Attualità

L’isola ai confini dell’impero

di Giuseppe Mazzella

Pur trovandosi a sole poche decine di chilometri da Roma, Ponza sembra rivivere ancora una volta un triste destino, già subito nell’antichità: quello di essere “lontana” e dimenticata dallo Stato. Un destino che condivide con molte altre isole d’Italia.

Ponza, abbandonata a se stessa nei lunghi mesi invernali, oggi – con l’Amministrazione Comunale commissariata, ignorata dai mass media che pure nei mesi estivi fanno a gara nel corteggiarla – vive un inverno di grande scontento, alle prese con problemi economici e sociali che vanno dal lavoro alla garanzia alla salute.

Un clima sempre più pesante in cui le lamentele che si levano da ogni parte appaiono purtroppo solo voci nel deserto, seppure di acqua salata. In questo clima difficile stanno giungendo nuove restrizioni, leggi, divieti, regolamenti, che tendono a “proteggere” l’isola, ma che appaiono sempre più come “editti imperiali” che scontentano tutti, senza contribuire a sollevare la popolazione dalle difficoltà in cui versa. Mi si dirà: la legge è legge. Certamente. Ma la legge e lo Stato che le fa applicare deve proteggere ed aiutare la gente a vivere meglio, mentre la tela di norme con cui Ponza è sempre più avvolta, appare un groviglio bizantino che frustra qualsiasi iniziativa. Edilizia, sanità, pesca, collegamenti producono solo programmi, progetti, consigli di amministrazione, in sostanza burocrazia, ma quasi nessuna realizzazione. Una situazione paradossale in cui siamo sempre più costretti a “servire” le leggi e non il contrario, come sarebbe utile e opportuno.

Si blocca, si “mette in sicurezza”, si vieta, si recinta, si transenna, si dispone, ma poco si fa per risolvere situazioni che stanno diventando sempre più precarie. Ogni legge, infatti, per essere proficua va contestualizzata, altrimenti corriamo il rischio di rinnovare quella situazione che gli antichi compendiavano nella frase “summum ius, summa iniuria”, somma giustizia, somma ingiustizia.

Qualcuno può legittimamente rispondere che toccherà alla prossima amministrazione sobbarcarsi l’onere di cercare di risolvere le tante questioni sul tappeto. È  vero. È anche vero, però, che le Istituzioni centrali, Regionali e Provinciali, non si stanno dimostrando particolarmente sensibili e impegnate a contribuire a dare una mano. All’orizzonte una nube minacciosa che rischia di “cristallizzare” l’isola, immobilizzandola con divieti e limiti, che finiranno per soffocarne la vivibilità e incentivare la diaspora che la sta lentamente, ma inesorabilmente dissanguando.

Anche considerando i nostri errori e insufficienze, le Istituzioni maggiori partecipino attivamente ai cambiamenti epocali nei quali siamo immersi, trasformandosi da Enti impositivi sempre più in Enti propositivi e realizzino compiutamente il dettato costituzionale di servizio ai cittadini. Ovviamente questo vale anche e soprattutto per la nostra Amministrazione locale.

Solo per fare un esempio. Tra le categorie più toccate dalla recessione oggi vi è quella dei pescatori, sottoposti da anni ad una raffica di limitazioni che ne stanno determinando la morte. Io mi domando che senso ha limitare la pesca con una serie infinita di regole minuziose , se a poche miglia dall’isola squadre di attrezzate barche straniere depauperano senza limiti  e senza controlli di ogni genere i nostri fondali, senza che la Comunità europea, sempre sollecita a formulare direttive in materia di tutela, faccia sentire in alcun modo la sua voce? Che senso ha creare riserve marine, vero sistema di bolle dimostratosi insufficiente in un mondo globalizzato, quando sulle rotte di queste transitano migliaia di navi di ogni genere, petroliere comprese? Certo non possiamo bloccare il traffico marittimo; specie per un’isola, dove il mare è la prima risorsa di vita. Ma possiamo immaginare regole non a scompartimenti stagni, che valgano per tutti e che soprattutto tutelino la vita e gli interessi legittimi degli abitanti di un luogo. Soprattutto, non esclusivamente.

