Bonlamperti Carlo

La gabbia di pietra (9)

di Carlo Bonlamperti

 

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IX

Nel grande appartamento di Via Liegi, Pilar si sente come un animale in gabbia. Il giorno prima ha sentito l’Ingegnere agitarsi nel sonno e poi uscire silenziosamente di casa, e anche quella mattina di giovedì – giorno che lei dedica alle grandi pulizie – il suo padrone si è comportato nello stesso modo.

Neppure lei tuttavia ha potuto riposare al pensiero della sua Giorgia ancora in mano ai rapitori, tanto che trascorre l’intera mattinata a rassettare la casa con le orecchie attente ad ogni minimo rumore per le scale e ad affacciarsi alle finestre ogniqualvolta una sirena della Polizia sembra avvicinarsi. Trasale ad ogni squillo di campanello nello stabile e non esce neppure a far la spesa per non allontanarsi dal telefono, mantenendo la consegna dell’Ingegnere ad avvertirlo immediatamente nel caso i rapitori dovessero chiamare quel numero.

Passando davanti alla camera di Giorgia, non ha il coraggio di aprire la porta, temendo che il vuoto e il silenzio della stanza possano arrecarle un dolore insopportabile e all’ora di pranzo non apparecchia neppure il tavolo della cucina, com’è solita fare quando c’è la ragazza, limitandosi a mangiare solo una mela condita con le sue lacrime.

Più tardi accende il televisore nella speranza di sentire almeno un accenno al rapimento, quasi che la condivisione di quella tragedia con altre persone possa lenire almeno in parte la sua pena, ma poi riflette che se neppure l’Ingegnere ha voluto far trapelare la notizia e sporgere denuncia all’Autorità, nessun notiziario potrà parlare del sequestro.

Nel pomeriggio, non resistendo all’angoscia in cui l’ha gettata l’assoluta mancanza di notizie, si decide a telefonare allo Stabilimento, a costo di mettere inutilmente in allarme in padrone pur adoperando il linguaggio convenzionale stabilito con lui. Questi gli risponde di persona dopo il primo squillo, usando lo stesso tono vago:

– No, Pilar, ancora nessuna notizia concreta. Per quella faccenda dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza, anche se quella persona pare stia bene. Ti chiamo io appena ho delle novità.

Pilar comprende il significato di quelle parole ed è felice che alla sua Giorgia non sia accaduto nulla di male, ma si rattrista pensando che nessuno può stare veramente bene se è in mano a dei delinquenti, anche se sa che può contare su persone che gli vogliono bene e si stanno adoperando per la sua liberazione. Ma cosa voleva intendere l’Ingegnere con quell’“ancora un pò di pazienza”?  Quanto tempo occorrerà ancora perché la sua bambina torni a casa dopo la consegna del denaro? Già, il denaro: ma sarà stato consegnato?

In mancanza di risposte, alla povera donna non rimane altro che continuare ad arrovellarsi tra tutti quegli interrogativi fino al ritorno del padrone. Intanto, com’è solita fare nei momenti critici della sua vita, prende la corona, da cui non si separa mai, e innalza la sua silenziosa preghiera facendo scorrere tra le dita i grani consunti del suo rosario.

***

Ancora una volta allo Stabilimento di Aprilia la giornata dell’Ingegnere si chiude con  un bilancio incerto perché, se di positivo c’è stato il primo contatto dei rapitori e la rassicurazione sullo stato di salute della figlia, per contro non si può affermare che gli sia stato concesso molto tempo per mettere insieme la somma del riscatto. In soli quattro giorni infatti, escludendo il sabato e la domenica, il suo agente di Borsa, nonostante le pressioni, non gli ha potuto garantire che riuscirà a convertire i suoi titoli in denaro liquido, e questo aspetto della vicenda, fin troppo evidente già al momento della richiesta di vendita, mette di cattivo umore l’Ingegnere, addensando nella sua mente le nubi dello scoramento.

L’unica speranza a cui si appiglia con la forza della disperazione è quella dell’incontro dell’indomani mattina con il direttore della sua banca, che si augura positivo. Da lui cercherà di ottenere la somma massima concedibile senza documenti giustificativi, e farà di tutto per farla accettare al sardo a titolo di acconto sulla somma complessiva. In questo l’Ingegnere fa affidamento sul fatto che, possedendo un minimo di conoscenza dei meccanismi bancari per i suoi trascorsi di caporeparto nella Sunsystem, il sardo dovrà pur rendersi conto dei tempi tecnici per entrare in possesso di una somma liquida di quell’entità, e che probabilmente gli ha fissato quel limite di tempo così ridotto solo per tenerlo sotto pressione. Per quanto lo riguarda, non ha infatti altra possibilità di chiudere positivamente la trattativa che la concessione di una pur minima dilazione nel pagamento della somma, non volendo neppure lontanamente pensare a cosa potrebbe accadere a sua figlia nel caso Deidda si irrigidisse!

