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“Tifone”, di Joseph Conrad (1)

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di Gianni Paglieri

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Gent. Redazione,

vi invio uno scritto su Tifone, un libro che mi ha fatto pensare a fatti accaduti recentemente di cui si è parlato molto e a fatti che mi sono accaduti quando navigavo. Bravissimo Conrad, i termini marinareschi sono perfetti, la descrizione del mare, della nave, dei segni anticipatori del tifone e del suo svilupparsi sono assolutamente veritieri e tecnicamente giusti. L’unica cosa da rilevare é che il “tirar dritto” di Mac Whirr è davvero la follia quando si ha un tifone sulla propria rotta.

Spero che questo scritto possa interessare

Gianni Paglieri

 

Joseph Conrad – Joseph Conrad costruì la sua forma mentale sul mare. A diciassette anni imbarcò per la prima volta come marinaio e all’età di trentun anni, a Singapore, gli venne offerto il comando del brigantino “Otago” (le vicissitudini di quella prima esperienza di comando costituiranno l’ispirazione del romanzo “La linea d’ombra” (The shadow line).

Conrad visse il passaggio tra la navigazione a vela e quella a vapore e non smise mai di sognare e di esaltare le virtù del tempo della vela che egli considerava un tempo irripetibile e quel mondo che stava tramontando rappresentò per lui la contrapposizione al gretto spirito di guadagno che si avvertiva nell’epoca appena nata che si identificava nelle navi a vapore.

Solo il mare, eterno e immutabile, manteneva il suo significato metafisico e poetico.

Conrad pose mano alla scrittura di “Tifone” (Typhoon) all’inizio del 1900, appena tornato da una vacanza in Belgio interrotta anzitempo per l’improvviso ammalarsi del figlio Borys.

“Tifone” è stato il suo secondo “libro di alto mare”, dopo “Il Negro del Narciso”. Poi non vi furono altri “libri di alto mare” e il fatto che Conrad venga considerato uno scrittore di mare testimonia quale forza di suggestione abbiano avuto e continuino ad avere questi due racconti.

Dall’inizio della Prima Guerra Mondiale fino all’anno della sua morte, Conrad fu considerato uno dei maestri del romanzo moderno ma furono molti i critici a considerarlo semplicemente uno scrittore di storie di mare ambientate in mondi esotici e lontani. Molti sottolinearono la sua “foreigness”, come fece anche Virginia Woolf, che si ostinò a considerarlo anche dopo la morte “un ospite dal forte accento straniero”, un “remarkable guest” ma “difficult of approach” i cui unici libri da ricordare erano “Gioventù” (Youth), “Lord Jim”, “Tifone” (Typhoon), e “Il Negro del Narciso” (The Nigger of the Narcissus).

Conrad si lamentò molte volte dell’enfasi che veniva posta sui cosiddetti romanzi di mare e al proposito ebbe a scrivere: “As a matter of fact I have written of the sea very little, if the pages were counted. It has been the scene, but very seldom the aim, of my endeavour (…) It would have been misleading to label those productions as sea tales. They deal with feelings of universal import”. [“È un dato di fatto che io ho scritto molto poco di mare, se si vanno a contare le pagine. Il mare è stata la scena, ma ben raramente lo scopo, dei miei tentativi (…) Sarebbe fuorviante etichettare quelle produzioni come ‘racconti di mare’. Esse trattano di sentimenti di interesse universale”]

Conrad ritenne necessaria questa precisazione perché nel corso del suo fatale ed estenuante viaggio in America (un anno prima della sua morte) era stato ancora acclamato dalla stampa locale come: “Spinner of the sea yarns – Master mariner – Seaman writer” [Narratore di storie di mare – Maestro di mare – Scrittore di gente di mare]

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Cicloni, uragani, tifoni – I cicloni, gli uragani, i tifoni – il termine cinese “taifeng” significa letteralmente “vento estremo” o “troppo vento” – si possono considerare tra i fenomeni meteorologici più violenti che si conoscano in natura. Sono depressioni tropicali che hanno il centro più caldo della massa d’aria circostante, dove si formano venti che soffiano intorno a un’area centrale di calma chiamata “occhio” e possono toccare anche i 250 km/h ed in alcuni rari casi superare i 300 km/h. I venti sollevati da simili perturbazioni, come in ogni depressione atmosferica, nell’emisfero Boreale, ruotano in senso antiorario, e nell’emisfero Australe in senso orario.

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I cicloni tropicali che si sviluppano  nell’Oceano Pacifico settentrionale e in Giappone vengono chiamati “Tifoni”, a Nord dell’Oceano Indiano “Cicloni”, in Australia talvolta viene usato il nome di “Willy-Willy”. Nei Caraibi e nel resto del mondo si usa comunemente la parola “Uragano”. Tutti gli uragani sono pericolosi, ma alcuni lo sono più di altri e sono molti i fattori che determinano  la loro potenza distruttiva.

In mare le navi si servono delle informazioni meteo che vengono ricevute regolarmente per sapere se nell’area che devono attraversare sta nascendo o si è già sviluppato un uragano. Nel caso che l’uragano interessi la propria rotta è buona norma di pratica marinaresca dirigere la nave in maniera tale da mantenere il centro della perturbazione il più lontano possibile dalla propria posizione.

