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Ci siamo incontrati per parlare di ‘Visioni’ (4).

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di Lorenza Del Tosto

Per le puntate precedenti digita: Ci siamo incontrati per parlare di Visioni – sulla colonna di sin. del frontespizio, in basso, nel riquadro: CERCA NEL SITO

 

L’arrivo a Roma. 1

Lasciata Caserta e abbandonato il progetto del Cortile, hai trovato subito a Roma un’alternativa, una nuova forma di aggregazione?

– “No, all’inizio ho solo fatto incetta di film. Per chi, come me, veniva dalla provincia Roma era un’esperienza quasi insostenibile. Ne Il gabinetto del dottor Calligari di Robert Wiene c’è una scena dove l’unico edificio dritto è il manicomio. I matti sono i più sani.  Ed io, a Roma, mi sentivo un po’ così. Matto ma sano. Appena potevo, mi chiudevo in una sala di cinema. Mi sembrava di impazzire. Stordito da tanta offerta”.

Luigi ha un entusiasmo, uno sguardo su Roma che noi romani abbiamo dimenticato.

– “Sebbene all’inizio sentissi due forze contrarie: mi beavo dell’offerta enorme, e allo stesso tempo mi mancava quel bisogno, quella fame di chi vive in provincia. Avere tutto a portata di mano crea anche ansia e depressione.  Non c’erano schede, mi mancava il cinema Vittoria. Non mi orientavo. È stata Viviana, e Mario un suo collega, ad introdurmi nei luoghi di culto. I mitici cineclub romani: il Filmstudio a via degli Orti D’Alimbert, il Labirinto, l’Azzurro Méliès di Silvano Agosti dove all’epoca c’erano due sale, una per fumatori e una per chi non fumava. C’erano dei tavolini e potevi anche mangiare qualcosa. Scambiare due parole. Con il film muto in sala non c’era bisogno di silenzio. C’erano le carte, gli scacchi e una libreria. Io e Viviana vedevamo il film in sale diverse. Lei fumava ed io no e ci ritrovavamo alla fine a parlare di quello che avevamo visto. Ho scoperto il Grauco. E il suo gestore folle e geniale”.

Figure che di certo un segno hanno lasciato. Sul viso di Luigi riaffiora lo stupore pieno di ammirazione per le trovate escogitate da questi personaggi storici della Roma del tempo.

– “Per creare l’effetto gradinata aveva segato le gambe delle sedie nelle prime file. Appena entrati, scorreva una tenda piena di polvere, e non potevi più uscire. Ricordo una mano invisibile, forse quella del proprietario, che nei giorni di freddo faceva scivolare un termosifone in sala. Derzu Uzala l’ho scoperto al Grauco“.

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Erano le sale dei sogni nella Roma di allora, che ora vanno lentamente scomparendo. Posti frequentati da cinefili.

– “A Caserta i cinefili non c’erano. Si andava al cineclub perché non c’erano altri posti dove andare. Si può pensare che le vere passioni si vivono in solitudine. Chi ama i francobolli se li guarda da solo, allo stesso modo credevo che i cinefili guardassero i film chiusi nelle cantine. Passione uguale solitudine. In me invece c’era questa cosa distorta: se una cosa mi piace voglio condividerla con gli altri. Una passione, se la tengo per me diventa sterile”.

E un desiderio simile avrà animato anche Silvano Agosti e Annibale Mastroianni il gestore del cineforum di Caserta. Una condivisione dalla quale però chi la attiva si tiene sempre un po’ fuori. Come un osservatore esterno che analizzi il risultato di una reazione da lui stesso innescata.

– “Certo ed è giusto che sia così altrimenti snaturerei le cose. Mi tengo fuori, ma leggo tutto quello che i visionari dicono sul blog (leggi qui [3]). I commenti vengono dalla base, dalla gente. Mi ritrovo in quella scena di Hugo Cabret in cui il bambino rimane a guardare l’effetto provocato dalle immagini sul viso della bambina. È un’esperienza particolare, straordinaria quella di seguire un film vedendone il riflesso negli occhi di un altro.”

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E’ una visione diversa?

– “Io sono il primo ad essere spiazzato dalla reazione suscitata da un film visto insieme. Potrei fare tanti esempi… “La morte corre sul fiume” di Charles Laughton quasi rimasi deluso quando lo vidi da solo, ed invece la reazione a Visioni è stata fortissima. E i film di Troisi e anche quelli di Gassman scatenano un’ilarità che nella visione individuale non c’è più”.

