Dibattito

Tra libertà e responsabilità

di Valentina Usai

Anch’io sono rimasta colpita dal film di Taylor “L’isola di Moreau” e ho pensato di sviluppare le seguenti riflessioni.

“Cogito ergo sum”. Penso, dunque sono. Non è un ragionamento, né un sillogismo ridotto. E’ una realtà di per sé evidente.

L’essere umano, dagli albori dei tempi, ha sempre ricoperto con il velo del dubbio tutto ciò che lo ha circondato, tutto ciò con cui è entrato in contatto. Dubitando, dunque, l’uomo pensa. Per questo egli esiste come soggetto pensante, spirito, intelletto o ragione. E la certezza della sua esistenza concerne tutte le determinazioni del suo pensiero; il capire, il concepire, il negare, il volere, l’immaginare, il creare.

Da questo principio, l’uomo ha tratto la garanzia della validità della conoscenza umana e dell’efficacia dell’azione umana sul mondo.

Martin Heidegger, grande filosofo esistenzialista, definiva l’uomo un “progetto gettato” nel mondo, un essere che non è fondamento del suo fondamento, principio che fa di lui un essere imperfetto. Ed è forse per sopperire a questa sua condizione di deficienza che l’uomo cerca costantemente di protendere il suo genio fino al raggiungimento dello scettro della perfezione; perfezione che, nell’immaginario meta-temporale comune, è detenuta solo da Dio.

Con lo scorrere dei secoli dunque è andata affermandosi, e sempre più consolidandosi, la “logica del dominio umano”, che ha perseguito l’ideale di una razionalizzazione dell’intero universo, dell’intera materia vivente, tesa a rendere plasmabile e soggiogabile la totalità dell’esistente. La scienza, ammantata di sacre vesti, è stata osannata a guisa di divinità, considerata la chiave di accesso alle porte del mondo, ai suoi segreti, ai suoi misteri, ai suoi enigmi, alle sue incontrollabili leggi, e l’uomo, padre e schiavo di quest’industria cognitiva, ha inquadrato l’universo in un tipo di logica meccanicistica e prettamente pragmatistica che ha marcato inesorabilmente il volto della modernità.

La volontà di potenza dell’uomo infatti, ponendo al suo servizio questa gigantesca macchina, e pretendendo con arroganza di razionalizzare l’irrazionale, di unificare il diverso, di armonizzare il disarmonico, mediante operazioni chiaramente mistificatrici, ad oggi, sta minacciando la sopravvivenza stessa del globo.

L’uomo contemporaneo si è trasformato in un Prometeo scatenato che ha raggiunto capacità operative sconvolgenti.

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Il film di Taylor “L’isola del Dottor Moreau”, tratto dall’omonimo romanzo di Wells, tratteggia magistralmente i caratteri di questa triste ma purtroppo concreta realtà.

Moreau rappresenta l’emblema tangibile del “superuomo” che, armato di ingegno e comandato dalla potenza della sua “ʋβρίς” (tracotanza), dalla sua arrogante “curiositas”, sfida Madre Natura immolandola sull’altare della sudditanza, in nome della “ratio umana”.

Con la pretesa di controllare la fervente vita che pullula nella natura selvaggia di un’isola dimenticata da Dio, lo scienziato ha macchinato un inquietante gioco di metamorfosi cellulare che inverte e trasfigura completamente l’”elan vital” (l’innato slancio vitale), della natura.

“Il mio scopo è raggiungere il controllo della genetica”. Con queste parole Moreau ha suggellato il maestoso disegno dell’uomo, mascherandone la perversione dietro un dichiarato “buon intento”, quello di trasformare gli animali in uomini ed emanciparli dalla loro condizione di minorità.

Dopo questa sconcertante dichiarazione, lo sgomento ospite Prendick inizia ad avvertire una sensibile empatia nei confronti degli animali, schiavi inconsapevoli del loro carnefice, ed asserisce con raccapriccio che questi potrebbero avere dei sentimenti, e che quindi potrebbero provare sofferenza per le torture che sono costretti a subire; e subito, con arrogante ma fermo tono di voce, il manipolatore genetico risponde con queste pungenti ma crude parole: “Sentimenti? Da un pezzo il cuore umano non è più considerato sede delle emozioni, è solo un organo che pompa sangue ed è necessario alla vita, e fu scoperto penetrando nel tempio del corpo umano e strappandolo via!” .

E’ sulla base di convinzioni simili che oggi l’uomo si sta slanciando oltre i limiti del possibile. Effettivamente, definirei  il genio umano come l’ingranaggio di un pendolo che oscilla pericolosamente tra la libertà e la responsabilità.
Il filosofo Hans Jonas, avendo riconosciuto il prezzo che la natura sta pagando per la sua condizione di sudditanza rispetto all’uomo, elaborò il “Principio responsabilità” che recita così : “Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”.

Ma oggi la scienza sta premendo troppo sul desiderio di libertà , offuscando totalmente i principi di responsabilità; ecco che ogni etica tradizionale non riesce a contrastare la sua arroganza, e dunque questa, da etica diventa pat-etica, celebrando grandiosamente la sua impotenza.

La Chiesa Cattolica si è invece dimostrata sempre attenta alla delicata questione dei limiti della scienza, e Papa Benedetto XVI non ha mancato di cogliere una delicatissima complementarietà tra scienza e fede.

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Concluderei riportando un estratto da “Pensieri, 172” di Blaise Pascal: “L’uomo è manifestamente nato a pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio; e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente. Ora l’ordine del pensiero esige che si cominci da sé”.

L’essenza dell’uomo, secondo Pascal, è contemplata in un’ambigua compresenza tra miseria e grandezza, il che fa di lui un mostro incomprensibile, un paradosso di fronte a se stesso. Sartre lo definirebbe un “Dio mancato”.

Io credo che l’uomo debba avere piena coscienza della sua miseria, imparare ad accettare lucidamente la propria condizione e ad amare e rispettare la Natura, in quanto frutto del suo grembo.

Vorrei ringraziare sentitamente Silverio Tomeo per aver offerto ai lettori di Ponza Racconta una preziosa opportunità di proficuo e profondo dibattito entro il quale ho sentito di volermi inserire.

Vorrei inoltre complimentarmi con Gennaro Di Fazio che, con il suo articolo del 22 settembre scorso, “La complessità della vita”, ci ha fatti entrare più direttamente in contatto con la materia che stiamo trattando, di cui lui è maestro.

Valentina Usai

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