Per manovrare la nave rispetto all’uragano è necessario conoscere il rilevamento e la distanza del suo centro per sapere in quale settore si trovi la nave (semicerchio navigabile, semicerchio pericoloso, se sulla traiettoria dell’uragano davanti o dietro al centro). Tenendo conto delle informazioni meteo ricevute e delle osservazioni di bordo (pressione atmosferica, direzione dei venti, fenomeni meteo, direzione del moto ondoso, precipitazioni, ecc…) si assumerà la rotta idonea per allontanarsi progressivamente dal centro rispetto alla sua traiettoria. Naturalmente in simili condizioni meteo marine la nave non potrà mantenere la sua massima velocità e sarà quindi necessario ridurre i giri dell’elica per evitare eccessive sollecitazioni allo scafo nell’impatto con le onde; per questo allontanarsi dal centro è molte volte lento e difficile.

L’occhio di un uragano ha in media un diametro di 25 km circa, anche se in alcuni si sono misurati 60-65 km. Attorno all’occhio ruota l’intero sistema in un movimento a spirale. Il suo bordo è formato da uno spesso strato di nuvole, un vero e proprio muro che si estende dalla superficie fino ad altezze molto elevate, fin quasi ai limiti della troposfera, oltre i 15 km di altitudine.

All’interno dell’occhio l’aria scende dall’alto verso il basso (subsidenza), impedisce la formazione di nuvole e piogge e in questo movimento si comprime, facendone aumentare la temperatura. Le precipitazioni all’interno dell’occhio sono molto deboli o mancano del tutto, i venti sono quasi assenti mentre la nuvolosità è decisamente variabile anche se spesso la copertura del cielo è quasi totale. Altre volte invece la nuvolosità è molto scarsa e s’intravedono in quota nubi alte stratiformi. L’anello di nubi e di temporali che circondano l’occhio dell’uragano si chiama la “parete dell’occhio” e vi si incontra la pioggia più intensa, i venti più forti e le peggiori turbolenze.

I libri nautici consigliano manovre perfette, sulle quali si potrebbe disquisire a lungo, ma quando una nave si trova nell’area di influenza di un uragano, e abbastanza vicina al centro, si devono fare i conti con piogge torrenziali, onde molto alte delle quali è difficile determinare la direzione e l’altezza, con una visibilità prossima allo zero; venti fortissimi, il rollio, il beccheggio, le sollecitazioni dello scafo. E ancora… l’ansia che la tempesta con il suo rumoreggiare, il vento, il frangere delle onde sullo scafo instilla goccia a goccia nell’animo di chi deve condurre la nave fuori dalla perturbazione.

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Quando l’uragano tocca la terraferma incontra un clima più freddo che ne compromette la sopravvivenza e si avvia verso una fase di dissolvimento. Ma è proprio in questo stadio di esaurimento che gli uragani recano i danni maggiori dovuti all’onda di tempesta (Storm Surge) che si abbatte sulla costa: una muraglia d’acqua che accompagna tutti i cicloni che può raggiungere, nei cicloni più intensi, l’altezza di 7-8 metri al di sopra della superficie marina.

Nel manuale “American Practical Navigator” – Nathaniel Bowditch pubblicato da “US Navy Hydrographic Office” è scritto, al capitolo “Manoeuvering to avoid the storm center”: “The safest procedure with respect to tropical cyclones is to avoid them…” La procedura più sicura rispetto ad un ciclone tropicale è quella di evitarlo… E continua… “Se si agisce per tempo si tratta semplicemente di assumere una rotta che porti la nave sicuramente su di un lato della probabile rotta del ciclone, e quindi continuando a “plottare” il centro della perturbazione… correggere la propria rotta secondo necessità…

Forse, davvero – come dice il Capitano Mac Whirr – la tempesta va affrontata, per tornare vivi prima di tutto, e poi, se sarà il caso, anche per raccontare e disquisire sui fatti vissuti…

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Gianni Paglieri

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Nota – Non bisogna confondere gli uragani con i tornado.

I tornado (o “trombe d’aria”) – oppure cod’i zéfere, come sono conosciute in dialetto dai naviganti di Ponza, e ammantati di fantasiose credenze e leggende – sono intensi vortici ciclonici in cui l’aria si muove a spirale, ad altissima velocità. Essi si presentano come scuri imbuti nuvolosi, che pendono al di sotto di densi cumulo-nembi e si spostano velocemente, contorcendosi. Il loro diametro, al livello del suolo, è di 100-450 metri, e i loro venti, i più veloci fra tutti quelli delle perturbazioni, possono superare i 400 km/h.

Il tornado è definito in termini scientifici come una colonna d’aria in rapida rotazione e in contatto con il suolo, che genera venti con componente orizzontale e verticale. Può apparire in una miriade di diverse forme, come serpente contorto, cono perfetto oppure massa indistinta e turbolenta di nuvole e polvere. La tromba marina non e’ altro che un tornado che si forma sulla superficie del mare (NdR).

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 [Tifone  di Joseph Conrad  (1) – Continua]