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Tre storie di polene (…e quella che comparve mentre la nave affondava)

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di Gianni Paglieri

Per un precedente articolo sulle polene: leggi qui [2]

 “Cosa mormorava la polena a Giasone, quando stava a prua? Lui, inerte e triste nel volto, non osava, non voleva sapere ciò che essa vedeva col suo sguardo, attonito e dilatato.

E’ per guardare che la polena viene collocata a prora, per scrutare qualcosa che ai marinai è vietato e sarebbe fatale sapere.

[Claudio Magris “Alla cieca”; Garzanti 2005]

 1.    Niobe

Di origine nordica è la Niobe una delle polene più affascinanti e inquietanti che ci siano rimaste. Una protagonista bellissima e sinistra ad un tempo… Ecco come la descrive Gunther Grass:

“Un’opulenta donna di legno, nudità verde, che guardava dritto davanti a sé dagli occhi d’ambra incastonati, sotto le braccia sollevate che si chiudevano negligentemente mostrando tutte le dita e sopra i seni tesi verso la meta. Questa donna, la polena, portava sfortuna…”

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Niobe è figura mitologica alla quale nelle Metamorfosi di Ovidio è legata una tragedia… Madre di sette figli rifiuta di rendere onore a Latona, la madre di Apollo e di Artemide e per questo Latona chiede vendetta ai due dei che nascosti da una nube, con le loro frecce, uccidono tutta la figliolanza di Niobe. La donna paralizzata dal dolore diventa come una roccia, viene rapita dal turbine e portata lontano…

Non è difficile vedere in questa figura di donna il simbolo stesso della polena e della polena di sventura…

 

2.    Atalanta

Navigando in Atlantico una nave della Regia Marina, la Veloce, trova dei rottami galleggianti e tra i pezzi di legno una polena, una statua in legno, alta, la cui caratteristica più eclatante è il seno destro che appare scoperto, semisferico con un capezzolo turgido e realistico; al contrario, il viso e il resto della statua appaiono approssimativi, come se l’intagliatore, realizzato un corpo di rara bellezza, avesse voluto sbarazzarsene per non sopportarne lo sguardo e il sentimento ambiguo di desiderio e di minaccia che da essa emana. La polena viene sbarcata in Arsenale alla Spezia dove si cerca di darle un nome.

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La polena è colta nell’atto di sollevarsi le gonne, come se si apprestasse a correre, e viene così alla mente Atalanta  il cui mito è raccontato nelle  Metamorfosi  di Ovidio.

Ad Atalanta l’oracolo aveva profetizzato:  Tu non hai nessun bisogno di un marito, Atalanta. Evita l’esperienza coniugale. E tuttavia non vi sfuggirai e, viva, non sarai più te”.

Molti uomini chiedono la sua mano e lei, dotata di grande velocità nella corsa dichiara che sarà moglie di chi saprà precederla in una competizione. Il giovane Ippomene riuscirà a batterla con l’aiuto di Venere e la prenderà in moglie, ma l’epilogo è tragico: il giovane si dimentica di Venere, non la ringrazia, tutto preso dalle grazie della sua compagna.

Venere si vendica e li spinge, facendoli unire carnalmente, a profanare una grotta sacra dove vengono confinate le statue in legno degli dei cui non viene più tributato il culto. Le statue di legno sono sinonimo di trasformazione e di morte…” Sarà Cibele a trasformare i profanatori in leoni aggiogati al suo carro…

La storia della polena  Atalanta  che possiede lo strano potere di fare innamorare chi la guarda troppo a lungo, è altrettanto tragica…

Un custode che la accudisce, la accarezza e la bacia, viene deriso dai colleghi e quella situazione lo spinge al suicidio: si getterà in un bacino di carenaggio vuoto.

Nel 1944  Atalanta  farà sentire il suo sinistro fascino ad un Ufficiale tedesco che periodicamente veniva a trovarla e che poi di nascosto la farà trasportare nel suo alloggio. Finirà con lo spararsi alla testa, quell’ufficiale…

Ora Atalanta  si trova al museo de La Spezia e il suo seno destro è levigato e annerito dalle carezze a cui molti visitatori non sapevano resistere …

 

3.    La polena Madonna

La Statua di Nostra Signora della Fortuna o delle Grazie era la polena di una nave irlandese. La sua storia risale al 17 gennaio 1636 quando si abbatté sul porto di Genova una furiosa tempesta che durò tutta una notte. La mattina successiva i genovesi trovarono tra i rottami che galleggiavano in porto la statua di una donna con un bambino in braccio e in mano un rosario.

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La statua, che era la polena di una nave irlandese ancorata nel porto e distrutta dal fortunale, fu spinta dalle onde fino oltre la darsena del porto di Genova. La Madonna fu acquistata da due marinai che la misero nei fondi di un edificio della famiglia Lomellini, ma quando una bambina caduta da una finestra di un piano alto dello stesso edificio toccò il suolo illesa e raccontò di essere stata accolta tra le braccia della statua apparsale sottoforma di donna vestita di azzurro, i cittadini decisero di collocare la statua in un luogo sacro. La statua è ancor oggi visibile sull’altare maggiore della Chiesa di San Carlo in Via Balbi a Genova.

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Una delle più affascinanti polene della letteratura è quella che appare alla fine di Nave di legno (1966)  il primo volume del grandioso ciclo Fiume senza rive di Hans Henny Jahnn.

La polena appare nel momento in cui la nave affonda; è il volto della distruzione e della fine:

«Poi il cassero sprofondò nei flutti. L’asta di fiocco si levò ritta. Una bianca spuma si disegnò sull’oceano ma restò, nell’aria, lo strepito delle vele percosse dal lieve gonfiarsi del mare. A perpendicolo sull’acqua, ritta, rivolta alle scialuppe che s’allontanavano, per un mezzo minuto, forse anche un minuto intero, apparve la polena. (…) Nessuno ricordava di averla vista prima, un’immagine come di giallo marmo. Una donna. Il simulacro di una dea sfavillante, ruvida di pelle. (…) Le braccia, arcuate all’indietro, si confondevano col legno bruno avvolto di fumante schiuma (…) Un possente, seducente canto, indirizzato agli uomini di là dall’acqua. La sfrontata promessa di turgidi seni. Indi la visione sparì”

 

…Ancora Joseph Conrad… che definiva così le polene:

Tutta quella paziente e pallida comitiva di regine e principesse, di re e di guerrieri, di donne allegoriche, di eroine, di uomini di stato e di e divinità pagane, incoronati, in elmetto o a testa nuda si è davvero dileguata nel mare, tendendo fino all’ultimo quelle belle braccia tornite al di sopra delle spume sconvolte, brandendo in fuori, le loro spade, i loro scudi, i loro tridenti, nella stessa instancabile posa protesa in avanti”

 

Gianni Paglieri