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Quanto lavoro per fare un Faro…

di Polina Ambrosino

 

Di Polina, che sappiamo pochi giorni fa è andata a visitare il Faro, pubblichiamo questo articolo estrapolandolo dalla sua sede precedente in “Commenti” 

La Redazione

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E’ davvero un luogo incantato. Se solo si pensasse cosa ha significato per Ponza avere un faro di simile portata – importantissimo strategicamente da sempre – forse anche coloro che sembrano snobbare questa campagna per la sua salvaguardia, comincerebbero a vederlo come un bene inestimabile.

Per costruire quell’abitazione in cima al faraglione, posso solo lontanamente immaginare la fatica e l’impegno delle persone coinvolte. E spianare la roccia per farne un sentiero, all’epoca dotato di parapetto in pietra locale, tenuto in ordine e pulito dai fanalisti e dalle loro famiglie, scavare con pala e piccone il passaggio attraverso la roccia del faraglione per poter arrivare fin sopra, dove su un ampio piazzale, si affaccia il palazzotto con gli appartamenti dei fanalisti, l’alloggio per gli ospiti illustri (alte personalità della Marina Militare che spesso giungevano per visitare il Faro e per controllarne la manutenzione e il funzionamento), il forno per il pane, il deposito per l’acqua piovana. Fatiche inimmaginabili oggi: tutto caricato in spalla e scavato, e livellato, e perfezionato dall’uomo.

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Tutto trasuda impegno, cura ed eccellenza. Un mondo autonomo come un tempo i castelli medioevali, il faro, lontano dalle abitazioni, dalla gente, dalla vita sociale, dai servizi, doveva bastare a se stesso. Con la sola compagnia delle onde del mare, dei gabbiani, delle berte, delle cicale e dei grilli, da dove osservare da vicino il mare e il cielo cambiare colore… Oggi il personale ci va ogni 15 giorni. Il sentiero è privo di parapetto, il lastricato inesistente, i cespugli invadono lo spazio percorribile.

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Nel tratto finale, quello sul faraglione, erbacce, alcuni rifiuti, penne e piume di gabbiani, invadono la stradina. Le scale, qui e là in rovina, conducono allo spiazzo soprastante dove la pavimentazione è in più punti saltata, e il palazzo del Faro, muto, è come morto. Mummificato. Devastato da gente senza scrupoli, senza onore e senza dignità che lo ha depredato di tutto. Come il cadavere di un faraone veniva privato degli organi vitali per poter resistere al tempo, il faro è stato derubato perchè invece nulla rimanesse a testimoniare la sua grandezza: arredi, oggetti di cucina, servizi di posateria e di piatti, lampadari, quadri, mobilio. Tutto portato via. Sono state murate le finestre al piano terra affinché non si potesse entrare. Come i barbari che arrivati a Roma, ne fecero il sacco, cosi i predoni del faro ne hanno fatto scempio.

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Ma la struttura è ancora solida, l’essenza è viva. Ora è tempo di rinascita. E nonostante lo scetticismo di molti, la mancanza di fiducia nell’attività della raccolta firme perchè il faro entri nei beni del FAI, c’è chi con caparbia fede, con amore per un luogo ponzese emblema del lavoro dell’uomo e del suo spirito di servizio al mondo marinaro, non vuole che questo luogo perisca definitivamente o venga reso residenza privata e irraggiungibile. Abbiamo tempo fino a ottobre: che sia un tempo di fatti e di impegni, un tempo in cui fare la differenza.

 

Polina Ambrosino