Dal portaritratti della scrivania, col vetro ancora rotto per la caduta del sabato precedente, Giorgia gli sorride con la prorompente voglia di vivere della sua giovane età e sembra volergli infondere un po’ di quel coraggio che lui sente venirgli meno.

La foto, a cui l’Ingegnere tiene molto, la ritrae assieme alla mamma sulle nevi del Trentino un capodanno di tanti anni prima. La figlia, in completo rosso da sci che spicca al sole di una giornata tersa, ha i capelli spettinati dal vento e in mano una palla di neve che sta per lanciare verso l’obiettivo. Sullo sfondo s’intravede la Croda Rossa che, col suo colore caldo, sembra invidiare dall’alto la felicità di quella famiglia unita.

L’Ingegnere non può fare a meno di commuoversi a quel ricordo felice richiamato dalla foto in un momento così triste, e sulle guance non rasate scendono le lacrime cocenti della sua disperazione perché, guardando quel vetro rotto, un pensiero tremendo si aggiunge alle sue preoccupazioni: e se sua figlia non fosse più viva? Se la foto promessa dal sardo fosse solo un crudele stratagemma per tenerlo buono e spingerlo comunque a mettere assieme i soldi del riscatto?

Il suo pianto disperato viene interrotto dallo squillo del telefono, insolito a quell’ora perché l’Ingegnere non aspetta alcuna telefonata di lavoro, trovandosi allo Stabilimento oltre il normale orario di ufficio. Pensa possa trattarsi della domestica che gli chiede per che ora preparare la cena, e meccanicamente alza la cornetta rispondendo con voce piatta:

– Sì, Pilar?

– Papà, sono Giorgia! – gli risponde la figlia dall’altro capo del filo, lasciando il padre senza parole e col cuore che batte all’impazzata per la sorpresa. E’ vero infatti che lui aveva chiesto a Deidda di fargli sentire la voce della figlia, ma il sardo aveva risposto negativamente alla sua richiesta; quindi lui proprio non si aspetta che ci abbia ripensato.

Appena si riprende dallo stupore, l’Ingegnere riesce ad articolare le sole parole che un padre crudelmente privato dell’amata figlia possa dire:

– Giorgia, stai bene? – Ritenendola poi ancora in mano i rapitori, aggiunge con cautela:

– Puoi dirmi dove sei?

La figlia però non lo lascia proseguire, investendolo con un fiume di parole che disorientano l’Ingegnere, impedendogli di comprenderne appieno il significato, tanto rapida e convulsa è l’esposizione dei fatti e incomprensibili i riferimenti che la ragazza fa a cose e persone che lui ignora:

– Sì, sto bene, papà, non preoccuparti. Mi hanno portato sull’isola di Ponza, ma ora sono fuori… non sono più nella grotta giù al mare… sono libera perché non c’è nessuno dei rapitori… cioè sì, uno c’è, ma non è proprio un rapitore… si chiama Toni… pensa, papà: è mio fratello, quello che abbiamo cercato per tanto tempo… somiglia anche lui alla mamma… è… è buono e… devi promettermi che gli vorrai bene anche tu… ora è di là con i Carabinieri… lo stanno interrogando e… papà, devi fare qualcosa perché non voglio che lo arrestino proprio ora che l’ho trovato… che l’abbiamo trovato… lui non c’entra col sequestro… cioè sì, ma poco, perché non l’ha organizzato lui il sequestro, e poi… lui non ha un lavoro perché nessuno l’ha mai aiutato e adesso… adesso dobbiamo aiutarlo noi… capito papà?… papà mi senti?… ci sei ancora papà?… pronto?… pronto?… papà? …papà?

Dall’altro capo del filo alla ragazza giunge solo un rantolo strozzato perché l’Ingegner Silvestrini, comprendendo la reale portata delle parole della figlia, man mano che il suo racconto disarticolato prende forma, prova un tuffo al cuore, cui fa seguito un forte dolore al petto che lo fa prima accasciare sulla scrivania e poi scivolare a terra, trascinando nella caduta l’apparecchio telefonico, la cui cornetta continua a trasmettere, inascoltato, il grido di Giorgia:

– Papà?… papà, che succede?… Papà, rispondi!… Oddio … papà! –    

 

Carlo Bonlamperti

[La gabbia di pietra (9) – Continua]

 

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