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Economia per principianti (4) – Il turismo in Italia

[1]

di Vincenzo Pagano

 

Sul mio primo articolo della serie “Economia per principianti”  – leggi qui [2] – c’è un commento interessante di Silverio Lamonica.  Ho un grande rispetto per Silverio e quindi ho deciso di rispondere ad alcune sue osservazioni.

Sostanzialmente Silverio indica un percorso che non e’ stato mai intrapreso sul serio in Italia: una vera politica turistica nel contesto di ottimizzazione del territorio che rifletta tutte le potenzialità italiane.  Silverio mi domanda se la crescita economica si identifica con la vocazione naturale di un paese.
Non vorrei crear polemiche ma nella ‘scienza’ economica c’è tanta ideologia.  E, secondo me non può essere diversamente perché l’economia a che fare con power and money, cioe’ potere e soldi.  Più che la vocazione naturale di un paese conta il peso e gli interessi del capitale, l’entità del mercato, le aperture e l’integrazione economica. In modo realistico bisogna constatare che i capitalisti di un determinato paese non hanno scelta se non seguire delle particolari traiettorie che portino a profitti alti e sempre più elevate quote di mercato. Con concorrenti spietati sia sul mercato interno che estero pertanto, se non si vogliono perdere quote di mercato, i capitalisti sono costretti a portare avanti delle scelte più o meno obbligate che possano portare a storpiare una determinata zona con forti rischi di impatto ambientale.
L’economia italiana è arrivata tardi all’industrializzazione ed il paesaggio italiano era ancora bucolico per tutto l’Ottocento e i primi decenni del novecento.  Il Gran Tour d’Italie dei ricchi nord-europei era indimenticabile perché l’Italia, oltre a possedere le gloriose testimonianze culturali del passato, aveva un paesaggio ancora incontaminato come testimoniato da tanti scrittori ed artisti; si può aggiungere che la penisola italiana era anche considerata come un luogo molto godereccio. L’Italia non ancora industrializzata era il giardino d’Europa.
Le èlite politiche italiane dopo l’Unita’ d’Italia ed in particolare negli anni novanta dell’Ottocento, per far sì che l’Italia si agganciasse alle economie più evolute del continente europeo furono ben disposte a sviluppare una industrializzazione, soprattutto nel Nord.

Anzi, questa concentrazione industriale nel Nord ha prodotto una frattura non più sanabile. Il Mezzogiorno divenne un’area funzionale agli interessi del Nord.  È ironico parlare del Sud come ‘Questione Meridionale’ quando punto e’ ‘la Questione Settentrionale’. Se si fa un confronto con l’Europa attuale e soprattutto con la Germania di questi tempi è tutta l’Italia a trovarsi nella medesima situazione del Mezzogiorno.
Il catching-up [la possibilità di ‘aggancio’ – NdR] dell’Italia nei confronti dei paesi più avanzati voleva dire investire soprattutto in determinate aree geografiche più vicine ai ricchi mercati dell’Europa. Industrializzare l’Italia in un contesto di capitalismo arretrato, un paese dall’orografia difficile con faglie sismiche e notevoli testimonianze del passato, voleva dire sacrificare sull’altare del moderno progresso tanti posti idilliaci che avrebbero fatto gola a qualsiasi nazione.  Basti pensare la zona dei Campi Flegrei con tutte le incredibili testimonianze del passato e con i panorami mozzafiato del “golfo più bello del mondo”, come lo definì Orazio.

Tristemente ora ci si accorge che troppe storture vi hanno preso piede e questa zona anche se non irrecuperabile è comunque …’inquinata’. Questa industrializzazione non poteva aver luogo senza un prezzo; e non solo nella zona dei Campi Flegrei. Tutti i paesi che vengono definiti ‘industrializzati’ hanno pagato il loro prezzo e non poteva essere diverso per l’Italia.   Secondo Pasolini il prezzo pagato dall’Italia e’ stato superiore ai risultati dell’industrializzazione. Il danno maggiore sempre secondo Pasolini è stata la perdita dell’anima italiana.  L’Italia, la grande proletaria, la patria dell’arte, con incredibili diversificazioni geografiche culturali avrebbe data ‘la propria anima’ pur di acquisire i beni materiali del progresso capitalista. I risultati attuali sono un’Italia industrialmente ‘precaria’ e comunque in condizioni di essere terra di conquista, date le piccole dimensioni delle imprese.  C’è in più la consapevolezza che i margini di crescita avuti nel periodo d’oro, che va dal dopoguerra fino approssimativamente alla fine degli anni ottanta, sono finiti per sempre.  Diventa d’ora in poi sempre più difficile mantenere un certo benessere soprattutto per i ceti più deboli.

L’Italia è  tuttora ‘potenzialmente’ il Bel Paese. Pertanto, in teoria si potrebbe attuare una politica turistica. Ma il turismo non può essere improvvisato e va pianificato sul lungo periodo.  La Francia è il paese con il più alto numero di turisti e allo stesso tempo è il paese dell’indicative planning, cioe’ una pianificazione lungimirante senza essere troppo ossessiva, indicativa per l’appunto.  In questo breve saggio non posso discutere di pianificazione e mercato in Italia pertanto mi soffermerò solo su alcuni pochi punti essenziali.

1) Bisogna essere realisti e purtroppo bisogna ammettere che il realismo non è stato mai di casa in Italia. L’Italia è per l’85% un paese Mediterraneo e solo questo dato dovrebbe farci riflettere sul suo ruolo in Europa.  Se si escudono alcune aree del Mezzogiorno come Capri, la Costiera amalfitana, Taormina e poche altre, il Mezzogiorno è escluso dai flussi turistici internazionali, pur avendo una grande ricchezza culturale e paesaggistica.  Solamente la Sicilia ha più templi greci di tutta la Grecia!

2) Con l’approvazione del fiscal compact ci saranno tagli continui per venti anni.  Quello che non e’ stato fatto difficilmente sarà fatto. Il ‘Mezzogiorno’ incorporerà regioni non soltanto del Sud e includerà anche aree tuttora considerate ricche.

3) Pertanto una pianificazione del turismo che comprenda anche l’ottimizzazione del territorio sarà di difficile attuazione, date le risorse limitate per il futuro.

 

Vincenzo Pagano

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