- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Sotto il Monumento (3)

[1]

di Franco De Luca

 

Ci sono compaesani, amici, che sotto il Monumento consumano una stazione obbligata della loro passeggiata mattutina.

Uno di questi è Michele Rispoli, col quale mi intrattengo non fosse altro che per sollecitare le sue critiche pungenti. È uno spirito libero che non si autocensura.

Fra gli argomenti toccati, come si pizzica una chitarra, provando accordi e accenni di motivi e mai una canzone per intero, fra gli argomenti, dico, abbiamo parlato della politica.

Con dei limiti molto precisi. E sì perché c’è chi usa la parola  “politica”  come sinonimo di  “potere”. Perché ci si butta in politica ? Per avere  “potere”, ossia possibilità di conoscenza, di decidere su quanto tocca l’interesse privato e pubblico (indistintamente). Avere possibilità di sapere ciò che bolle in pentola, di conoscere i cointeressati alla cosa, di intravvedere le corsie per raggiungere lo scopo.

Politica come gestione del potere. È quanto si evidenzia ogni giorno dalla cronaca, nazionale o locale.

Fare politica si concretizza nel decidere su quanto l’organizzazione civile esige, chiede, desidera. E che le istituzioni pubbliche permettono, operano, organizzano.

Il politico non deve possedere alcuna  sensibilità particolare,  né competenza professionale particolare; ha come principio di discernimento soltanto il suo: la sua parte, la sua consorteria, il suo bacino elettorale, il suo interesse.

Nessuno gli ha chiesto criteri diversi, nessuno gli contesterà altri.

Se sbaglia è perché non ha accontentato la sua parte, la sua consorteria, il suo bacino elettorale, il suo interesse.

Il potere esaurisce ogni altra funzione. Gli esiti di tale potere sono secondari e…  in ogni caso possono essere mistificati, manipolati, scambiati.

Questa era la tesi “pragmatica”, quella che circola abbondantemente nelle opinioni correnti.

Ad essa era contrapposta quella che focalizza la funzione “politica” nel “bene comune”. Ovvero il fare politica significa mettersi dalla parte della “comunità”, spogliarsi (per quello che si può) della veste individuale e imporsi di guardare a quanto apporta migliorie al vivere comune; a quanto riesce ad armonizzare gli interessi individuali in un interesse comune.

Il potere non è fine a se stesso ma strumentale ad obiettivi sociali, culturali, economici, estetici.

Quale tesi è da scegliere?

L’età ha insegnato che ognuna delle due  isolatamente genera storture.

La pragmatica dà alla politica la veste “affaristica”;  la ideologica tramuta la politica in “settaria”.

Una commistione fra le due è quella che meglio si addice alla natura umana.

Questo finché si rimane sul piano teorico, delle argomentazioni, perché l’agire umano è frammisto di tante motivazioni psicologiche e fra di loro c’è quella che Michele, folgorante, getta nel dialogo: “pe fà politica ce vò tanta uallera!”.

Cosa sia di preciso questa, che non è proprio una categoria concettuale, lascio ai lettori discernere.

 

Francesco De Luca