Ambiente e Natura

Risposta a Lino sulle mie “pazziell’ ‘i criature”

di Martina Carannante

 

Lino, hai ragione, non molti ragazzi scrivono qui, magari qualcuno legge sporadicamente, ma non è una priorità per tutti scrivere e narrare. Io… non ti deluderò!

Ho letto tutte le storie d’ì pazziell ‘i criatur di Paquale (Scarpati – Ndr) e tue, Lino. Belle, forse abbastanza lontane dai miei giochi …o forse no.

Sicuramente prima la povertà aiutava l’inventiva; oggi il benessere l’ha quasi sotterrata.

Se facessimo “alla facebook” qual’è il gioco più usato della vostra infanzia? Sono sicura che la Wii o il Nintendo DSI avrebbero la meglio rispetto alla campana, la trottola o le vostre carrette fatte a mano.

Non potrò mai dimenticare la faccia sconvolta  di mia mamma, quando di ritorno da scuola, mi disse che su una classe di 18 bambini solo in 3 bambine giocavano con le bambole e neanche un maschietto usava le macchinine. Oggi anche i giochi più semplici come le Barbie, le macchinine e le famose pentoline sono andate in pensione, anzi sono state proprio sfrattate dall’ X box360 e della Play Station!

Lino, volevi sapere i miei giochi da piccola? Come tutti i bimbi dipendeva dal periodo. In casa, durante i lunghi pomeriggi estivi, mentre mamma si impegnava a farmi addormentare nel lettone grande, io saltavo da una parte all’altra – usavo mamma come barriera per il salto in alto – praticavo il “taps”. Di questa specie di sport da letto, inventato da me, ero immensamente fiera. Un giorno, mentre saltavo cercando di arrivare al lampadario e mamma invano mi invitava a sdraiarmi e a dormire, sono ricaduta un po’ più forte e si sono separati i materassi. In realtà il letto di nonna era un letto particolare, aveva la rete matrimoniale e due materassi singoli; sebbene ci fosse stato il copri-materasso, io, a forza di saltare, l’avevo tolto. Così i due materassi si erano separati. Mamma e nonna appena videro il mio “danno” mi dissero che avevo rotto il letto. Rammaricata mi misi a dormire e da quel giorno il taps andò in pensione.

Il pomeriggio, allora, giocavo con le mollette e con esse facevo il trenino oppure con la mia nonna, donna d’immensa pazienza; andavamo in cucina, mi metteva il grembiule e lì pasticciavo. Nel periodo delle scuole elementari, invece, con i miei amichetti ogni giorno era un’avventura! Dalla prima elementare alla terza (negli intervalli del dopo mensa) andavamo nei giardinetti della scuola e lì con banchi vecchi, sedie e canne allestivamo il nostro bar-tavola calda. Intrecciando le canne secche, facevamo involtini mentre con la  terra e acqua impastavamo le torte. A fine ricreazione, la maestra di  turno, ci veniva a chiamare e le chiedevamo di “assaggiare e degustare” le nostre prelibatezze. Il pomeriggio, invece, si usciva in bicicletta. I luoghi di giochi erano o la spiaggia di Santa Maria, sulle barche – facevamo il bagno pure a marzo, contro i divieti assoluti dei nostri genitori e relativa, immediata febbre – oppure sopra i Conti. Lì giocavamo a fare i detective, i misteri erano peggiori di quelli del Cluedo (gioco da tavolo con un’ambientazione che riproduce l’atmosfera dei gialli – NdR)!

Un giorno di autunno eravamo tanto presi dalla vita contadina di Sopra i Conti che io e i miei amici decidemmo di raccogliere le ghiande. Ne facemmo un secchio pieno che volevamo vendere a dei contadini che avevano anche i maiali, ma purtroppo la mamma di un mio amichetto vide quel secchio di ghiande e lo buttò. Così finì anche la carriera di  piccoli commercianti.

Questi sono solo alcuni giochi e aneddoti di quando ero più piccola. Ho sempre giocato tantissimo, anche se avevo moltissime video cassette di cartoni animati, ma non mi piacevano, e la tv non la guardavo mai. Non ho mai chiesto ai miei di regalarmi la play station, non ci giocavo neanche quando veniva mia cugino da Bologna e mi invitava  a combattere a colpi di joystik. Preferivo un pallone, rotondo, pesante e arancione e un canestro attaccato al muro… e lì la sfida iniziava sul serio!

Martina Carannante

2 Comments

2 Comments

  1. Lino Pagano

    9 Luglio 2012 at 20:11

    Carissima Martina
    Ho! Non puoi credere quanto sono contento che qualcuno ci sia, e che se si chiama bussa forte. Questi sono i giovani che amo, è vero che i tempi cambiano, ma la fantasia non si può uccidere; noi di fantasia ne avevamo tanta, non avevamo Tv, videogiochi e tante altre cose, ma la fantasia sì, e sono felice che a qualcuno la fantasia non manca…
    Mi auguro tanto che quelli come te siano tanti e vorrei dico vorrei – che altri mi rispondessero, come hai fatto tu.
    Grazie di cuore e buona vita a te.

