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Ultimi coriandoli di Carnevale

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di Isidoro Feola

 

Il Carnevale del ’72

Di ritorno da uno dei suoi consueti viaggi per gli oceani del mondo, come direttore di macchina su navi di grosso tonnellaggio, Michele Di Giovanni, un mio cugino più grande, propose, all’inizio del ’72, che per il successivo carnevale avremmo dovuto fare una bella sfilata mascherata che avesse per tema un omaggio ai popoli del mondo. La cosa fu subito accolta dai componenti del suo gruppo abituale, cui si aggiunse anche qualche adolescente, tra cui io.

Da ‘Direttore’ qual’era diede l’incarico di scovare nelle case tutti i pezzi di stoffa colorati, abiti usati, scampoli, ecc. e di depositare tutto a casa di mia madre, l’attuale “Hotel Feola” dove, per motivi di spazio, fu stabilito il quartiere generale. Le settimane seguenti trascorsero con mia sorella Maria e le sue amiche che pedalavano da mattina a sera su una vecchia macchina per cucire Singer per cucire e scucire i pezzi di stoffa recuperati per ricavarne i costumi per la sfilata del Martedì grasso; il tutto in una gioiosa atmosfera da “atelier di Carnevale”. Ogni tanto qualcuno suggeriva dei cambiamenti che passavano al vaglio di tutte con la supervisione di Michele e di mio cognato Salvatore. I momenti delle prove erano accompagnati da risate e commenti non ripetibili, il tutto sempre con area festante ed allegra.

Ci fu anche lo zampino del compianto Ciro Iacono che provvide, ad esempio, a fabbricare le calzature del mongolo e della olandesina . Mia madre Assunta si affacciava in continuazione nell’atelier soprattutto quando c’era da provare qualche vestito e, divertita, andava a chiamare mio padre Salvatore perché anche lui venisse a vedere. La sua espressione divertita veniva accompagnata, con un po’ di commiserazione, sempre dallo stesso commento “…Site tutt’ sciém’… Ah!.. cu’ tanta terr’a’ zappa’..!”.

Il giorno della sfilata (prevista per le 14) iniziò molto presto perché c’era il rituale del trucco che durò delle ore, seguito dalla vestizione. Al momento di uscire qualcuno manifestò delle perplessità e si voleva tirare indietro per la vergogna: fu subito “dopato” con un paio di bicchierini di marsala all’uovo (quello con la bottiglia con la gallina e l’uovo disegnato sopra, che andava tanto di moda all’epoca) che subito ebbero l’effetto disinibente voluto.

Fu una passeggiata incredibile dal piazzale della Chiesa al Porto fino all’ultima casa prima della Grotta del Serpente a Santa Maria e fummo invitati in parecchie abitazioni di amici, parenti e conoscenti… E tutti a dire: “Puzzata scula’! …e comm’ ve site cumbinàt’…”, e nonostante i tempi, ci fecero innumerevoli foto.

Sulla strada del ritorno, appena usciti da tunnel di Santa Maria fummo fatti bersaglio di una “scarrettata di palette”: un’altra banda di mascherati, appostata sopra il tunnel, ci tirò addosso pezzi di palette di fichidindia e alcuni di noi furono colpiti, per fortuna senza danni.

All’imbrunire facemmo tutti ritorno al quartier generale dove ci pulimmo per bene  e ci rifocillammo , sempre ridendo e sfottendoci a vicenda. Poi tutti in località Campo Inglese, a casa di Michele, dove si ballò fino a notte fonda.

Il pomeriggio del giorno dopo, mercoledì delle Ceneri, tutti in Chiesa per farsi aspergersi il capo di cenere: “Memento homo, qui in pulvem erit, et in pulvem reverteris”.

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Da sin.: Lucia Mazzella, Maria Feola, Clelia Coppa, Ornella Conte e Pina Colella

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1 fila in basso da sin: Pina Colella: nera; Peppino Iacono: messicano; Lucia Mazzella:argentina; Enza Rispoli: squaw indiana;     2° fila da sin: Olimpia Iacono: moglie del maraja indiano; Giuseppina Migliaccio: olandesina;  Maria Colella: spagnola; Lucia Coppa: squaw; Raffaelina Di Giovanni: scozzese

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Salvatore Vitiello, maraja indiano con la concubina Olimpia Iacono

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Tina Scarpati, giapponesina

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Isidoro Feola. Mongolo

“Personaggi e interpreti”:

Enza Rispoli e Lucia Coppa: squaw indiane pellerossa.

Raffaelina Di Giovanni: scozzese.

Maria Colella: spagnola.

Tina Scarpati: giapponese.

Isidoro Feola: mongolo.

Salvatore Vitiello ed Olimpia Iacono: marajà indiano e concubina.

Dirce Mazzella: donna russa.

Lucia Mazzella: donna della pampas argentina.

Giuseppina Migliaccio: olandesina.

Peppino Iacono e Maria Rita Conte: messicani.

Michele Di Giovanni: capo-tribù africano (con tanto di sveglia al collo ed orecchino nel naso) con le sue quattro mogli dalle acconciature irripetibili: Maria Feola, Clelia Coppa, Pina Colella e Ornella Conte.

 

Isidoro Feola