Mare

Uomini e Navi. Il tempo della vela (1)

di Gianni Paglieri

 

Da Gianni Paglieri, vero comandante di vere navi, riceviamo questo scritto sulla navigazione a vela, che volentieri pubblichiamo. La Redazione

Con “Il Tempo della vela” cerco di raccontare l’apoteosi della vela, le navi al tempo dei Clipper (1) , i Comandanti di quelle navi splendide, i marinai, la vita di bordo, il mare i suoi significati le sue metafore… E’ un tentativo di far “rivivere” un tempo che non si ripeterà mai più.

Il tempo della vela (1)

“La nave dormiva.
Il mare immortale si stendeva lontano,
immenso e caliginoso,
come l’immagine della vita,
con la superficie scintillante e le profondità senza luce”

(Joseph Conrad)

 

Sarebbe bello poter rivedere il mare com’era all’epoca delle vele, ma poiché tutte le cose dell’uomo muoiono e anche l’epoca delle vele è morta, non resta che arrendersi alla nostra consapevolezza. Le cose che amiamo, quando muoiono, lasciano dentro di noi un vuoto incolmabile perché non potremo più riaverle, perché non saranno più con noi, tra di noi, e perché il loro ricordo inevitabilmente scolora nel tempo, nonostante il nostro impegno a non dimenticare.

Le navi a vela, gli uomini di quel tempo irripetibile non ci sono più, forse neanche il mare è più lo stesso, e noi che ci ostiniamo a definirlo eterno e immutabile vogliamo pensare che in quel tempo, il mare doveva essere la cosa più pulita, pulita come il cielo, misteriosa come i miti, attraente come un’avventura, volubile come l’amore, imprevedibile come il nostro vivere e il nostro destino.

Mai come nei nostri giorni l’uomo ha distrutto pensando di costruire e, così facendo, si è esaltato e ubriacato di vanità. Ha colorato di morte la terra e il mare, ne ha rubato colori e i profumi, ma… se anche il mare dovesse morire, allora morirebbero anche i sogni, la poesia, il desiderio di altrove, verrebbe meno la spinta ad attraversarlo, ad andare oltre, al di là dell’orizzonte …e di noi stessi.

Il mare che vorremmo rivedere, era un mare pieno di vele, bellissimo da vedersi anche dalla costa: i velieri passavano al largo, lenti, silenziosi, irreali. Sorgevano e tramontavano sul filo dell’orizzonte, pieni di luce e di vento, sembravano costruzioni immateriali fatte d’aria o di nuvole e, come i sogni svanivano lentamente.

Sulle prore delle navi si stagliavano le polene (2), colorate, immobili, lo sguardo a scrutare qualcosa di misterioso e di imprendibile che sfuggiva alla percezione del marinaio. Da sempre le polene sono simboli del timore che accompagna l’uomo quando attraversa il mare e rispetto dei misteri e dei pericoli che si celano nel fondo. Secondo una tradizione molto antica erano gli occhi della nave che in tal modo era in grado di preservarsi da malocchio e da sventura. Oggi possiamo trovare le polene solo nei musei ma il loro sguardo è quello di chi sta morendo, di chi prima di morire vorrebbe raccontare di un tempo lontano, che non tornerà mai più.

In porto, i marinai distendevano le vele al sole, ad asciugare, le esaminavano con attenzione, le rammendavano dove necessario perché il vento, una volta in mare, non doveva strapparle. Quei marinai sapevano che dalla cura che prestavano alle vele della loro nave poteva dipendere la loro salvezza. 

In mare, le vele acquistavano vita e colore, bianche di luce abbracciavano il vento, lo imprigionavano nel loro grembo salato e trasmettevano la sua forza alla nave che avanzava nel mare. Il vento cantava sempre una sua canzone, a volte suadente, melodiosa e nostalgica, a volte cupa e dissonante.

Quando cercava di liberarsi dall’abbraccio che lo irretiva, sembrava volesse strappare la tela e il suo canto si trasformava in un gridare lacerante, perché voleva ritornare a percorrere gli spazi infiniti del mare e del cielo. Voleva giocare con le onde, voleva percorrere il cielo sostenendo il superbo volare di albatros e gabbiani, voleva spegnere la sua frenesia cullandosi sulle onde al calare della notte, per risorgere il mattino abbagliato dal sole, ma… la vela, manovrata da uomini attenti e capaci, lo tratteneva inesorabilmente perché la nave aveva bisogno della sua forza.

Altre volte ululando primitivo e violento faceva breccia nell’animo dei marinai e vi insinuava il freddo della paura, rubava bestemmie e preghiere dalla bocca di quei piccoli uomini coraggiosi che si aggrappavano ai pennoni per trattenerlo nelle vele, poi, turbinava sempre più forte, trascinava con sé nuvole e pioggia, oscurava il cielo, sollevava il mare e lo spingeva contro la piccola nave che stentava a mantenere la rotta.

La nave correva sul mare a seconda del vento, ora con mura a dritta ora con mura a sinistra, meglio se con il vento in poppa, al gran lasco.

Se il vento e il mare erano troppo forti, la nave si metteva “alla cappa”, assumeva un’andatura particolare in attesa di un miglioramento del tempo; in genere si manteneva la nave in modo da avere il mare al mascone, le onde più o meno a 45 gradi rispetto alla rotta, con poche vele in modo da mantenersi senza avanzare o quasi lasciando la nave scarrocciare sottovento.

