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Intervista a Ernesto

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Prosegue la pubblicazione degli elaborati partecipanti al concorso Racconta Ponza a Ponzaracconta; oggi pubblichiamo l’intervista a Ernesto Prudente realizzata da Francesco Ambrosino, studente diciassettenne dell’Istituto Tecnico Commerciale di Ponza. 

Francesco intende “conoscere la vita di un uomo, vissuto interamente e lungamente nella sua terra, e scoprire il segreto dell’essere felici,  isolato tra isolani”: invia dunque la lettera che segue a Ernesto, chiedendogli di riceverlo per un’intervista (che sarà pubblicata in due parti).

Leggete, e non dimenticate di commentare!

Rita Bosso [2]

Lettera a Ernesto

 

di Francesco Ambrosino

 

Caro Ernesto

Vorrei partecipare ad un concorso indetto da Ponzaracconta il cui tema riguarda l’adottare un luogo, un periodo storico, un personaggio ecc.

Bisogna essere originali, si dice nel bando di concorso, la forma espressiva è abbastanza libera; parlando di questo con mio padre lui mi ha detto che a raccontare dei luoghi  e della storia dell’isola ci hanno pensato molti autori, riempiendo libri e libri, ma per essere brevi, concisi e originali bisogna inventarsi qualcosa di unico. L’unico, dice sempre mio padre, non può essere una falesia, una grotta perché dura molto di più di una vita umana e quindi noi uomini, non abbiamo vissuto e non vivremo le sue continue trasformazioni. L’unico non può essere che un uomo: il quale può vivere anche cent’anni ma in questo brevissimo lasso di tempo nasce, cresce, si riproduce, muore e caratterizza la sua esistenza in relazione ai i suoi simili.

Ma tutti sanno fare questo, nascere, crescere, riprodursi e morire, anche in una piccola isola come Ponza; solo pochi, però, sanno essere felici, sanno vivere la loro vita pienamente, intensamente, in questo teatrino in mezzo al mare. A questo punto mio padre ha parlato di te.

Quindi conoscere la Tua vita, anche se in forma sintetica, mi ha molto interessato. I giovani di oggi non vivono l’isola, semmai la subiscono o la consumano, ma non la sanno apprezzare. Vivere l’isola non significa solo esercitare la caccia, la pesca, l’allegra  scampagnata; significa anche la condivisione di una vita sociale, morale con l’altro isolano.

Adesso il ponzese ama la sua isola a modo suo, dice che è la più bella del mondo ma poi aggiunge “peccato che su quest’isola ci siano i ponzesi”.
I Ponzesi non sono più felici, se mai lo sono stati; sono sicuro che tu sei stato un Ponzese fiero di essere nato su questo scoglio, ma anche fiero di essere vissuto fra la tua gente.

Ecco, è questo ciò che voglio descrivere in forma di intervista: la vita di un uomo, vissuta interamente e lungamente nella sua terra e scoprire il segreto dell’essere felici isolato tra isolani.

Con affetto 

Francesco Ambrosino

 

Intervista  a  Ernesto  (1)

 

Mio padre mi accompagna alla casa di Ernesto.

Sulla porta non c’è il campanello per cui bussiamo circa cinque minuti; poi Luciana, la moglie, ci sente e ci fa entrare.

Troviamo Ernesto in piedi, sorridente; ci introduce nella stanza dove vive, in mezzo alle carte, ai libri, con la stufa accesa, con le finestre e le porte chiuse, respira male e si difende come un uccellino in fondo al suo nido.

Ovviamente Lui già sa il motivo della visita, perché precedentemente gli ho consegnato una lettera, per cui ci sediamo. Luciana  offre a me dei cioccolatini e a mio padre un whisky.

D – Per cominciare Ernesto, vorrei sapere quali sono state le tue origini, dove sei nato, da quale famiglia:  insomma i tuoi primi passi nel mondo come figlio e poi studente

R – Sono nato a Ponza, da famiglia paterna marinara e da famiglia materna contadina. Mia madre e le sorelle, tre, hanno avuto un lungo periodo di vita sotto lo stesso tetto (a casa di zia Anna).

