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‘A vennégne (La vendemmia) 4^ puntata

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di Pasquale Scarpati

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 In questo baule sono riposti alla rinfusa molti attrezzi: pinze e tenaglie di diverse dimensioni, martelli, seghe, raspe ed altro. Mamma dice che sono di ottima fattura perché provenienti dagli U.S.A.: dall”America”. Li aveva portati nonno ogni qual volta ritornava da quel Paese. Nonno, infatti, sul finire del XIX secolo e agli inizi del ‘900, fino allo scoppio della “ Grande guerra” era andato e ritornato più e più volte da quella “giovane” terra. Ogni qual volta ritornava, portava le “ rimesse” ma prima di ripartire dava a mia nonna un “ nuovo impegno o fardello” . Così non era raro vedere che, in ogni famiglia, tra il primogenito e l’ultimo nato, intercorressero una ventina d’anni!.  Anche lui, come tantissimi italiani e ponzesi, era andato in “ cerca di fortuna” ed aveva dato, con le sue rimesse, il suo contributo a migliorare ed a rafforzare, nell’età cosiddetta giolittiana, la fragile economia del nostro Paese da poco quasi unificato del tutto. Anche attraverso le rimesse degli emigranti l’economia si rafforzò e di conseguenza l’Italia ebbe un peso maggiore nel consesso internazionale. Con i proventi, infatti, ed anche con i sacrifici di nonna che, tra l’altro, si prendeva cura anche di altri terreni lasciati in sua custodia da persone che erano emigrate, aveva fatto costruire la casa dove dimoravano. Aveva, pertanto, dato lavoro alle imprese edili, incentivando l’economia locale. In “ America” nonno era andato a lavorare, come tanti,  a “ pal e pich’”. Vita dura, durissima quella degli emigranti. Il Rio della Plata racconta tante storie di ponzesi e non, ma il vento della Pampa o quello gelido della Patagonia le ha disperse. Anche mio padre, mi raccontava, sarebbe dovuto andare, prima di conoscere mia madre, a Montevideo dove dimoravano non so quali suoi parenti, poi ci rinunciò a seguito della malattia di nonno Carlino.

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Gli sguardi freddi, come il ferro con cui sono stati costruiti, dell’antico ponte di Brooklyn e del più recente Tappan Zee Bridge hanno visto e non possono non sussurrare tante storie…. Essi grondano di lacrime e sangue che le fredde acque dell’Hudson hanno raccolto e trasportate verso la corrente fredda del Labrador, che lambisce le coste nord orientali dell’America settentrionale.  Moltissimi partirono in cerca di fortuna. Alcuni, con enormi sacrifici, l’hanno trovata e qualcuno è anche tornato nel paese natìo. Altri sono rimasti nella “giovane terra” e hanno trovato “ pace” in quelle terre lontane; altri ancora, purtroppo, non hanno dato più notizie di sé e si sono persi nel nulla. Qualcuno  negli anni ’50 era tornato. Si diceva tra invidia e ammirazione “ Tiene la pensione americana!”.  Onore a questi eroi che, con i loro sacrifici, hanno tanto contribuito  al benessere  sia dell’Isola sia del nostro Paese!

La casa era stata costruita, piano piano, agli inizi del ‘900,  unita a quella del fratello di nonno, zio “ Summuniello” ( Simone), sposato con zia Civitella, genitori di zio Costantino e quindi nonni di Giuseppe e Giovanna. I miei nonni, tra l’altro, non vollero privarsi di una grande comodità: il gabinetto. E’ un corpo distaccato dalla casa: una costruzione a forma di parallelepipedo posta alla estremità occidentale della “ curteglia. Una porta di legno ed un chiavistello anch’esso di legno chiudono l’entrata, all’interno questa viene fermata da un gancetto di ferro che si va ad inserire in un occhiello. Entrando, in alto sulla sinistra, una finestrella senza né vetro né sportello. Il sedile è in muratura con un foro al centro che si mette direttamente in comunicazione con una grotta sottostante sempre piena di paglia ( si formava così il letame). Questa, all’epoca della costruzione, era una grande  ” comodità!”, altrove o non vi era niente oppure vi era il “ zi’ peppe” dietro “nu’ pannett’” e non mancava, forse, “ u’ rinale” sotto il letto!.
Sul tavolo degli adulti non può non mancare un bel bottiglione di vino per lo più rosso su cui ampiamente si discute. Le donne preferirebbero un vino più dolce ed abboccato, gli uomini quello più asciutto e “ corposo”. Zio Costantino, invece, lo preferisce piuttosto acidulo e pertanto porta una bottiglia della sua produzione asserendo che quello sia il “ vero” vino.
Terminato il lauto pranzo, ognuno si accinge a far ritorno alle proprie case dopo un po’ di giorni di vacanza!. Mamma mi fa indossare gli abiti con cui sono uscito di casa, perché  “Amma’ i’ abbasc’ u’ puort’”.
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Mentre mi vesto do una rapida occhiata alla bacheca che è appesa al muro sul lato sinistro della finestra della stanza. In essa ci sono tutte le foto della famiglia: figli, generi, nuore e nipoti. Conosco tutti ad eccezione di due zii che non ho mai visto: zio Peppino e zia “’Ngiulina”.  Essi partirono per gli U.S.A. agli inizi degli anni ’20. Il primo partì clandestinamente per evitare la leva. Partì il giorno prima dell’arrivo dei carabinieri ed anche in tarda età non volle più tornare nel paese natìo temendo le “ire” della giustizia italiana. La seconda, invece, partì, sposata per procura con un cugino o conoscente che già dimorava in “ America”. Anche lei non volle più tornare perché era ostinatamente convinta che l’Isola fosse rimasta “ scomoda” come quando era partita. A nulla valsero i numerosi inviti delle altre sorelle. Poi anche gli altri figli maschi, zio Gennarino e zio Vittorio, decisero di lasciare la terra d’origine. Sull’Isola rimasero sole le tre sorelle e l’ultimo nato, zio Aniello. Di esse una si trasferì sulla terraferma, le altre due riposano in pace là dove nacquero.
Mentre mamma si prepara, io faccio un’ultima breve corsa, insieme a Cardogna, intorno alla casa, sotto il gelso e vicino al limone protetto dal vento da una “ cannucciata”. Poi, dopo essere stato, come al solito, richiamato più di una volta., salgo le scale, immergo il viso e la bocca nel piccolo secchio che gronda dell’acqua del pozzo che attende di sentire la mia voce per poi, gentilmente, rispondermi, saluto nonna che suole dirmi “ A Dio” e vado via con mamma; io porto “ nu’ canestiell’ d’uva”, lei una borsa piena di “ menest’ di terr’”. La “ curteglia” riprende il solito ritmo. Qualche volta, nel silenzio della sera, quando anche gli animali sono andati a dormire, e dai tetti si espande il bubolare del “ bafar’ ( gufo), sedendo sul muricciolo, ho alzato gli occhi ed ho visto un cielo nero costellato da mille luci, più grandi e più piccole ed una falce là, verso oriente, accompagnata da due punti più luminosi degli altri; un po’ frastornato ed impaurito ho abbassato gli occhi e mi sono rasserenato  dal bianco nitore del suo pavimento e delle sue pareti.
Ma io sono un “ isolano girandolone”  o per meglio dire un “girandolone dell’Isola”…….
Fine