Quando  nacquero i Clipper fu l’apoteosi della vela: i Clipper erano navi dette “a tutte vele”, a tre, a quattro, a cinque alberi, con vele triangolari, a trapezio, rettangolari, su antenne e pennoni ovunque ci fosse spazio, erano navi agili condotte da marinai di grande perizia che viaggiavano a velocità incredibili.

Il Clipper “Lightning” traversò nel 1855 l’oceano alla velocità di 18,75 nodi. I Comandanti del James Baines e del Donald Mackay lanciarono i loro velieri a 22 nodi… la velocità di crociera di un transatlantico dei nostri giorni. Famosa è rimasta la corsa del tè del 1866, nella quale cinque Clipper lasciarono quasi simultaneamente il porto cinese di Fu Chou e gareggiarono su un percorso di 16000 miglia a fianco a fianco, più volte superandosi l’un l’altro; dopo 99 giorni l’Ariel  e il Taeping  arrivarono insieme a Londra, seguiti a quattr’ore dal Serica, due giorni dopo dal Fiery Cross  e altri due giorni più tardi dal Taitsing.

Con i Clipper la marina a vela raggiunse la sua completezza e la letteratura marinaresca si popolò di personaggi pittoreschi quanto veri e realmente vissuti. Tra i peggiori uomini di quegli equipaggi vi erano quelli che non andavano mai d’accordo con gli Ufficiali, che venivano regolarmente cacciati dalle navi sulle quali imbarcavano e dove regolarmente procuravano problemi: uomini capaci anche di uccidere, che certamente sobillavano gli animi e creavano grossi problemi ai Comandanti. Saper leggere le carte e fare i calcoli nautici, per il Comandante e gli Ufficiali, era la polizza di assicurazione sulla vita. Gli ammutinamenti riuscivano solo se c’erano degli Ufficiali a farne parte.

Le baleniere stavano in mare per anni alla ricerca di balene e i marinai imbarcati su di esse sopportavano privazioni e tempeste come nessun altro tipo di marinaio; avevano un coraggio eccezionale ad affrontare il combattimento per uccidere la balena con un arpione.

I marinai delle baleniere sentivano di appartenere ad un mondo speciale, ma non erano i soli ad avere questa consapevolezza.

 

Gianni Paglieri

 

Note (a cura della Redazione)

1)   I Clipper furono veloci navi a vela a tre o più alberi adibite al trasporto delle merci sulle rotte oceaniche che furono utilizzate sul finire del XIX secolo. Rimane incerta l’etimologia del termine: l’origine del termine viene ricondotta sia al verbo clip inteso come tagliare (i tempi di navigazione), o come fendere (le onde) come anche a clip inteso come velocità o frullio di ali.  [Da Wikipedia, l’enciclopedia libera]

2)   Polena La polena può essere definita l’immagine di un simbolo, di un animale o di una figura, sacra o profana, scolpita quasi sempre nel legno, e infissa per ornamento sulla prua di un’imbarcazione. Il termine, che ha un così bel suono antico, deriva dal francese “poulaine“, per la somiglianza dell’oggetto con i “souliers à la poulaine“, “scarpe alla polacca”, calzature dalla punta lunghissima, di moda nel XIV e XV secolo. Ma il termine potrebbe forse venire assai più semplicemente dalla parola “poulain”, puledro, tanto più che molte di queste figure di prue si presentano in posizione “rampante”. Per l’eterno, tormentoso assillo della donna, della femmina, che arroventava l’animo dei marinai nel corso delle lunghe navigazioni, la grande maggioranza delle polene superstiti rappresenta un busto di donna, florido, dalla cintola in su, con le mammelle opulente, trionfalmente protese sull’acqua o appena velate. Sculture che, pur nella rozzezza di quell’arte naif, nate sotto lo scalpello di scultori occasionali, sembrano scoppiare sotto la tensione di un’intensa carica erotica…

 La polena del Cutty Sark  (3)

3)   La polena del Cutty Sark – Il ‘Cutty Sark’ è stato uno dei clipper più famosi, per essere rimasto a lungo in attività e infine annesso ad un Museo del Mare (ad Amsterdam), prima di essere seriamente danneggiato da un incendio (doloso) nel 2007. L’origine del suo nome  – ‘Bella camicetta’ – deriva da una leggenda scozzese. Un marinaio, tornando a casa a cavallo, venne inseguito da alcune streghe. Una di queste, presentandosi come una bella ragazza coperta solo da una camiciola di stoffa, fece esclamare al marinaio “Wonderful, cutty sark!” (…Che bella camicetta!). La strega, attaccandosi alla coda del cavallo, la strappò. È proprio questa la raffigurazione della polena del Cutty Sark: la bella strega con la camiciola e con in mano la coda del cavallo.

 

[Il tempo della vela (1) – Continua qui]

1 Comment

1 Comment

  1. Sandro Vitiello

    10 Febbraio 2012 at 07:30

    Una piccola precisazione alle ‘Note di Redazione’ sulle navi a vela.
    Il Cutty Sark era a Londra fino a non troppo tempo fa; precisamente a Greenwich.
    Mi sembra però che abbia subito un incendio che ne ha distrutto una bella parte.
    Un saluto
    Sandro Vitiello

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