  2. Pasquale

    10 Luglio 2012 at 19:09

    Cara Martina
    Leggo volentieri ciò che scrivi. Certamente la penuria dei tempi aguzzava l’ingegno o, come si suol/soleva dire “la fame fa uscire il lupo dal bosco”. Oggi ci sono tanti giochi anzi troppi (parlo di quelli per l’infanzia), alcuni utili, altri, secondo me, prettamente inutili. Il bambino, poi, sceglie anche quello meno appariscente e meno costoso (forse con disappunto dei genitori o di coloro che hanno speso i soldi). Ti dirò: ho un nipotino che ha una marea di giocattoli più o meno costosi, mille voci, mille suoni e voci, mille luci che si accendono e si spengono. Ebbene a che cosa è affezionato? Ad un mio cilindretto grigio dal tappo nero: un portapillole. Come lo vede, immediatamente tende la manina, lo afferra e lo agita per sentire il suono prodotto dalle pillole nel suo interno. Forse lo gradisce perché è una cosa che riesce lui a far funzionare. Forse non gradisce quei giochi già “ben confezionati”.
    Varie sono le cause per cui oggi non si fanno più quei giochi. Innanzitutto, grazie a Dio, la disponibilità di denaro per cui si possono comprare alcuni giocattoli, poi lo spazio. A Ponza, come altrove, le piazze e le strade erano libere e quindi liberamente si poteva scorazzare. Giocavamo, come dire, allo “stato brado”. Esistevano le”regole” generali ma poi eravamo noi che o le accettavamo oppure le modificavamo. Oggi le regole, come in molte manifestazioni, sono imposte da alcuni ed altri sono costretti a subirle passivamente o peggio ancora acriticamente. Era il tempo in cui c’era “il fai da te”: come gli adulti “si arrangiavano” così noi bambini eravamo costretti a fare lo stesso. I genitori, poi, presi dal loro lavoro, soprattutto manuale, si limitavano ad intervenire, come dire, “a posteriori”: se si ritornava a casa malconci, si aveva “il resto”. Quindi eravamo noi gli unici responsabili di noi stessi. Oggi i genitori o altri offrono al bimbo una scelta: “Vuoi che ti compro questo o quello?”.
    Allora, quando un bambino piangeva perché desiderava una semplice leccornia, al genitore non restava altro che strattonarlo e, se lui faceva resistenza, la mamma poteva arrivare “a vie di fatto”. Ciò, forse, era dettato più dalla rabbia di non poter soddisfare il desiderio del figlio che dal rancore.
    Oggi i ragazzi avendo tutto o quasi a portata di mano o per meglio dire tutto “facilitato” non sono più abituati al “sacrificio” fisico e mentale. Ti racconto due episodi che mi capitarono non molti anni fa. In classe solevo raccontare, all’occorrenza, anche alcune delle “pazzielle”, ottenendo la massima attenzione sia perché per i ragazzi era una novità sia perché essi sono molto più attenti quando capiscono che l’insegnante narra qualcosa di vissuto. Parlavo, dunque, degli “strummoli” e delle figurine dei calciatori. Dopo un po’ di giorni, durante l’intervallo, un ragazzino, un po’ titubante, tirò fuori dallo zainetto uno “strummolo” ed una cordicella, me lo porse con aria trionfante. Gli dissi: “Adesso fallo girare”. Mi guardò esterrefatto. Io lo presi e lo feci roteare, una volta lanciandolo con la punta verso l’alto ed un’altra volta al contrario, pregando il Buon Dio di non farmi fare brutta figura. Il gioco riuscì nonostante il pavimento sconnesso dell’aula. Tutti rimasero meravigliati ed alcuni vollero tentare, ma l’intervallo finì presto.
    Pochi anni fa (non so se ancora oggi), come ai miei tempi, erano “di moda” le figurine dei giocatori. I ragazzi, di nascosto, in classe cercavano di giocare. Durante le lezioni, ovviamente, non lo permettevo, qualche volta durante gli intervalli. Come giocavano? Mettevano le figurine sul banco e ora l’uno ora l’altro, a turno, le facevano cadere per terra: si vincevano quelle che si ribaltavano (cioè la vincita era dovuta più al caso che all’abilità). Sono intervenuto io ed ho detto: “Che fate? Ora vi faccio vedere come giocavamo noi” Ci siamo messi sul pavimento, ho preso alcune figurine, le ho piegate (a barchetta) ed ho dato, al lato, un colpo secco con la mano senza toccarle. Alcune si sono capovolte. Immediatamente i ragazzi, entusiasti, hanno voluto provare, ma dopo due o tre tentativi hanno detto: “Professo’, fanno male le mani!”. Hanno desistito ed hanno ripreso a giocare come prima. La differenza è tutta qui: certamente non manca l’inventiva e la scelta del gioco, ma i tempi rendono gli uomini “molli” e fragili. Che ne pensi?
    Un’altra cosa a proposito di quelli che leggono o che scrivono. Il sito è avvincente e so che tantissimi leggono; ma nello stesso tempo sarebbe auspicabile che intervenissero quante più persone possibili (oltre a quelle che “di norma” scrivono) per ampliare, approfondire, per raccontare la propria esperienza e, perché no, aneddoti di qualsiasi genere (eh sì che ce ne sono!). Sono sempre ottimista: spero sempre che molte persone, che ora si limitano a leggere, “spinte” da quelli che scrivono, tirino fuori, senza remore, la propria esperienza in modo tale che, come dice il sito, “la memoria non si cancelli”. Forse chiedo troppo alla naturale ritrosia isolana! Tu che stai sul luogo, vai alla ricerca delle origini! Ti saluto caramente – Pasquale

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