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Sapori di Maggio

[1]

di Martina Carannante

 

Dopo un lungo fine settimana a Ponza, si ritorna a Formia per studiare.

Prima tappa: si va a fare la spesa.

Lascio la valigia a casa e riscendo. Passo davanti un fruttivendolo; esposti fuori ci sono due mazzi di asparagi grandi, le fragole in bella vista, pomodori e melanzane. In un angolo un cesto di nespole. Sorrido. Entro nella piccola bottega e mi avvicino al cesto. Ne prendo una…

 

– Martiiiiiii! Nun corre ca te fai male! …già si’ tutta chiena ‘i lividi !

Io: – Mari’ non ti preoccupare che non cado.

Maria Conte in Mazzella è la mia tata di quando ero piccola: ogni mattina mi accompagnava all’asilo. Io tra pianti e urli proprio non volevo rimanere in quella “galera”, così ogni tanto mi portava con sè “sopra i Conti” dai suoi genitori. Dall’asilo alla casa ’ncopp’ i Cuònt’ ci volevano una decina di minuti, ma io tagliavo per le “catene” e arrivavo anche prima. Successivamente, i genitori di Maria, si erano trasferiti giù alla “Pezza” a Mar’i coppa, ancora più vicino alla mia scuola.  Scorrazzavo per la viuzza dissestata e arrivavo fino a casa di Bonaria e Silvestro. Dopo averli salutati e degustato le favolose ciucculate ’mericane scendevo nel giardino di fronte alla loro casa.

Io: – “ Genna’, Genna’! …so’ arrivata!

Gennaro mi sorrideva da lontano. Gennar ’i Ciaulìn’ era un cugino di nonno, aveva sposato Angelina, una delle figlie di Silvestro e Bonaria; coltivava quel pezzo di terra con tanto amore. Era un uomo alto e robusto, molto dolce e simpatico. Io ogni volta che salivo dai “nonni” poi andavo a salutare anche lui, sempre indaffarato nelle coltivazioni del suo orticello.

Quando arrivavo, lui, un po’ per non farmi mettere il giardino a soqquadro e un po’ perché si voleva riposare, mi prendeva per mano e ci sedevamo in una vecchia vasca da bagno, usata come vaso, sotto la pianta di nespole. Mi raccontava di quando era piccolo, delle marachelle che faceva insieme a mio nonno e agli altri ragazzetti del quartiere, nel frattempo mi puliva le nespole che io mangiavo molto volentieri. Quando l’ora di pranzo si avvicinava e il caldo incalzava, io correvo in casa a mangiare e promettevo al mio “vecchio amico” di rivederci il giorno dopo. Quante giornate ho passato sotto quella pianta di nespole cu Gennàr’! Il tempo lo portò via presto e io da un giorno all’altro persi il mio “compagno di merenda”. Sono salita spesso a trovare “i nonni” fino a che la vita ha spazzato via le persone che avevano fatto parte del piccolo mondo della mia infanzia. Oggi, credo che quella pianta non ci sia neanche più.

 

– Signorina, signorina! Che fa le prende queste nespole o le vuole tastare tutte??

Mi giro un po’ scossa – Mi scusi – dico – Ne prendo mezzo chilo.

 

A casa dopo aver sistemato tutto nel frigo prendo una nespola e la sbuccio. L’assaggio. Il sapore non è proprio come quelle della pianta di Gennaro, ma tante cose sono cambiate.

Non dimenticherò mai quel sapore inconfondibile, tra un dolce nettare e l’asprigno, con me porterò sempre nel mio cuore quel “gigante buono” e simpatico che mi raccontava di lui e riempiva le mie mattinate da bambina.

 

Martina Carannante