Sono nato e cresciuto sulla Dragonara, in una famiglia allargata. Il matrimonio tra i miei genitori fu molto contrastato dalla famiglia di mia madre, che non voleva che una figlia sposasse un marinaio. Mia madre fu addirittura legata ad una corda e calata nella piscina per farla desistere, ma lei la ebbe vinta e sposò il marinaio. Quando nacqui fui definito il figlio dell’amore. Dopo aver frequentato le scuole elementari a Ponza, venni dirottato, con mio cugino Giannino, a Salerno in un collegio dove, con fasi alterne, a causa dei bombardamenti degli aerei alleati, sono rimasto fino al 1946, quando mi diplomai maestro.

D – C’è qualche episodio che ha lasciato un segno per la formazione del tuo carattere?

R – Vedi Francesco, tu sai che i giovani come te hanno sete di conoscere, fanno mille domande agli adulti, cercano di leggere, viaggiare, sono curiosi, sono appassionati, si innamorano facilmente, poi a volte quando diventano adulti cominciano ad annoiarsi, diventano scettici, criticoni, egoisti, si chiudono a guscio nelle loro famiglie; bene io ancora oggi, malgrado gli acciacchi, e credimi sono tanti, mantengo questi pregi e difetti dei giovani e la mia vita è stata mossa da questi bisogni di conoscere, di incontrare di dare e di avere.

D – Tu eri un bambino basso d’altezza. Come hai superato questa difficoltà? Ti chiedo questo perché oggi i bambini che hanno un minimo difetto fisico, finiscono  facilmente nella lista dei diversamente abili: debbono essere sottoposti a visite e muniti di sostegno psico-fisico. 

R – L’altezza non mi ha creato difficoltà. Basti pensare che ho fatto il servizio militare a Udine, con il grado di sottotenente; e poi Fanfani, piccolo (d’altezza), segretario democristiano, ad un giornalista che gli chiedeva: “Presidente lei non si sente in difficoltà quando sta al cospetto di uomini come il generale De Gaulle?” rispose:  “Assolutamente no, perché nella botte piccola c’è sempre il vino buono!”

D – Dopo il servizio militare sei tornato a Ponza a fare il maestro, nella tua isola in un contesto semianalfabeta. Cosa ti ha dato la scuola?

R- Congedato, tornai a Ponza e iniziai a fare il maestro, ho iniziato i miei rapporti con la scuola nel 1948, insegnando a Forna Grande che tu chiami Cala Feola. E da allora mi sono dedicato, senza fare sforzi e senza sudare le proverbiali “sette camicie” a questo meraviglioso lavoro.

Io considero insegnare alle scuole elementari un impegno di grossa responsabilità; è da lì che parte la costruzione della personalità dei futuri cittadini, è lì che si deve apprendere la magia di leggere e scrivere e fare i primi conti. La scuola mi ha lasciato lo sguardo dei tantissimi bambini che poi ho ritrovato adulti e sempre molto rispettosi. I bambini sono innocenti, genuini, spontanei e ti fanno passare ore di meravigliosa convivenza. I bambini mi hanno dato molto ed io ho fatto del mio meglio per meritarli tutti, dal primo all’ultimo. Paragono la scuola a un vecchio fabbro, e Ernesto ad un pezzo di ferro che veniva forgiato quotidianamente da tante esperienze.

Da tutti ho imparato e a tutti ho insegnato!

D – Ma tu sei stato il Maestro Ernesto non solo nella scuola, ma anche nella società. Mi puoi parlare dei rapporti con gli isolani, del tuo impegno sociale e politico?

R – Vedi, io ho sempre distinto il mestiere di insegnante da quello di maestro.

Si è insegnanti nella scuola, maestri soprattutto, nella comunità isolana.

Io, sin dal 1946, ho vissuto pienamente la vita dell’isola. Sono stato seguace dell’Avvocato Luigi Sandolo, socialista, e ho fatto politica attiva fino al 1992, quando il mio partito, il PSI, venne bombardato, silurato e affondato.