E i duecentocinquant’anni di storia dei ponzesi che hanno colonizzato l’isola e l’hanno protetta e difesa – credo in maniera egregia, mentre altre località venivano devastate da ondate di cemento – possono ben essere considerati dei meriti a favore, perché venga garantita in futuro la loro vivibilità.

Resto convinto, infatti, che senza collegamenti idonei e una portualità moderna, assieme a una fruibilità adeguata seppur controllata della nostra prima risorsa, il mare, Ponza sarà destinata a soccombere o ad essere nuovamente colonizzata da pochi potentati che ne faranno una nuova “Costa Smeralda”, dove i ponzesi saranno non attori, ma spettatori impotenti. Impoverire il tessuto sociale ed economico con ulteriori limitazioni e divieti, senza risolvere le questioni, che negli ultimi anni sono aumentati in maniera esponenziale, ed esclusivamente “transennate per legge”, ci renderà non solo più poveri e fragili, ma più penetrabili a sedicenti “azioni salvifiche” esterne. Senza considerare il limite che ci viene imposto di muoverci liberamente sul nostro territorio, come è costituzionalmente garantito per tutti gli italiani. Con questi interventi a pioggia, infatti, si sta limitando la fruibilità e la godibilità della nostra isola, per chi vi abita e per quanti la eleggono meta di vacanza.

Ponza è un’isola ed ha il diritto di essere collegata al resto del Paese in modo civile. Che senso ha “regionalizzare” una Compagnia di Navigazione se questa poi si dimostra ancora più lenta e inefficace della precedente?

Ponza è un’isola e dal mare può e deve trarre la sua vita. Bisogna quindi entrare nell’ordine d’idee che è necessario creare e favorire infrastrutture che ne favoriscano la fruibilità. Ma sopra e prima di ogni soluzione sarà necessario impegnarsi perché i collegamenti siano assicurati, perché solo con un sistema moderno, comodo e veloce, non obsoleto come quello che abbiamo, è possibile immaginare un futuro per Ponza.

Pena continuare a rimanere “un’isola ai confini dell’impero”.

 

Giuseppe Mazzella

2 Comments

2 Comments

  1. Giuseppe Mazzella di Rurillo

    4 Febbraio 2012 at 12:36

    Benissimo, ottimo, stupendo il tuo articolo, caro cugino di sangue e di Storia!
    Quello che scrivi per Ponza può essere esteso anche ad Ischia dove la popolazione è di gran lunga maggiore – 65mila abitanti – e di gran lunga più consistente lo sviluppo economico (3mila imprese) e sociale (13mila lavoratori iscritti al ‘collocamento’, che oggi si chiama Centro per l’Impiego).
    A Ponza tutto è più difficile: la popolazione è di circa 3mila abitanti e si riduce sempre di più; soprattutto si riduce la cosiddetta “società civile” e così Ponza è destinata a diventare poco meno o poco più di un “villaggio turistico in mezzo al mare” che apre per circa due mesi e poi chiude. E ritorna – nei lunghi mesi invernali – la solitudine per i suoi abitanti che ormai sono poco più che “aborigeni”, come quelli austrialiani! Così vengono trattati, di fatto, dall’Impero!
    Così è “Ponza è ai confini dell’Impero”.
    “Vincoli”, “restrizioni”, “difesa delle bellezze” di una legislazione dell’Impero – poco importa se Regno o Repubblica, dei vecchi e nuovi “governanti” – senza tener conto di chi vive 12 mesi su 12 in quest’isola.
    Come deve vivere l’isolano-ponzese? Senza ospedale, senza cinema, senza teatro, senza scuole e così via… Qual è il suo futuro nel mondo globalizzato?
    Ad Ischia con 65 mila abitanti ed a soli 18 miglia da Napoli e 14 da Pozzuoli c’è una certa socialità, una pur discutibile società civile, ma a Ponza non c’è “vivibilità” per almeno 10 mesi all’anno e negli altri due c’è “evasione dai problemi” perchè c’è gente, balli, canti, il sole e la luna! Così l’ottundimento delle coscienze è totale per tutti e 12 i mesi!
    Possiamo lamentarci da lontano – io ischitano-napoletano e voi ponzesi-romani – ma resta la solitudine degli abitanti. Una mia amica di Facebook di Ponza – è una “biondaisolana” – ha scritto di recente un post con il quale ha espresso la sua solitudine in questi mesi. Si sente sola con poco più di mille persone rintanate in casa, su 8 Kmq.
    Dobbiamo quindi insistere sui collegamenti marittimi. Su un sistema di collegamenti marittimi pubblici efficiente, che permetta sia di essere “legati” sia al continente, sia al sistema delle isole napoletane. In quest’ottica è stato un grave errore “uscire” dalla Caremar e costituire la Laziomar. Dobbiamo gridare con ogni mezzo all'”Imperatore” che non siamo la periferia dell’Impero e che come “cittadini” abbiamo il diritto alla continuità territoriale dello Stato. Altrimenti dovremo ricorrere all’Unione Europea ed alla sua Corte di Giustizia per avere un particiolare “Statuto di Autonomia” come l’Alto Adige, con sostegno finanziario concreto da parte dell’Europa, perchè questa Europa così fatta non ci interessa proprio!
    Le osservazioni provocatorie sono valide per Ponza, per Ventotene, per Ischia, per Procida e per Capri, che dovrebbero cominciare ad avviare “Politiche di Solidarietà” anzichè di spudorato egoismo come fanno. Prima o poi – prevedo prima che poi – lo “spopolamento” soprattutto dei “cervelli” – i giovani con il diploma e la laurea poichè l’Unione Europea impone l’istruzione fino a 18 anni – riguarderà tutte le isole che diventeranno “villaggi turistici” per pochi mesi, con tutto quelle che ne consegue.

