di Pasquale Scarpati
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Nonna, non appena entro, mi dice: – Uaglio’ vo’ fa marenna?
In un primo momento mi schermisco, poi lei aggiunge: Pìgliete coccosa dint’ ’u stipe. Questo è un armadio a muro chiuso da varie ante. Aprendole mi avvolge un profumo intenso di vari odori: menta, camomilla, su tutti domina quello intenso e particolare dell’origano ponzese. Sono riposti, in ordine, vari buccacci e l’immancabile macinino per il caffè, scuro e dagli ingranaggi rumorosi. Incurante del mio diniego, lei si alza e mette in tavola tutto quello che in quel momento la credenza offre: dalla quagliata al formaggio stagionato di pecora, salato e durissimo, agli uccelli messi sott’olio, ai fichi secchi, alle mustarde, le cicole se ci sono, ed altro. Solo un volta, già ultranovantenne, non si alzò dalla cassa e mi disse di servirmi da solo perché… ’A nonna s’è fatta vecchia!
Quando è tempo che i fichi d’india diventano gialli o rosseggiano sulle palette, mi chiede se li gradisco. Ovviamente dico di no, non perché non mi piacciono ma perché non ho voglia di sbucciarli temendo le spine. Allora lei, presto presto, oltrepassa le bianchissime lenzuola stese al sole e al vento nella curteglia, fermati da rustiche mollette (pezzi di canna spaccati in senso longitudinale), afferra una canna che ha all’estremità uno strano attrezzo: una buatt’ vuota con due diverse aperture, da un lato quella più grande, dall’altro quella più piccola e stacca, con rapido movimento, dalle palette una ventina di fichi d’india. Velocemente, senza adoperare alcuna forchetta, toglie, con un coltello affilato, l’involucro spinoso e me le serve in un piatto, raccomandandomi di mangiarli con il pane, altrimenti si potrebbero avere conseguenze…. intestinali. Io osservo tutto a debita distanza ma ugualmente, dopo, avverto spine dappertutto.
Mia madre che regge l’attrezzo per raccogliere i fichi d’India. Foto del 1965
Altre volte mi invita a gustare il pane fatto da lei oppure quello comprato. Allora io taglio ‘u culurcio di un palatone, scavo un fosso in mezzo alla mollica estraendo un conico tappo, poi inserisco un pomodoro condito soltanto con un po’ di sale e chiudo il tutto con il tappo. Alla fine di tutta quest’operazione, però, schiaccio il tutto avendo l’accortezza di non imbrattarmi. Così trascorre il tempo ed arriva mezzogiorno in punto, quando nonna mette tavola e mi invita a rimanere. Accetto ben volentieri e così ricomincio daccapo.
Nonna non è né alta né magra, ma è una donna attivissima fino a tarda età. Abita da sola insieme con zi’ Aniello, che da bambino ha avuto la poliomelite. Non solo se ne prende cura ma accudisce anche la casa e gli animali. Ogni anno passa la calce dappertutto, dice “per pulizia e per disinfettare”; la mattina presto esce di casa per andare a scippare l’erba e ritorna portando il sacco pieno sulle spalle oppure scende al porto, a piedi, per fare le spesa. Quando mi vede raffreddato dice: Nepo’ prenditi la camomilla; è uno dei due medicinali che assume, l’altro è il decotto. Mi hanno detto che in vita sua le hanno fatto solo un’antitetanica perché alle Prunelle, dove era andata a scippare l’erba per i conigli, era caduta, giungendo a casa con una ferita sull’arcata sopraciliare ma portando ugualmente sulle spalle il sacco con il frutto del suo lavoro.
Zi’ Aniello è quasi sempre allegro e gioviale, ama chiacchierare, ridere e commentare. Tutti lo ascoltano volentieri e lui, circondato dall’affetto, sembra pienamente soddisfatto della sua vita. La mattina presto porta al pascolo la pecora con l’inseparabile Cardogna. Non essendoci ancora le morbide scarpe da ginnastica, cammina a piedi scalzi su per le balze oppure indossa i zampitti. Ama raccontarmi le imprese del piccolo e vivacissimo cane. Molte volte gli chiedo di farmi vedere gli animali; così scendiamo per vedere la pecora, l’asino, le galline, i conigli che ci guardano indifferenti continuando a rosicchiare. Solo uno sembra più vivace degli altri, lo chiama Peppone. Andiamo anche a dare un’occhiata in cantina, pregna dell’odore di vino e di aceto, occupata in gran parte dai palemienti. Questi mi fanno pensare al momento più bello ed attraente dell’anno: la vendemmia…
Pasquale Scarpati
[Le passeggiate per terra. Al Porto e verso i Conti (5) – Continua]