Sono stato sempre al fronte, non sempre ho vinto!

La più bella vittoria fu la chiusura della miniera. Una vittoria di Ponza, una vittoria della Comunità isolana. Se noi non avessimo lottato contro la “Piovra”, forse una parte dell’isola sarebbe stata divorata e tu non avresti potuto andare a giocare a pallone.

Figlio di marinaio, sono entrato a tuffo nel mondo della marineria ponziana, diventando un difensore d’ufficio. Non c’è storia in cui non fossi presente. Erano rari i casi in cui non venissi chiamato in soccorso. Di quei tempi non c’erano elicotteri o motovedette per il trasporto degli ammalati, per cui erano i nostri pescatori che si dovevano occupare anche di queste emergenze. Siccome il mio rapporto con i pescatori era di totale fratellanza e abnegazione, io ero il tramite tra la famiglia dell’ammalato e i capo-barca… Sicuramente avrai sentito parlare della chiusura del porto del 1975. Chiudemmo il porto con tutte le barche da pesca, dal fanale rosso al fanale verde, io ero a capo, andammo anche a Roma a parlare al ministero perché volevamo un porto sicuro. Alla fine fummo denunciati e in testa alla lista c’era il sottoscritto. Potrei continuare ma mi fermo qui.

D – Ernesto, mio padre dice che questa fratellanza, questa solidarietà tra ponzesi non esiste più.

R – Anche io noto, con sommo dispiacere, che la fratellanza e l’abnegazione sono scomparse perché è comparso il dio denaro.

Oggi questa comunità è basata più sui valori di una convivenza di convenienza che su quelli di un vivere civile. Ognuno, per il denaro che scorre come un ruscello, vive da single e pensa solo a se stesso. Non capisce che esistono gli altri che hanno i suoi stessi doveri e hanno, soprattutto, i suoi stessi diritti. Spetta a voi giovani cercare di modificare, attraverso la cultura, il senso civico di questa comunità.

D – Sei stato uno dei pochi che ha vissuto Zannone ai tempi dei Casati. Sei stato un cacciatore a Zannone, dove si faceva strage di quaglie: mi interessa conoscere quel piacere assoluto di essere un esclusivo ospite di gente ricca.

R – Frequentai Zannone perché amico del guardiano Silverio Iodice. Approfittavo dei miei rapporti con Giovanni Califano (Masaniello) e Silverio Conte (Facciabruciata) che, proprietari di barche e appassionati cacciatori, mi trasportavano da un’isola all’altra. Entrai, per il mio modo di comportarmi, nelle grazie di Lillina (moglie del guardiano) e di zia Elena (suocera). Divenni così di casa a Zannone.

Negli anni Sessanta conobbi, per essere un amministratore del Comune, Carlo Vignati, il capocordata di quel gruppo di industriali che prese in fitto l’isola di Zannone, creandovi una riserva di caccia. Nei miei frequenti raid ebbi occasione di conoscere quasi tutti gli affittuari, tra questi il marchese Camillo Casati e anche la signora Falarino. Il Casati quando stava a Zannone aveva e dimostrava una sola passione: la caccia. Usciva al mattino presto e rientrava per il pranzo; il tempo di cambiarsi ed era a tavola. La caccia era faticosa, ma soprattutto era appagante. Dopo pranzo usciva di nuovo per la caccia e rientrava all’imbrunire. Io escludo gli scandali a sfondo erotico-sessuale di cui si è narrato. Quell’isola era piena di occhi, c’erano i due fanalisti con le rispettive famiglie e la famiglia del guardiano, in quell’isola ci si riposava, si godeva in tutte le sue forme della bellezza di una natura incontaminata e ricca di doni. In quell’isola ero un cacciatore esclusivo ed uno dei pochissimi ospiti di persone amabili e molto cortesi.

Non lo nego Francesco, ho sempre fatto quello che mi è piaciuto, che è cosa diversa da quello che ti fa comodo!

 

Francesco Ambrosino

 

[Intervista a Ernesto (1) – Continua]