Racconti

Viaggio alle Forna (3)

di Pasquale Scarpati

Per la seconda parte: leggi qui

Le Forna. Le abitazioni sottostanti quasi non si vedono, di alcune affiorano solo le cupole, coperchi che nascondono gioie e dolori. I vecchi muri narrano la sofferta vita dell’uomo, vedono le sue lacrime e la sua gioia. Partecipano pienamente alla vita: vivono la sua nascita, la crescita e vedono la sua morte. In esse risuona il primo, fresco vagito del neonato ed il pianto disperato per il congiunto che è tornato tra le braccia del Signore.
La casa è viva: la madre alleva i figli e le figlie; a queste ultime insegna le dure faccende domestiche, l’arte della cucina e del ricamo. I maschi, diventati più grandicelli, saranno affidati all’esperienza dei padri e dei nonni.
A tutti i figli la madre offre il seno per quasi due anni e, se qualcuna non ne ha possibilità, volentieri lo offre anche ad altri piccoli coetanei, soccorrendoli, creando, così, una famiglia allargata con nuovi fratelli e/o sorelle.
Le case raccontano tutte le tappe della vita: la nascita, la crescita, la festa per la prima Comunione e la Cresima. Ma soprattutto raccontano il grande lieto evento della vita, quello che è all’apice della vita, quello in cui, da vivi, si è protagonisti in prima persona per l’ultima volta: il matrimonio.
Il festino si svolge nella casa della sposa. Si fanno i preparativi, si addobba la casa, si preparano i piatti e si chiama la  Musica che allieti  gli invitati fin dal mattino, dopo la cerimonia religiosa. Le pareti, ridipinte di fresco con la calce, sono impregnate, altresì, da profumi vari provenienti dalla cucina.
La Musica arriva in massa: tutti gli  orchestrali occupano, insieme ai loro strumenti, la piccola sala; a mala pena riescono ad entrare gli sposi ed i parenti più stretti. Dopo un breve discussione alcuni della band dei ‘Duri’ devono cedere e rientrare, con disappunto, al Porto, lasciando soltanto Mario al sax, Aniello alla fisarmonica e Carlo alla batteria ad allietare la festa. Immediatamente i tre si insediano nel posto che a loro piace di più: nei pressi della cucina.
“I Duri” in cui ci sono le tre persone citate: Aniello, Mario e Carlo. Stanno facendo una serata da “Barbett’ dove, tra l’altro, fecero una parodia della filastrocca “le figlie di madama Dorè” al ritmo di aligalli (hully-gully)

Si pranza allegramente e si alzano i calici. Ogni tanto la  Musica fa sentire note allegre, soffocando l’allegro vocìo. Alla fine gli sposi passano tra gli invitati distribuendo i confetti con il cucchiaio. Intanto ognuno si è fatta la mappatella con gli avanzi perché nulla va sprecato. Terminato il pranzo, si spostano i tavoli e si pongono le sedie intorno alla sala perché bisogna dare il via alle danze.
E’ l’ora della Musica. Si inizia con il ballo degli sposi e poi tutti in pista. Zio Antonino fa valere le sue doti di ballerino destreggiandosi e barcamenandosi con il valzer tra tutte le altre coppie, Veruccio non si nasconde nel licenzioso tango, anzi …, la polka tiene allegria e la mazurka batte il suo tempo.

Questi balli antiquati non piacciono molto ai giovani che amano, invece, sfrenarsi in quelli più moderni: il samba, il cha cha cha e la rumba. Arriva il tanto atteso ballo di gruppo: la quadriglia. Immediatamente zi’ Tore viene nominato, con sua grande soddisfazione, mast’ ’i sala; lui, con sussiego, con la camicia senza la cravatta oramai abbandonata su qualche sedia, indossando ancora la giacca, con il cappello in testa, prende posizione al centro della sala, zittisce la musica e ordina il silenzio. Tutti pendono dalle sue labbra: deve impartire gli ordini ai ballerini. Oltre a conoscere gli schemi è anche poliglotta: oltre alla parlata locale conosce, infatti, anche il  francese, e lo utilizza per impartire gli ordini: Au contraire oppure  changer la femme.
Ma per i più deve parlare in fornese che è un dialetto leggermente diverso da quello di Ponza Porto; alle Forna, infatti, forse per distinguersi ulteriormente da quelli del Porto, amano esprimersi in altro dialetto. Amano inserire, tra l’altro, anche la “gliù” ed anche l’accento è diverso.

Ad un suo cenno la Musica intona un allegro motivetto che ripete tantissime volte e sempre più velocemente Si gira a cerchio prima in un verso, poi, al comando au contraire, si deve girare nell’altro verso. Poi si formano le coppie e si balla allegramente; ma ecco che quel malandrino del mast’ ’i sala, impartisce, a sorpresa, l’altro comando Changez la femme! A questo punto bisogna, velocemente, cambiare la dama altrimenti si rischia di rimanere fuori dal giro. Ciccillo non conosce queste regole: così, dopo avere a malincuore lasciato la giovane dama, vedendo avvicinarsi una abbastanza più attempata, rivolge altrove le sue attenzioni; ma questa esitazione gli risulta fatale: Austeniéll’ prestamente si intrufola e gliela ruba. Al poveretto, rimasto solo, non resta che rifugiarsi mesto vicino ad un tavolo, consolarsi con i taralli ‘nzogna e pepe e tracannare un buon bicchiere di vino, in attesa del nuovo ballo.
Intanto i superstiti del ballo si sfrenano al ritmo sempre più veloce e incalzante; qualcuno che non ama stare fuori dal giro si presenta con una scopa e la porge al primo che capita o a colui che gli ha rapito la dama, così quest’umile strumento di lavoro diventa per una volta il principe della sala o, per meglio dire, lo spauracchio dei cavalieri. 
Le note escono in frotte e corrono sempre più veloci, alla fine il tutto termina con un gran parapiglia e una gran battuta di mani.  Stanchi, esausti, si ritorna ai balli  lenti ed ognuno, finalmente, può abbracciare l’amato o l’amata oppure sedersi un poco per riposare e commentare.

La serata termina con il serpentone finale al ritmo di samba. Gli invitati si attardano; si è fatto tardi e lo sposo è impaziente, tutta quella gente comincia a dargli fastidio. Compare Dumminic’ vedendolo un po’ rabbuiato, pensando forse di risollevare il suo animo, gli suggerisce: “Ohi Pe’… fa na bella cacciata!” Lui, cogliendo a volo l’occasione, subito di rimando: “Iatevenn’ tutt’ quant’ a via fore!”.

Una sonora risata accoglie queste parole e subito subito, nel buio più fitto, tutti, soddisfatti, contenti e con il ricordino, ritornano alle loro dimore, sia perché il giorno dopo devono affrontare la dura vita dei campi o della pesca, sia perché anche alle Forna  manca l’energia elettrica.

[Viaggio alle Forna (3) – Continua]

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