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’I pazzièll’ ’i criature

di Lino Catello Pagano

 

Come raccontare i giochi di quando eravamo bambini ? E chissà se i bambini di oggi potranno raccontare i loro, di giochi?

Ho l’impressione che i genitori oggi facciano in modo che i bambini restino in casa e non diano problemi, e allora cosa c’è di meglio di un videogioco interattivo?

A noi invece ci provavano pure a tenerci dentro casa, ma proprio non c’era verso!

“Noi” eravamo quelli d’u strummule, d’a campana – che però era più un gioco per bambine! -, d’a ’uerra d’i cuppetiell’ (leggi qui [1]), e di tanti altri giochi che inventavamo al momento, per passare le lunghe giornate invernali. Se potesse parlare, quella spiaggia di S. Antonio ne avrebbe di storie da raccontare! Noi di certo non ci annoiavamo!

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Bastava un fazzoletto per iniziare a giocare a tocca e piglia, oppure alla ’uerra francese; e poi, vuoi mettere le carrette fatte da noi, con i cuscinetti a sfera e le cassette delle patate modificate e rafforzate? Quando era tutto pronto, aveva inizio la prova ufficiale di collaudo: da sopra la Torre dei Borboni giù fino alla Musella e ancora giù, fino a piazza Carlo Pisacane; quante volte siamo ritornati a casa tutti ammaccati e con qualche bernoccolo, a cui seguiva la ramanzina dei genitori e a volte volavano anche le mani: come si suol dire, cornuto e mazziato.

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Appena fu ultimata la via Panoramica, con l’asfalto nuovo e il brecciolino incatramato, “Noi”, cioè tutta la cricca di Chiaia di Luna e non solo, cominciammo a gareggiare dalla discesa che viene da sopra i Guarini e porta sul piazzale di Chiaia di Luna: ci lanciavamo giù a tutta velocità, incoscienti di quello che ci poteva capitare. Ringraziamo ancora il nostro santo Protettore che mai nessuno si è fatto male seriamente. …Sì, qualche sbucciatura di ginocchio, qualche tallone bruciato dall’asfalto nel frenare, ma niente di più grave…

Eravamo un branco di ragazzini scatenati, ma liberi di vivere serenamente, senza grilli per la testa, solo fratellanza e rispetto: se uno di noi si ammalava o subiva un piccolo incidente “sul lavoro”, non si giocava fino alla sua guarigione…

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Ricordo la prima volta che venne la neve  a Ponza, ne fece in abbondanza; noi, neppur sapevamo cos’erano gli sci, però tagliavamo le foglie più grandi d’i zamperevìte (semprevivi, agavi), le legavamo ai piedi con lo spago, e alla prima discesa ci buttavamo restando in piedi pochi secondi… Riuscivamo appena a gridare: Comme stongh’ ienn’? – che già eravamo distesi a faccia in giù nella neve.

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E che dire d’i chirchie ‘i bbiciclette? Quante corse e quante strillate! Nelle corse per le strade, per schivare qualcuno prendevamo quello vicino, e ti sentivi urlare: A vulimme ferni’ cu’ ’sti chirchie? – perché, sì ci divertivamo, ma facevano anche tanto rumore e caciara, e alla gente dava fastidio.

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Il divertimento d’estate era quello delle carrette di legno;  quante secchiate d’acqua abbiamo preso per il casino che facevamo per le strade! I turisti erano pochi, diciamo pure niente!  …e le vie erano tutte per noi: il nostro terreno di gioco. Nei pomeriggi assolati, mentre tutti riposavano per la controra, noi sferragliavamo con le carrette e… giù secchiate d’acqua  e urli di chi, risvegliato dal riposino, ci gridava: Ma ’na casa nunn’ ’a tenite? Jatevenn’ ’i ccase vost’ a fa’ ’sti cose!

 

Questa era Ponza di una volta, anni ’60 o giù di lì..!

I ragazzini di oggi che leggono Ponza racconta…  – dubito che siano tanti… ma quei pochi…  – mi piacerebbe che  raccontassero a loro volta come vivono l’isola,  quali sono stati e sono i loro giochi…

Mi farebbe proprio piacere leggere i loro racconti di ‘pazziell’ ’i criature” di ieri e di oggi.

 

Lino Catello Pagano

 

Nota della Redazione – Per ’I pazziell’ ’i criature di Pasquale Scarpati (1), (2), (3), leggi qui [8]