di Sandro Russo (su una foto dall’archivio di Giovanni Pacifico)
In quanti modi si può leggere una vecchia fotografia?
Pressoché infiniti, data la moltiplicazione dei ricordi che essa può suscitare nelle persone che la guardano, e l’attenzione ai diversi aspetti della realtà che ritraggono.
Così, visto che siamo nel periodo giusto, tiriamo fuori una foto di un Carnevale d’antan, dove ‘giovani fanciulle in fiore’ di una Ponza che fu, si mostrano acconciate con vestiti e fogge fuori dall’usuale modo di vestire.
La tradizione di mascherarsi per Carnevale era molto radicata e diffusa a Ponza, ben prima di qualunque lusinga consumistica; forse più di adesso e senza gli eccessi attuali. Per ricordo comune era una festa a mascherarsi degli adulti, ancor più che dei bambini.
Era una festa pagana come il Carnevale alle sue origini, forse derivata dalle radici etniche e antropologiche del territorio napoletano, o ancora precedente.
Ricordiamo soltanto che benché presente nella tradizione cattolica, la celebrazione del Carnevale ha origine in festività ben più antiche, come per esempio le ‘dionisiache’ greche (antesterie) o i saturnalia romani.
Durante la Festa si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza. Da un punto di vista della storia delle religioni, il Carnevale rappresentava soprattutto un rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente. Infatti il giorno dopo la festa di tornava alla contrizione; da qui anche l’etimologia del nome: ‘Carnevale’, da carnem levare (eliminare la carne). Anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
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Guardiamo allora la fotografia con la partecipazione rispettosa che si dedica ai ricordi, per l’epifania (propriamente: ‘apparizione’ ‘rivelazione’) che evocano.
La foto dovrebbe essere datata intorno agli anni quaranta, prima delle miserie e del dolore che la guerra avrebbe portato con sé, e la sede, dalla testimonianza di una delle persone rappresentate è ’ncoppa ’a via Nova, ’n’facci’u’ ciardine ’i Pataccone.
È anche una foto di sole donne; alcune di loro sarebbero state le madri di nostri coetanei. Ma tutto doveva ancora accadere: matrimoni, figli, gioie e dolori…
Sono materiali poveri, quelli usati per mettersi in posa; il doppiopetto e il berretto da ufficiale di qualche congiunto, mantiglie e vestiti lunghi per delle fogge ‘alla gitana’ o da ‘romantica donna inglese’, o ‘da geisha’… E volti belli, radiosi, pieni di aspettativa… Spesso, si pensa, guardando delle foto: Va’ a sapere, quello che ha in serbo per noi il destino!
Ecco le singole persone raffigurate nella foto, a partire dall’alto e da sinistra:
Rosaria Zecca, classe 1924
Argìa Mazzella, poi moglie di Silverio De Luca, e madre di Antonio, il ‘nostro’ poeta
Maria Migliaccio, sorella di Luciana – vedi sotto – poi moglie di Pinuccio Conte, quindi ’emigrata’ a Padova
Dora Amato, poi moglie di Ninotto Mazzella, il fratello di Argia e Dialma
Maria Cristina Conte, poi moglie di Alberto Migliaccio ‘Barbètt’
Ave Andreozzi, poi moglie di Alessio Migliaccio ‘Alesio’
Sotto:
Luciana Migliaccio, poi moglie di Ernesto Prudente
Giuseppina D’Atri – ’a maestra Peppina’ -, figlia del farmacista D’Atri, poi moglie del sindaco dottor Sandolo
Dialma Mazzella – ‘Dialmina’ sorella di Argìa – poi moglie di Leopoldo Migliaccio, disperso in guerra nella campagna di Russia
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Quando ho visto la foto ho avuto un senso di deja vu: – Ma io già l’ho vista… – Ricordavo in particolare i berretti da marinaio indossati da Argia e Ave …Ma dove l’ho vista? – Un giro di telefonate mi svela l’arcano. Forse la foto era proprio quella conservata da Rosaria Zecca (zi’ Rosaria) che l’aveva data a chi le aveva chiesto di vederla. Probabilmente le hanno anche detto che gliel’avrebbero restituita, ma lei ha risposto: ..E tienatélla. Che n’aggia fa’ ie?
E questo è un atteggiamento che ho spesso notato negli anziani. L’attenzione alla conservazione dei ricordi è spesso collegata ad un’età più centrale della vita. Siamo noi, che passata l’accelerazione della gioventù, andiamo alla ricerca di radici e memorie… Ma poi passa… Forse i vecchi si rendono conto che, come altri ancoraggi, anche quelli rappresentati delle fotografie vengono meno, non hanno solidità… O che dev’essere doloroso rivedersi giovani, da vecchi; oppure rivedere le persone che si amavano, scomparse.
Non so bene cosa li muove, ma spesso ho visto delle persone anziane disfarsi di cose materiali – tra cui le foto – prima del tempo.
Ma sarà un discorso da riprendere… Tante altre foto ancora gireranno su queste pagine…
Sandro Russo
Mario Balzano
13 Febbraio 2012 at 23:49
Per come ricordo io, il carnevale era soprattutto un gioco di nascondimento, cioè detto brutalmente la gente non indossava un costume ma si poneva sotto abiti che avvolgevano un corpo letteralmente nascondendolo.
Il gioco era presentarsi agli amici più intimi sfidandoli a riconoscere chi c’era sotto i vestiti:
“Indivìn’ chi song’?”
Ricordo una sfilata di carnevale sul porto nei primi anni ’60 in cui Angelo Verginelli era coperto fino ai piedi da un lenzuolo e aveva in testa un cestino per la carta da cui poteva vedere attraverso un singolo foro praticato in corrispondenza dell’occhio destro, e ricordo la sua delusione quando nonostante una copertura cosi’ totale fu riconosciuto!
“Zagaro’ addo’ vai?” – in verità a causa del fatto che mi aveva chiamato per farsi liberare da uno stecchetto che gli si infilava nell’occhio attraverso il foro di cui prima.
Perciò da questa visuale la foto potrebbe rappresentare un grazioso cedimento alla moda di ragazze di belle speranze, mentre il Carnevale a Ponza era tutt’altro!
Può essere pure che mi invento tutto, ma non credo; ricordo come se fosse ora che possedevo un abito di cow-boy bellissimo, che non indossai mai, nonostante le pressioni di mamma, perchè ero riconoscibile! …e pertanto incongruo rispetto all’atmosfera che si respirava a Ponza: il Carnevale è maschera per non farsi riconoscere e non per rappresentare qualcuno!
In ogni caso, hai lanciato tu la proposta di come si può leggere una foto! Io sto soltanto allargando il gioco!
Redazione
14 Febbraio 2012 at 11:01
Ci fa sapere Aniello De Luca per telefono, che secondo lui la foto è del ’46.
Lui riconosce lo spadone da grand’uniforme su cui sono appoggiate le mani di Argìa Mazzella e sulla sua testa il cappello militare (con le spade incrociate) di Leopoldo, il marito di Dialma mai tornato dalla guerra.
Sulla testa di Dora Amato c’è invece il cappello da Maresciallo di Finanza del padre.