Torniamo al tuo arrivo a Roma

– “C’era l’entusiasmo di vivere a Roma. Di vivere con Viviana. Avevamo una casa nostra. Una sera, agli amici riuniti, presentai un opuscolo arancione con l’immagine dei ragazzi di Zero in condotta e proposi “Incontri”. Dieci incontri per stare insieme. Doveva svolgersi a rotazione ogni sera a casa di qualcuno. Non arrivammo a dieci incontri. La prima sera proposi L’Atalante di Jean Vigo, ci furono reazioni alterne, qualcuno dormì, poi con Prigionieri dell’Oceano di Hitchcock, ci fu il grande scatto. Seppi “vendere” bene il film, nel senso che creai un’aspettativa. Spiegai che si trattava di un film speciale, perché si svolge tutto su una scialuppa. E nei personaggi della scialuppa il regista racchiude il mondo. Grazie a quest’anticipazione, tutti seguirono il film con molta attenzione. Qualcuno venne apposta per ascoltare la mia presentazione, ed io dovetti inventarla lì per lì. Fu un successo, e comunque la cosa non andò avanti, chissà, serviva ancora tempo. ‘Visioni’ non è partita, ma spingeva”.

Ma tu cosa volevi fare?

– “Mi accorgevo di una strana evoluzione: i cineclub chiudevano schiacciati da nuovi interessi economici, ma il desiderio della gente di vedere un film insieme cresceva. Un film ti tira sempre fuori qualcosa da dentro. Te ne accorgi subito nelle Arene, un grandioso lascito dell’Estate Romana di Renato Nicolini ed Enzo Ungari, le Arene per me sono state una grande scoperta. A Caserta non c’erano. Eppure nelle Arene, quella del Tiziano ad esempio, ritrovavo la stessa atmosfera, lo stesso ambiente che si respirava al cinema a Caserta. Ricordo due signore al Tiziano. Quando hanno proiettato Titanic sono scese con le pantofole da casa. Nelle prime sequenze si vedono le apparecchiature con cui scoprono il relitto. E una delle due si spaventa, crede che sia un documentario e  chiede. “Ma è tutto così? Tutto sottomarino? “E l’altra la rassicura: – No adesso ci fanno vedere come l’hanno trovato e dopo…dopo inizia il film” – Ecco nelle arene sentivi come il cinema parla alla gente. Era quello che mi piaceva.

Nel frattempo proposi anche la “serata PROLIFICA”: ognuno doveva portare una PROsa, un LIbro, un FIlm, una CAnzone. Rischiai il linciaggio!

Intanto alla visione forsennata di film – ne vedevo anche quattro al giorno – ho aggiunto la lettura divoratrice. Leggevo tutto quello che era stato scritto sul cinema. In edicola nel frattempo uscivano i film che a Caserta avevo impiegato tanto tempo a doppiare e a piratare. Provavo quasi una sorta di rammarico, però era stata la mia gavetta. Dal 1995 al 2005 ho espanso la mia conoscenza, ho appagato al mia fame. L’eccesso di offerta  riacuiva in me il bisogno di trasferire agli altri questa passione. Un giorno al lavoro conobbi un ragazzo del gruppo direttivo del Detour (un cineclub di Roma, a via Urbana – NdR). E lì, al Detour, scoprii il covo dei cinefili puri. Un luogo da carbonari. Nella mia testa mi sono sempre chiesto: ma i cinefili incalliti dove vanno? Li trovai al Detour. Riuscirono a sorprendermi. Sono un gruppo di ragazzi e il loro percorso è davvero alternativo, con proiezioni rigorosamente in lingua originale.

Mi piacquero. All’entrata mi piaceva intrattenermi con loro e con i ragazzi di Sentieri Selvaggi (storica ‘Scuola di Cinema’ in Roma; agli inizi spartivano la stessa sede con il Detour – NdR). Era una parte di cinema che non conoscevo. Gente impegnata, preparatissima. Tutto bene. Ma in sala a volte eravamo in due: io e Viviana. E in genere sempre poche persone. Un pubblico ricercato. Non dimentichiamoci che lo stesso Agosti era stato costretto a chiudere il caffé Azzurro Méliès dedicato ai film del cinema muto. Così un giorno fui preso dall’impeto propositivo e decisi di organizzare io una serata. Avevo il titolo: “Primo fotogramma”. Feci una scheda. Proposi L’Atalante di Jean Vigo e I fratelli Skladanowsky di Wim Wenders.

Insieme a spezzoni di Méliès accompagnati da musica dal vivo elettronica…

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Lorenza Del Tosto

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