    Giuseppe Mazzella di Rurillo

  2. Silverio Tomeo

    4 Febbraio 2012 at 14:52

    “Agire localmente e pensare globalmente”, recitava uno slogan dei nuovi movimenti sociali collettivi. Tra globale e locale c’è quello che si usa chiamare “glocale”. Ammesso e non concesso che esista un Impero, esso è senza centro e senza periferia, è una rete globale con i suoi nodi e le sue diramazioni. La specificità delle isole è sacrosanto sottolinearla, ma senza regressioni, evitando la cultura della lagnanza e del risentimento localistico o identitario. Sull’ esempio citato della pesca: si possono pensare deroghe alla flotta peschereccia per via dell’insularità e per l’antica tradizione peschereccia? Deroghe a una normativa europea che riguarda tutto il Mediteraneo? Non credo. Qui – a parte i problemi di legittima rivendicazione dei pescatori e degli armatori – un problema serio è che quello di Ponza è ritenuto ancora uno dei pochi “porti franchi” della pesca illegale nel Tirreno. Quindi bisognerà rispettare maggiormente la legalità. E rispettare il mare e l’ambiente, la terra e la macchia, le spiagge e le calette, che sono altrettante risorse comuni naturali non infinite e indisponibili alla sola manipolazione della “tecnica” e alla ricerca dello sviluppo come profitto senza limiti. Bisognerà affrontare le nuove disposizioni di tutela sapendosi riconvertire e gestire.
    Un’isola dissestata e depauparata da abusivismi, da inquinamento, da deturpazione del paesaggio, da illegalità e dall’ esosità di chi ci deve guadagnare solo nella stagione turistica, avrebbe un domani lo stesso appeal? Non credo.
    C’è la questione decisiva dei beni comuni. O Ponza è ritenuta un bene comune, oppure oltre i vincoli vari di cui ci si lamenta troppo spesso vi saranno le privatizzazioni che aumenteranno ancora di più. E allora sì che sarà compiuta del tutto la riduzione di una comunità isolana nel recinto di un anonimo e irreale villaggio turistico estivo.
    Tra regressione sentimentalistica e “cattiva modernizzazione” c’è sicuramente un’altra via da ricercare. L’isola potrebbe continuare a sostenere una comunità residente e una sua particolarità antropologica migliorando lo spazio sociale e pubblico, i servizi e la qualità della vita. A condizione di andare avanti senza chiusure, di combattere la deculturalizzazione, di comprendere le linee di transito senza troppe differenze tra dentro e fuori, centro e periferia, residente e migrante.

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