è determinante alla sopravvivenza della comunità isolana?
Ponza racconta sta cercando nel suo piccolo di essere veicolo di informazione e stimolare il dibattito, pur tuttavia è più seguita fuori che dentro l’isola.
Qualcuno dice che è astratta, difficile o forse noiosa; qualcun altro preferisce i social network perché si può mantenere l’anonimato o quando il discorso diventa impegnativo ‘buttarla in caciara. Ci sta tutto – il mondo è bello perché vario – ma Ponza incomincia a non avere più troppo tempo a disposizione per affrontare le sue criticità.
Allora mettiamo in campo nuove idee, cerchiamo suggerimenti che possano contribuire a rendere la comunità un po’ più unita e consapevole: unica possibilità per poter costruire e non distruggere il futuro sull’isola.
Franco De Luca
5 Febbraio 2013 at 09:27
Mi collego alle riflessioni esposte da Mimma Califano nell’articolo “Passato e presente”, cercando di rispondere in parte alle sue domande. O meglio, cercando di rispondere al suo appello: “come si può fare per raggiungere e coinvolgere chi normalmente preferisce restare fuori da ogni coinvolgimento? “
Penso che una possibilità ulteriore, poco praticata in Ponza e che altrove dà frutti, sia il volontariato, ossia l’agire disinteressato in funzione di un fine dichiarato, trasparente e coinvolgente.
Gli appelli che in modo continuo vengono accoratamente lanciati, anche da questo sito, non riescono ancora a coagularsi in proposte condivise.
È reiterato l’invito all’Amministrazione a rispondere a sollecitazioni talvolta isolate e talvolta participate, così come non sono mancati gli inviti agli organismi economici privati a farsi carico di iniziative sociali collettive; ed ora, infine, Mimma si rivolge ai singoli individui affinché diano esempio di atti positivi.
Anche Ponza racconta, che è un frutto eccellente di azione sociale generata dal “volontariato”, può vantare meriti di coagulo efficaci, ma “ancora” insufficienti.
Occorre perseverare, dichiarando apertamente la propria adesione ad un obiettivo “collaborativo”, gratuito, non di lucro, non di parte.
Chi ha esperienza di organizzazioni “aperte”, rivolte esclusivamente al sociale potrebbe giovare molto a questa causa.
Questo mio è un contributo alle domande di Mimma. Ma è anche una dichiarazione esplicita di collaborazione personale fattiva. In quale senso? Nel senso di creare una struttura volontaristica mirata ad affrontare problematiche sociali, e a cercare di darvi soluzione.
Si tratta di parlarne insieme per dare consenso, ricercarlo, riceverlo e incanalarlo in qualcosa di concreto.