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Le passeggiate per terra. Al Porto e verso i Conti (3)

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di Pasquale Scarpati

Per l’articolo precedente, leggi qui [2]

Sul lato sinistro della curva abita zia Sabettina, altra sorella di mia madre, con zio Michele. Hanno due figli più grandi di me: Andrea ed Eva. Ogni qualvolta la vado a trovare o ci vediamo, suole apostrofarmi: Uaglio’ comm’ iamme. E poi mi offre sempre dei dolcetti fatti in casa: turtanielli nel vino cotto, sanguinaccio, panettone, casatiello ed altro. Andrea studia sulla terraferma; Eva è sempre indaffarata. Molto affabile e alla mano, mi sembra una sorella maggiore per cui con lei parlo molto volentieri, anche perché mi sembra che sia l’unica che possa fare da intermediario tra me e gli adulti e possa prendere, in caso di divergenze, le mie difese. Guardo la casa di nonna che  sta quasi alla fine della salita ed è una delle poche che si trovi sulla sinistra. Arranco perché non vedo l’ora di arrivare, ma mi sembra lontanissima. Cerco di intuire chi possa trovare, se qualche mio coetaneo con cui giocare o qualche zio con cui andare a mettere o ispezionare le trappole per gli uccelli.

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Uso di rado la pesarola, preferisco la trappola. E’ una tagliola: nel mezzo si mette, in un beccuccio, un verme giallino, chiamato carùlo, che di norma si rinviene nella terra, nella stalla degli animali o in zone piuttosto umide. Innanzitutto si smuove un pochino la terra là dove si pensa di metterla e poi la si apre, tenendola ben ferma in modo che non scatti, si mette il verme e si poggia delicatamente sulla terra, anzi alcune volte un po’ rialzata da una parte; la si lega ad un paletto o ad una canna con un breve tratto di spago, in modo che qualche uccello che rimane vivo non la trascini con sé. Il verme, dimenandosi, attira i piccoli volatili affamati. Il più delle volte, quando arriviamo, gli uccellini sono già morti: perrill’ i’ fave (lui grosso),  fucedole (sterpàzzola), pettirossi ecc. Ma quando la tagliola è scattata a causa del crasteco (averla) dalla testa rossa e dal becco adunco, devo stare attento, perché non solo non è morto ma può anche beccare e far male. Nonna li conserva anche sott’olio in un barattolo di vetro.

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Resto deluso, se è stata una lucertola a far scattare la trappola.  Anche loro, però, non sfuggono alla cattura.  Fanno parte del nostro divertimento allorché le prendiamo con ‘u chiapp’: il nodo scorsoio creato all’estremità di un robusto e lungo filo d’erba. Ci avviciniamo di soppiatto, chiudendo la testa dell’animale e poi, per stringere meglio, lo facciamo roteare in aria; in seguito lo portiamo a passeggio come un cane al guinzaglio. Non manca, poi, la famigerata tirolastica il cui proiettile, qualche volta, invece di indirizzarsi verso gli animali, preferisce dirigersi verso gli uomini e le cose.

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Normalmente, di domenica, si va per la via nuova. Superato l’incrocio che porta alla chiesa dedicata a S. Giuseppe, la prima tappa è a casa di zia Giuditta e zì Giro che hanno una specie di cantina. Mentre i miei scambiano due parole con gli zii, io mi soffermo a guardare, tra l’odore forte del vino e del fumo, gli avventori che giocano seduti intorno ai tavoli. Mi attira soprattutto un gruppo di persone che discutono animatamente intorno ad un tavolo rettangolare.

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Poi, ad un tratto, qualcuno in mezzo a loro riempie un bicchiere di vino e lo porge ad un altro che lo tracanna tutto d’un fiato. Ma quello che mi meraviglia è il fatto che un altro dei partecipanti stia a guardare la scena con occhi sbarrati, leccandosi le labbra con atto voglioso. Non capisco perché la prima persona non abbia offerto il bicchiere di vino a chi sembrava averne un così grande desiderio. Papà mi dice che questo gioco si chiama ’U tuocc’ o Padrone e sott’ e spesso le persone che vi partecipano, forse ubriachi o disillusi, litigano a tal punto da venire alle mani.

Poi si prosegue,  si oltrepassa la grotta del Serpente la cui entrata è seminascosta da canne e cespugli vari. Non so cosa sia e perché si chiami così, so solo che molti ragazzi più grandi di me si sono avventurati in quello che mi hanno detto sia una sorta di labirinto. Sulla sinistra, in basso e in lontananza, in mezzo ad una pezza, il mio sguardo viene attirato da un strano attrezzo che sovrasta ogni cosa: è formato da due pali di colore grigio scuro, uno verticale e l’altro, appoggiato ad esso, posto quasi alla sommità e quasi in diagonale. All’estremità più alta di quest’ultimo pende una corda, all’altra estremità sono legate, come contrappeso, delle pietre. Noto che una persona, tirando la corda, fa abbassare l’asta che poi torna su, senza sforzo, con un secchio grondante d’acqua. Papà dice che, così facendo, tirano l’acqua dal pozzo, in quel luogo sorgiva, ma essa serve solo per irrigare perché salmastra. Saliamo ancora e di fronte in alto, sulla sinistra, si vedono le case dei Conti, ma non quella di mia nonna, che si trova più in alto e rivolta verso occidente. Superate uno zig zag di curve arriviamo nei pressi del Pantano delle ranocchie, ai piedi delle Prunelle dove, in alcune stagioni, si sentono gracidare le rane che io vanamente tento di vedere (appena mi sporgo sento solo i tuffi nell’acqua);  poco più avanti c’è  la grande curva del Cavone (penso che nessuna superi la sua ampiezza). Dopo un po’ arriviamo ad un trivio: a destra si va verso i Petruni: una scorciatoia, sterrata, che incrocia, dopo un po’,  a Trebbiente, di nuovo la strada asfaltata;  se si prosegue diritto la strada è tutta asfaltata. A sinistra si scende per la vecchia via acciottolata e, dopo pochi metri, sulla destra, entriamo in un viottolo sterrato che porta a casa di nonna. D’estate tutto il cammino è allietato dal frinire incessante delle cicale ma, non appena imbocchiamo quella strada, nugoli di mosche, vespe, calabroni sciamano dal loro convegno e ci vengono incontro. E’ un ronzio continuo che si attenua sul fare della sera.

Sopraggiunge il buio e il canto dei grilli  invita gli uomini e gli animali a gustare il meritato riposo. Per prima cosa bisogna spegnere rapidamente qualsiasi cosa che dia luce: lumi, candele, le fioche lampadine. Un pericolo imminente sovrasta la quiete notturna. “Stut’ ’a luce pecché tràsen’ ’i zampane!” dicono tutti. Insetti voraci che, nonostante i nuovi farmaci, non hanno tralasciato l’antica usanza di fare concorrenza alle  sanguette (sanguisughe), sfidando persino il DDT, la nuova “contraerea”. Calano in picchiata con sinistri ronzii e non li spaventa neppure il rumore dei materassi imbottiti di foglie di granturco che gemono allorché ci si muove nel letto e, per giunta, anche questi ultimi si divertono a fare concorrenza alle zampane: ogni tanto uno spuntone, birichino, non vuole stare al suo posto, buca la stoffa del materasso (sicuramente per vedere da chi è premuto) divertendosi, anche lui, a perseguitare chi è invece alla ricerca di un sonno ristoratore che rigeneri le membra dopo le gravose fatiche della giornata nei campi o altrove, in attesa di una nuova non meno impegnativa.

 

Pasquale Scarpati

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